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10 attori e attrici che non hanno mai vinto l’Oscar

Author: Wired

Con la nomination agli Oscar 2024 de La Meravigliosa Storia di Henry Sugar fra i cinque migliori cortometraggi dell’anno, Wes Anderson è ufficialmente entrato a far parte del cosiddetto Five-Timers-Club, quel ristrettissimo gruppo (sono solo quattro persone) di cineasti e interpreti che hanno ricevuto una o più candidature in almeno cinque categorie diverse, fra le attuali 23, premiate con l’Oscar: era già finito tre volte nella cinquina delle migliori sceneggiature originali, una nella regia, due nel film animato e una nel miglior film. Se questa ottava nomination dovesse bastargli per fargli prendere finalmente in mano la statuetta, c’è anche un altro collega– che di candidature ne ha accumulate ben 12 – che non ha ancora sentito chiamare il suo nome dal palco del Dolby Theatre.

article imagePer la miglior colonna sonora originale agli Oscar 2024 sembra tutto già scritto

Le candidature di quest’anno non rappresentano la grandissima varietà delle produzioni musicali legate al cinema. E la competizione diventa un po’ prevedibile

Dal 2013 a oggi, infatti, Bradley Cooper è stato candidato quattro volte come attore protagonista, una come attore di supporto, cinque volte come produttore del miglior film e – grazie alle due pellicole che ha diretto – anche come sceneggiatore. Maestro, passato in concorso dall’80esima Mostra del Cinema di Venezia e nominato a 7 statuette, oltre a farlo balzare da 9 a 12 candidature personali avrebbe tutte le carte in regola per fare incetta di Oscar: un biopic, su una delle colonne (sonore?) portanti della cultura statunitense; una massiccia dose di trucco prostetico (del veterano Kazu Hiro); un’intensa performance dell’attrice protagonista Carey Mulligan e lunghe sequenze di baroccheggiante regia. Vedremo cosa succederà.

Certo non se la passa meglio Annette Bening, anche lei in gara quest’anno per il film Netflix NYAD – Oltre l’Oceano: quinta volta in gara come migliore attrice, la quarta come attrice protagonista – che dall’inizio degli anni Novanta a oggi è riuscita a vincere due Golden Globe, un BAFTA, due SAG, ma mai un Oscar. Certo è anche un altro il nome che (non) riecheggia nella stanza: quello di Diane Warren. L’autrice della canzone originale The Fire Inside, cantata da Becky G durante la cerimonia di premiazione e nel film Flamin’ Hot, è arrivata infatti a 15 candidature, tutte nella stessa categoria, le ultime dieci peraltro – fra il 2015 e il 2024 – quasi tutte consecutive.

Vero è che il suo collega 92enne John Williams ha raggiunto quota 54 (è la persona più candidata della Storia dopo Walt Disney): ma almeno lui ha vinto cinque volte.

Tornando però a parlare di attori, nel 2016 avevamo cominciato a disperarci per le nomination di Leonardo DiCaprio, tutte andate a vuoto, che l’avevano portato a correre furioso sul tappeto rosso di un gioco online, prima di rompere finalmente la maledizione con Revenant – Redivivo: ma non sapevamo che già all’epoca c’era chi stava messo peggio.

(E, per la cronaca: gli altri due membri del Five-Timers-Club, tutti uomini ovviamente, sono George Clooney e Kenneth Branagh).

oscar 2024 curiositàTutte le curiosità sugli Oscar 2024 in vista della cerimonia

Record di nomination, prime volte, traguardi importanti e qualche nomination solitaria e finale

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La vera sorpresa di Ricky Stanicky è John Cena

Author: Wired

Nonostante Ricky Stanicky sia un film di escapismo totale, che venderebbe sua madre per una battutaccia e che quando non vuole far ridere affoga tutto in una melassa fastidiosa, dietro c’è qualcosa. E quel qualcosa, c’è da stupirsi a scriverlo, va attribuita a John Cena che già aveva mostrato una buona versatilità nella serie Peacemaker. La maniera in cui interpreta Stanicky consente il salto in avanti. Questo personaggio è un disperato che mette tutto in questa interpretazione per cambiare vita, sembra non temere mai di essere scoperto (cosa che invece terrorizza gli amici e fa ridere noi) ma Cena lo interpreta con un tale desiderio di cambiare, una tale voglia di essere migliore, di conquistare una purificazione e un’altra vita, reale, stabile, onesta e addirittura sentimentale, che è contagioso. Fa ridere, certo, ma c’è una grandissima umanità negli occhi di John Cena che esprime un continuo entusiasmo per un’impresa che è convinto riuscirà. Non è difficile finire anche noi a desiderarlo.

