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Quarto potere e quella realtà filtrata dai media

Author: Wired

Grazie anche alle intuizioni di Welles, Gregg Toland, considerato uno dei primi grandi direttori della fotografia, introdusse in Quarto Potere una grande profondità di campo che permise al regista di mettere a punto uno stile tanto compositivo, quanto narrativo facendo un uso del montaggio per l’epoca innovativo. Qualcosa che rende, ancora oggi, il linguaggio di Quarto potere tecnicamente ineccepibile. Altro aspetto quello della colonna sonora, composta tra l’altro da un genio come Bernard Herrmann, che non solo enfatizza l’immagine ma vive anche di luce propria. Un’attenzione maniacale quella nei confronti del sonoro che, senza alcun dubbio, Welles aveva sviluppato a seguito della sua esperienza in radio.

Qual è la realtà più reale?

Se quindi Orson Welles riempie gli occhi dello spettatore di suggestioni visive e sonore, di riflessioni attualissime sull’ambizione e sul potere, oltre che sulla parabola di trionfo e di caduta di un uomo c’è un aspetto di Quarto potere che, soprattutto oggi, parla di noi. Se infatti, come abbiamo detto, il film è un racconto a ritroso, un tentativo di catturare l’essenza di un uomo che – fino alla fine resterà un mistero, a distanza di ottantatré anni Welles ci invita a riflettere su quanto lo storytelling delle nostre vite sia viziato in un’epoca, la nostra, in cui i media sono molto più presenti rispetto al 1941.

Qual è la realtà più reale: quella che ci viene mostrata, che decidiamo di mostrare e che quindi va a rappresentare l’altro e noi stessi oppure quella che rimane celata agli occhi del mondo? Chi siamo davvero: chi diciamo di essere al mondo oppure quello che raccontiamo a noi stessi? Probabilmente l’essenza più profonda di ogni individuo è destinata a rimanere un puzzle – come quello che tenta di comporre la moglie di Kane, un enigma irrisolvibile agli occhi del mondo e in parte, anche a noi stessi.

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5 home video da collezione usciti a febbraio

Author: Wired

Classici degli anni ‘80 e ‘90 per la prima volta in edizione blu-ray, horror, tanto horror che arriva in ricche edizioni da collezione inclusive di gadget e l’immancabile blockbuster sono tra le uscite di spicco del mese di febbraio per quando riguarda l’home video. Tra dvd, Blu-ray, 4k Uhd raccolti in steelbook e cofanetti dal packaging accattivante, i film per la fruizione casalinga destinati a occupare le librerie dei collezionisti si presentano sempre più in forme sontuose ed esclusive, per ricordare al pubblico che lo streaming è un’opzione veloce e fantastica ma possedere la copia fisica delle nostre pellicole preferite per averle sempre a disposizione, specialmente se accompagnate da contenuti extra, è ancora più bello.

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Perché l’idea di un nuovo Jurassic Park ci fa paura

Author: Wired

Jurassic Park avrà un reboot. Per quanto ancora priva di dettagli, questa notizia ci conferma quanto l’industria cinematografica americana sia sostanzialmente alla canna del gas, visto che non riesce a fare altro che sfruttare vecchi filoni all’infinito, quasi avesse il terrore di rischiare o fosse troppo pigra per farlo. La volontà di proseguire a dispetto dei terrificanti risultati qualitativi ottenuti con la saga sequel del film di Steven Spielberg è un chiaro messaggio: la creatività non abita più qui, esiste solo il puro marketing, neppure particolarmente brillante, è già in molti si chiedono se e quanto questa nuova operazione potrà avere successo.

Una mossa che conferma la crisi creativa di Hollywood

Tutti ci ricordiamo dove eravamo quando uscì il primo Jurassic Park, o perlomeno ci ricordiamo le sensazioni che abbiamo avuto la prima volta che l’abbiamo visto. In quel 1993, Steven Spielberg, traendo spunto da un del rimpianto Michael Crichton, cambiò completamente il concetto di intrattenimento. Lo aveva già fatto tanti anni prima con quel Lo Squalo con cui di fatto aveva messo non solo fine al dominio della New Hollywood, ma anche stravolto completamente il mercato cinematografico. L’estate diventò un momento centrale, così come il pubblico più giovane, che poteva coprire d’oro chi gli donava i giusti film. Non occorre certamente qui specificare come e quanto Jurassic Park ha influenzato intere generazioni di spettatori, così come stravolto il concetto di meraviglia cinematografica, riportando letteralmente in vita gli antichi dominatori della terra. Il punto fondamentale però, è che già dal secondo episodio, Il Mondo Perduto, con cui Steven Spielberg onorò il film omonimo del 1925, nonché l’universo di Godzilla, King Kong partendo ancora da un romanzo di Crichton, la qualità non fosse più esattamente la stessa.

Per carità, il secondo Jurassic Park rimane sicuramente un film di intrattenimento robusto, con sequenze ancora oggi iconiche, ma certo chi all’epoca scrisse più dinosauri e meno idee non aveva particolarmente torto. Persino il terzo episodio aveva più di qualcosa da dire, proprio per la volontà di citare lo stesso Spielberg ed i suoi film più iconici, l’adventure letterario. Poi arrivò nel 2015 la saga sequel di Jurassic World, con Bryce Dallas Howard e Chris Pratt nuove punte di diamante e tutto lasciava presagire ad un grande ciclo, i fan più affezionati sognavano di ritornare ad assaporare le stesse sensazioni che ebbero in quel 1993. Detto fatto, quando uscì il primo film, si rivelò un polpettone mediocre e prevedibile, totalmente privo della capacità di fare qualcosa di più di rendere il tutto, un enorme popcorn liofilizzato senza sapore. I due successivi capitoli della saga andarono di male in peggio, in virtù dell’essere a tutti gli effetti dei film per famiglie inoffensivi, privi di mordente, privi di audacia o anche solo della volontà di comunicare qualcosa di più del mero impatto visivo gargantuesco. Uno degli elementi più fastidiosi è stata l’eccessiva umanizzazione dei dinosauri. I raptor e i T-Rex smettono totalmente di essere animali, diventano a tutti gli effetti sosia dei personaggi Disney.

Jurassic Park

Jurassic Park dopo 30 anni rimane la più grande avventura della nostra vita

Il 9 giugno 1993 Steven Spielberg mostrava al mondo un film capace di rivoluzionare il concetto di fantasia e intrattenimento nel cinema

Le sceneggiature? Puro citazionismo neppure dissimulato, un monumento all’incoerenza, alla malagrazia, sono semplicemente prive di una reale struttura e capacità di andare oltre un mero supporto alle scene ad effetto. L’ultimo episodio, uscito due anni fa, è stato con ogni probabilità il peggior blockbuster del XXI secolo, peggiore persino del peggio che ci ha dato la saga sequel di Star Wars. Un caso che parliamo di sequel anche in questo caso? No. I sequel, i reboot e remake sono la parola d’ordine del cinema di oggi, perché l’industria ha perso la sua capacità di innovare, di scommettere su idee rivoluzionarie, almeno al di là dell’Oceano, dove tutto è nelle mani dei produttori e ai registi, agli autori, sono state tarpate le ali nelle grandi produzioni. La lotta recente degli sceneggiatori per i loro diritti, sta a dimostrare quanto ormai tutto sia ridotto ad un iter produttivo meccanico, dove le intelligenze artificiali sono viste come perfetta risorsa per un’industria, che non vuole capire come la qualità è l’unica risposta che si può dare la pubblico. Steven Spielberg vuole garantire la qualità di questo reboot? Era coinvolto anche nella saga sequel, quindi non è qualcosa che serve molto a rassicurare in termini qualitativi, siamo onesti.

Jurassic World Dominion due anni fa ha incassato tanto, tantissimo, più di un miliardo di dollari in tutto il mondo, di fatto contendendo lo scettro ad un altro colosso sbucato dal passato: il sequel di Avatar 2. Qualcuno a questo punto penserà che evidentemente non fosse un film così brutto, oppure che non è sbagliato, in una logica commerciale, proseguire su questa strada, in fondo si dà al pubblico quello che vuole no? L’aspetto fondamentale però in realtà è un altro: ha uno degli indici di gradimento più bassi, non solo tra la critica (che per le Major non fa testo) ma tra lo stesso pubblico. Di fatto lo si andò a vedere per l’effetto nostalgia del vecchio cast, per la speranza quindi ancora una volta di avere qualcosa all’altezza del primo film. Speranze che furono deluse totalmente. Provate a chiedere agli spettatori se li sborserebbero ancora quei soldi per vedere qualcosa come Jurassic World Dominion. La risposta nella maggior parte dei casi è “assolutamente no”. Il che porta a collegare Jurassic World Dominion, sequel assolutamente mediocre dove si trovò il tempo di inserire locuste e personaggi woke completamente a caso, con un’altra saga che da tempo ha ormai esaurito ogni funzionalità cinematografica: quella di Alien.