E forse, proprio in questo filmettino divertente da piattaforma, c’è uno dei molti segreti del cinema tutto. Cioè è espressa l’idea che le bugie che ci raccontiamo non finiscono nel vuoto, le bugie creano una realtà finta che alle volte influenza quella vera, hanno un effetto su di noi e si può finire a crederci così tanto da farle avverare. È quello che capita a questo attore che a un certo punto desidera non solo interpretare Ricky, ma proprio essere Ricky per sempre, ed è quello che capita alle volte con i film migliori, che sono falsità, bugie, storie inventate ma dentro hanno qualcosa di così vero che ci colpisce e, nei casi migliori, fa venire voglia di essere diversi, più simili a quel che si è visto.

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La Grande Bellezza e i 10 anni di un Oscar che continua a dividere

Author: Wired

La Grande Bellezza fa discutere ancora oggi, persino più de La Vita è Bella di Roberto Benigni, che ha perso molti estimatori soprattutto per il risentimento di natura politica verso il comico toscano. Esattamente 10 anni fa Paolo Sorrentino era sul palco dell’Academy, assieme a Toni Servillo, con in mano l’Oscar come Miglior Film Straniero. Rigraziava Diego Armando Maradona, ed entrava nella storia del nostro cinema con un film potente, struggente, divisivo ma capace di diventare istantanea di un paese completamente allo sbando.

Un film capace di porsi a metà tra memoria e innovazione

La Grande Bellezza fu presentato in concorso al 66° Festival di Cannes, dove risultò il classico film capace di rimarcare la differenza tra la critica italiana e quella internazionale. Paolo Sorrentino godeva già di grande considerazione, con film come L’Uomo in Più, Le Conseguenze dell’Amore, Il Divo, This Must Be The Place, si era guadagnato l’attenzione nazionale e infine internazionale, in virtù di un’originalità di narrazione e sguardo assolutamente inedite. La Grande Bellezza a molti critici italiani però non piacque. Fu definito tanto lussureggiante e barocco, quanto freddo, furbo, manieristico, ma soprattutto presuntuoso, per la volontà di porsi come una sorta di seguito de La Dolce Vita di Fellini o di connettersi a La Terrazza di Ettore Scola. Soprattutto, ancora oggi molti lo collegano a La Vita è Bella di Benigni, lo vedono come un’opera cinematografica fatta a tavolino per piacere agli americani e all’Academy.

article imageTutte le nomination agli Oscar 2024

Io Capitano di Matteo Garrone nella cinquina del miglior film internazionale, la conferma di Oppenheimer e le altre candidature

Roma, ma anche l’Italia e gli italiani qui mostrati – si sostenne da parte di alcuni allora e si sostiene tuttora- sono gli stessi di tante narrazioni ad uso e consumo del turismo cinematografico e degli stereotipi; anzi l’insieme era persino peggiore, visto che eravamo descritti come esseri mediocri, festaioli, decadenti e amorali, senza speranza o redenzione. Ma la realtà è che se ancora oggi La Grande Bellezza trova ostilità questo forse è da vedere come un grande pregio, come un attestato della verità in esso contenuta, della capacità da parte di Paolo Sorrentino di creare un’opera che non era semplicemente sintomatica di un cambiamento della nostra società, ma anche di una realtà che non volevamo ammettere. Jep Gambardella, la sua Odissea, erano giocoforza anche la cronaca schietta e spietata della caduta di quell’impero chiamato berlusconismo e di quanto male ci aveva causato, della deformazione che aveva creato nel nostro corpo, di cui Roma diventa la grande metafora.

article imageIo capitano: il nuovo Pinocchio di Garrone in viaggio dal Senegal all’Europa

Il regista di Gomorra è per la prima volta in gara a Venezia con un film di cui si parlerà a lungo. Da oggi nei cinema italiani

Toni Servillo ci appare come un Marcello Mastroianni cinicamente disincantato, ma in realtà aggrappato ai ricordi e al tema della memoria. Armato dei bellissimi costumi di Daniela Ciancio, dandy partenopeo trapiantato a Roma, Jep Gambardella più che scrivere, passa la sua vita tra una festa e l’altra. Questo strano ma astuto giornalista, è un sopravvissuto a sé stesso, alle sue speranze e sogni di gioventù; il suo narcisismo, la sua vanità da don Giovanni stagionato, il suo aggirarsi nella mondanità con fare disinvolto e divertito, nascondono un dramma interiore profondo. In lui La Grande Bellezza vede un uomo che è conscio di aver sprecato un talento, quello di scrittore, venendo inghiottito in una Roma volgare, ipocrita, ridicola eppur feroce, da cui però infine decide di staccarsi. Sorrentino ci fa seguire i suoi passi, in quello che è anche un viaggio nel dolore e nella malinconia più potenti, dove l’addio al grande amore della sua gioventù si prefigge come la ricerca della bellezza.