Il survival movie è una carta che funziona ma solo la prima volta

I più acidi tra gli amanti degli xenomorfi, dicono sempre che di Alien ce ne sono soltanto due: il primo e il secondo. Soprattutto il terzo ma anche il quarto capitolo lasciarono tutti insoddisfatti, e per anni proseguire la saga sembrò un miraggio. Ridley Scott sia con Prometheus che con Alien Covenant, ha cercato quantomeno di rilanciare, di portare contenuti e idee, ma è stato stritolato dalla sua stessa creatura. Ha fallito? Si. Ma non per colpa sua, non solo almeno. Perché, ed è questo l’aspetto fondamentale da comprendere, Alien e Jurassic Park in realtà sono uguali al di là delle apparenze: sono due survival movie. Abbiamo dei mostri a cui i protagonisti devono sfuggire, con in comune una concezione della paura in senso ancestrale e entità animalesche che ci ricordano la nostra impotenza. Due film del terrore di incredibile fattura, al di là ovviamente della maggior complessità strutturale e tematiche di Alien. Ma proprio la loro natura di survival, li rende alla fin fine alquanto ripetitivi, perché la storia diventa sempre la stessa: trovi i dinosauri/alieni e poi cerchi di scappare o sopravvivere. Quanto puoi variare tutto questo? Poco. Pensate sia un caso che pure Lo Squalo, il monster survival movie per eccellenza, abbia avuto sequel orribili? No. E chissà cosa avremo ora da Alien: Romulus. Fate una cosa, siate pessimisti fidatevi.

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Thriller 40 e la storia di come Michael Jackson divenne il Re del Pop

Author: Wired

Ma Thriller 40 ci fa notare una di quelle cose che abbiamo sempre notato, in fondo, ma su cui non avevamo mai riflettuto chiaramente. È quel senso ritmico del modo di cantare di Michael Jackson. Ascoltate attentamente il modo in cui porge le parole e quei suoni e versi con cui, in qualche modo, canta le parti di batteria e di basso. Chi lavorava con lui le chiamava le “batterie vocali”, un po’ come certe human beatbox, ma in modo diverso, personale, più melodico. È anche questo, e non solo i suoi urli, i suoi acuti, il suo timbro, che rendono unico il modo di cantare di Michael Jackson.

Thriller: John Landis non voleva nessun passo di danza tipico di Jackson

E poi c’è Thriller, intesa come la canzone, che sentiamo nascere sin dai primi battiti di batteria e di basso che compongono l’inconfondibile base ritmica della canzone (che inizialmente si chiamava Starlight) fino a quelle tastiere con un suono da film horror che caratterizzeranno per sempre quelle canzone. A cui è abbinato il video più famoso della storia del rock. Vedendolo oggi chiunque potrebbe pensare che fosse stato scelto come singolo e video di lancio per l’album. Invece arrivò solo dopo un anno, dopo che l’album aveva venduto tantissimo e la casa discografica non era interessata a spingerlo. Ma Michael Jackson credeva che quell’album avesse ancora potenziale, e che ce l’avesse quella canzone, così cinematografica da meritare un video di livello. Jacko aveva visto e amato Un lupo mannaro americano a Londra, e così volle proprio quel regista, John Landis, a dirigere il video di Thriller, un video dal budget altissimo, ma che, vendendo il making of alle tv, e poi la videocassetta, poteva essere recuperato. Michael Jackson aveva ancora un’immagine poco sexy verso il pubblico e così si decise di inserire una storia sentimentale nel video. È un divertitissimo John Landis che in Thriller 40 racconta di aver spronato la star. “Voglio di più” gli disse. “Sei Michael Jackson e deve essere straordinario. Se non è fantastico a cosa serve essere Michael Jackson’”. E così il Re del Pop rientrò sul set e fece una ripresa perfetta. Le coreografie sono rimaste nella storia. Landis racconta di aver detto che il ballo doveva essere “spettrale” e di non aver voluto nessun passo tipico della danza di Jackson. Quella videocassetta vendette 6 milioni di copie.

È come se le canzoni scaturissero dalle mani di Dio

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9 inquietanti film horror (e una serie) ambientati al circo

Author: Wired

Il capitano Spaulding, proprietario del Museum of monsters and madmen, una sorta di Wunderkammer degli orrori annessa a un distributore di benzina nel profondo Texas, si presenta come un eccentrico imbonitore circense. Ma dietro un sorriso artificiale e appiccicaticcio nasconde una malsana passione: nel suo museo si raccontano le gesta di efferati assassini, e in particolare gli esperimenti del Dottor Satan, che si cimentò con sadici interventi chirurgici sulle sue vittime. Rob Zombie dirige un film crudo e allucinato, che non lascia indifferenti.


American Horror Story: Freak Show (2014)

Nella quarta stagione della serie American Horror Story, ambientata negli anni ‘50 in Florida, si parla del Circo delle curiosità di Fräulein Elsa, uno degli ultimi freak show, spettacoli circensi fortemente discriminanti in cui si esibivano persone con gravi deformità fisiche, come le gemelle siamesi con un corpo solo e due teste. Il ruolo della protagonista, Elsa Mars, è affidato a Jessica Lange, che ha legato alcune interpretazioni iconiche alla serie.

Victor – La storia segreta del dottor Frankenstein (2015)

Nella fumosa Londra vittoriana il giovane Victor Frankenstein assiste allo spettacolo di un circo. Rimane impressionato dal talento di Igor, un giovane affetto da una malformazione fisica che ha una straordinaria vocazione per la medicina. Frankenstein lo assolda come suo assistente, e con lui si cimenta negli esperimenti tesi a raggiungere l’immortalità. Un mix tra medical thriller e horror circense.