article imageDa a Sciuscià a La vita è bella, i film italiani che hanno vinto l’Oscar

Io capitano di Matteo Garrone è stato selezionato per rappresentare l’Italia per la corsa al miglior film straniero. E noi ripercorriamo i momenti nei quali il nostro cinema si è aggiudicato la statuetta

Una bellezza che non è intesa in senso meramente letterale, ma come ricerca di un senso, anche di una volontà artistica, con cui ridare un’anima al proprio vivere, una costruzione per quei sentimenti che per molto tempo Jep ha soffocato. Tutto questo Sorrentino lo crea con un film che, dal punto di vista tecnico, per la capacità ipnotica della sua regia, per il montaggio, fotografia e scenografie, rappresenta l’apice del cinema italiano degli ultimi 25 anni. La Grande Bellezza se la giocava qui con le più raffinate produzioni internazionali, altro fattore alla base di un plauso internazionale che fu quasi unanime. Il che rende ancora più interessante capire il perché di tanta ostilità tricolore, presente non solo nella critica (la nostra da sempre una delle più imprevedibili) ma anche in una certa parte di pubblico. Questo spesso non per gusto personale, ma per avere capito perfettamente il retroscena semantico del film e ciò di cui parlava, il dito che ci puntava contro.

Un racconto che sancisce la caduta del sogno berlusconiano

La Grande Bellezza è il film testamento sul berlusconismo, la cui ombra è in quelle serate, quella Roma decadente, quest’Italia di mille personaggi ridicoli, patetici, nei vari papponi, falsi mariti, viveur, biscazzieri, arrampicatrici e borghesi senz’anima. Il Cavaliere aveva regalato in trent’anni il sogno di un’Italia come una festa senza fine, ma il suo era stato un trenino che non andava in realtà da nessuna parte. La Grande Bellezza è il risveglio tragico e vero dal sonno della narrativa arcoriana, che proprio in quegli anni subisce un tracollo politico vertiginoso, da cui scaturisce la fine del ciclo del pifferaio magico e quindi tutto ciò che ne accompagnava il mito sul grande e piccolo schermo. De Sica, Boldi, Jerry Calà, i quiz, le veline e tutto il resto, ci avevano sempre assolti da ogni vizio e peccato. Per trent’anni ci eravamo sentiti dire che in fondo eravamo amabili mattacchioni, un po’ furbi un po’ fessi, ma non cattivi, volevamo solo una bonazza nel letto, una festa a Cortina e sfangarla.

article imagePerché snobbare Margot Robbie e Greta Gerwig agli Oscar è una decisione scandalosa

Celebrità e netizen sono insorti alla notizia che la regista e la protagonista del “film d’anno” (scorso) non sono state candidate agli Academy Award. E in effetti quando è troppo, è troppo

La vita come trucco e come inganno, il cinepanettone come lavaggio cinematografico della coscienza e esaltazione dei nostri difetti come pregi, il che poi era il grande racconto berlusconiano, la grande promessa di un avvenire scevro da ogni conseguenza. Ma quella narrazione Sorrentino la prende, la spezza, ci mostra come siamo diventati in realtà: cattivi, materialisti, avidi, crudeli. Hepburn e Peck in sella alla vespa ci vedevano come umanissimi, un po’ casinisti, ma caldi. Non lo siamo più, siamo sogno di mera materialità e successo immeritato, siamo volgarità, in questa Roma che dal 2014 di Jep, è diventata sempre più orrenda. Sorrentino non risparmia nessuno, né il protagonista, né gli artisti, neppure la Chiesa o l’antichità della Caput Mundi. Eppure, nel farlo, nel dipingere un affresco dove morte e vita sono legati indissolubilmente, Sorrentino ci offriva anche una speranza legata ai sentimenti, all’arte, alla cultura, alla volontà di riabbracciare il proprio io interiore, di superare l’egoismo tout court.

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Il nuovo proiettore Leica Cine 1 ti porta il cinema in salotto

Author: Wired

La magia di Leica Cine 1 regala così un’esperienza che unisce la magia del cinema con il calore e l’intimità del proprio salotto. Dimenticate i proiettori tradizionali, destinati a essere soppiantati e a scivolare nel passato, qui la scatola magica è posizionata grazie al suo obiettivo a focale ultracorta proprio a ridosso della parete, occupando uno spazio minimo. E se la bellezza estetica incontra la perfezione tecnologica, pure l’armonia del living è mantenuta intatta perché il dispositivo si inserisce discretamente nella disposizione originaria degli arredi.

Nel living di Casa Platform a Milano la proiezione con il Leica Cine 1 a obiettivo a focale ultracorta in condizioni di...

Nel living di Casa Platform, a Milano, la proiezione con il Leica Cine 1 a obiettivo a focale ultracorta in condizioni di luce ambientale.

Photo by Gabriele Nava

Design, coinvolgimento, efficienza energetica

Vincitore del F Design Award 2023 per la pulizia delle sue linee, Leica Cine 1 incarna appieno la filosofia del brand di Wetzlar (in Assia, Germania) combinando forme classiche e materiali di qualità in un prodotto di alta precisione che non rinuncia all’eleganza estetica delle forme.

Grazie all’esclusiva tecnologia triplo laser RGB, LIO, all’obiettivo Summicron e alla pluriennale esperienza di Leica nel campo dell’ottimizzazione delle immagini digitali (Leica Image Optimization – LIO), la performance visiva è potenziata con algoritmi speciali, garantendo una resa cromatica naturale, con colori vibranti, sfumature ricche di dettagli e un ottimo rapporto di contrasto. Arricchito da elementi asferici di precisione, l’obiettivo si adatta con precisione alle dimensioni dell’immagine, con risoluzione 4k su schermi da 80 a 120 pollici arricchita da un coinvolgente suono surround Dolby Atmos 4.0.

Oltre che per le sue specifiche tecniche, Leica Cine 1 si distingue anche per quanto riguarda il consumo energetico: la tecnologia laser utilizzata infatti richiede molta meno energia rispetto a un televisore oled di dimensioni comparabili. Per una migliore esperienza di proiezione di film e multimedia e un coinvolgimento visivo più intenso, Leica consiglia gli schermi ad alto contrasto specifici con ALR (Ambient Light Rejection), fissati alla parete o motorizzati e progettati per Leica Cine 1, disponibili presso i Leica Store e i rivenditori autorizzati. Protetto da una garanzia di tre anni, Leica Cine 1 è disponibile a un prezzo di vendita consigliato di 6995 € per il modello da 80 pollici, 8495 € per il modello da 100 pollici e 8995 € per il modello da 120 pollici.

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Dune – Parte due completa il film di fantascienza più radicale dei nostri anni

Author: Wired

È davvero difficile rimanere indifferenti di fronte all’inizio di questo secondo film che completa la trasposizione del primo romanzo della saga di Dune. In una scena di attacco e difesa in cui i Fremen, popolazione indigena del pianeta sabbioso Arrakis a cui si sono uniti gli ultimi rimasti del nobile casato Atreides, attaccano e sabotano la raccolta della preziosa spezia, c’è un’unione di spettacolarità da cinema di grande incasso americano ed elevazione artistica da grandissimo regista di colori, design e soprattutto tempi e stasi di Villeneuve. È davvero difficile non essere subito trasportati da questo ritmo non per forza concitato ma sempre teso, fatto di soldati che levitano, di arancioni, visioni, sabbie e contaminazione di mistico e secolare, ma soprattutto dall’unione di audio e visivo che generano un senso dell’atmosfera lontana ed esotica della fantascienza, con un senso del pericolo avventuroso eccitante.

È la cifra di tutta questa seconda parte del racconto (abbastanza fedele al romanzo) di Dune, in un film che non cambia niente rispetto al primo, ha la medesima impostazione narrativa e visiva, la stessa concentrazione sul risultato e sul tenere insieme una visione realmente senza compromessi e la necessità di creare un blockbuster che possa appassionare un pubblico molto vasto e non per forza interessato alla forma del cinema. A farlo ci pensa la capacità di Villeneuve di creare gravitas, cioè quel senso di peso specifico che ogni evento ha nel film e che passa dal contrasto tra grande e piccolo, le immensità del deserto, la vastità degli stadi, le altezze degli interni e la piccolezza degli uomini che si muovono tra mezzi o vermoni giganti pilotandoli, guidandoli o abbattendoli, affermando cioè il loro dominio sulle cose più titaniche.

Dune  Parte 2 completa il film di fantascienza più radicale dei nostri anni