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Al festival di Venezia il film-testamento di William Friedkin

Author: Wired

Nella storia raccontata da William Friedkin, l’avvocato della Marina americana Barney Greenwald (Interpretato da Jason Clarke) assume controvoglia l’incarico di avvocato difensore di Steve Maryk (Jake Lacy), primo ufficiale che deve affrontare la corte marziale per il reato di ammutinamento nei confronti del suo capitano, Phillip Queeg (Kiefer Sutherland).

Durante una tempesta i due si erano trovati in disaccordo sulla rotta da tenere per salvare nave ed equipaggio, ed è a quel punto che il primo ufficiale aveva comunicato di volersi avvalere della possibilità, prevista dal regolamento della Marina, di assumere il controllo nel caso che il comandante dimostri di non essere nel pieno delle sue funzioni mentali, insomma, in caso di “impazzimento”.

Il problema è che Queeg ha alle spalle una lunga carriera immacolata e che, i testimoni e gli esperti convocati in aula, non sembrano avallare la presenza di nessun sintomo di malattia mentale. O almeno così sembra…

Un successo lungo 70 anni

The Caine Mutiny Court-Martial di William Friedkin, che prossimamente verrà rilasciato su Paramount+, è arrivato postumo al festival del cinema di Venezia.

Il regista è morto il 7 agosto a 87 anni, pochi giorni dopo l’annuncio della sua presenza (fuori concorso) al festival che, tra l’altro, gli ha riservato anche un omaggio con la riproposta del film L’esorcista, a cinquant’anni dalla prima uscita.

Il film è ambientato tutto all’interno dell’aula di tribunale dove si svolge il processo ed è solo dialogo e praticamente zero azione, mettendo in evidenza soprattutto la bravura degli interpreti. Un impianto da palcoscenico non a caso, perché The Caine Mutiny Court-Martial era nato come testo per il teatro.

La prima messa in scena del dramma scritto dal premio Pulitzer Hermon Wouk risale al 1953 e fu un successo. Lo spettacolo venne riproposto in tour in giro per gli Stati Uniti fino all’approdo a Broadway l’anno successivo.

E, successivamente, ne fu tratto anche un film, nel 1954, interpretato da Humphrey Bogart e, quindi, nel 1988, un altro film, questa volta per la Tv, diretto da Robert Altman.

L’ambiguità del bene e del male per Friedkin

Da tempo William Friedkin aveva in mente una sua versione del testo – che ha reso più contemporaneo ambientandolo nel 2022, invece che durante la seconda guerra mondiale – di cui lo affascinava l’ambiguità nel confine tra bene e male, tra giustizia e ingiustizia che, poi, è sempre stato un tema ricorrente nei film del regista.

E a tenere avvinto il pubblico è proprio il giudizio altalenante: le varie deposizioni forzano lo spettatore a prendere di volta in volta l’una o l’altra posizione. È possibile che il comandante Queeg avesse davvero perso la ragione o, comunque, il senso della realtà? E non solo durante la tempesta, ma da tempo, come farebbero pensare certe sue bizzarre ossessioni e la sua attenzione maniacale per l’ordine e la forma? Oppure il primo ufficiale si è lasciato sopraffare dalla paura e ha agito d’impulso?

La risposta arriverà solo quanto l’avvocato difensore chiamerà in aula a testimoniare lo stesso Queeg.

Ma il vero finale, a sentenza emessa, è ancora più sorprendente e costringe ancora una volta lo spettatore a rimettere tutto in discussione.

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Anche in un film imperfetto, Sofia Coppola trova il suo mondo

Author: Wired

La parte stupefacente dei film di Sofia Coppola è come riesca a mostrare qualcosa dell’animo delle ragazze così intimo e profondo che gli altri cineasti e cineaste non sembrano nemmeno conoscere, figuriamoci poter raccontare! Ci riesce anche nei film non riusciti, come Priscilla, è proprio una capacità di comprensione di quell’animo unita a una capacità altrettanto grande di racconto. Anche per questo, alle volte e solo per la durata dei suoi film, si può avere l’impressione che i suoi siano i soli film al mondo che parlino realmente dell’essere donna.

È un’iperbole, ma nemmeno troppo. Come tutti grandi registi e registe, Sofia Coppola racconta sempre un mondo interiore molto specifico, cosa significhi essere donna (e molto spesso diventare donna) in mondi amplificati, particolarmente grandi, particolarmente stringenti, particolarmente potenti, come se in quelle situazioni emergessero con maggiore evidenza questioni e problemi che si trovano nelle vite di tutte. E in quello non la batte nessuno.

Così anche Priscilla, la storia della prima moglie di Elvis Presley, è un film che già sulla carta è perfetto per lei. La trama adatta l’autobiografia della stessa Priscilla Presley, quindi è la sua voce e il suo punto di vista sul tempo che ha passato con Elvis, dai 15 ai 27 anni. Il film inizia quando lo conosce e finisce quando lo lascia. Anche per questo (è facile immaginare) in Priscilla non ci sono le musiche di Elvis, perché la famiglia non ha acconsentito all’uso. Un film approvato dalla protagonista ma non dalla famiglia dell’ex marito. Non ne esce benissimo infatti Elvis, per quanto essendo un film di Sofia Coppola, la visione sia molto complicata e non a senso unico.

Sofia Coppola trova il suo mondo anche in un film imperfetto come Priscilla

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Chi è Gabriel Guevara, l’attore che è stato arrestato a Venezia

Author: Wired

Si trovava a Venezia per ritirare un premio al Filming Italy Best Movie International Award, ma secondo quanto riportato dalla testata Europa Press, sarebbe stato arrestato: Gabriel Guevara, attore spagnolo di 22 anni, sarebbe infatti destinatario di un mandato di arresto internazionale emesso dalla Francia per violenza sessuale, reato commesso in territorio francese quando era ancora minorenne. L’arresto è avvenuto sabato 2 settembre mentre Guevara, che avrebbe dovuto ritirare domenica sera il Filming Italy Best Movie International Award Young Generation, si trovava già nel capoluogo veneto. Il 22enne spagnolo è diventato famoso soprattutto per il suo ruolo nel film Culpa mia, uscito nel 2023, e nella serie tv adolescenziale Skam España, uscita tra il 2018 e il 2019.

La notizia dell’arresto ha iniziato a diffondersi dopo che i fan hanno notato l’assenza dell’attore alla premiazione. La commissione ha deciso di sospendere l’assegnazione del premio fino a nuovi sviluppi sulla vicenda. La Biennale, con una nota, ha preso le distanze dall’accaduto, sottolineando che l’attore non era stato invitato all’80esima Mostra internazionale d’Arte cinematografica in corso in questi giorni a Venezia. L’avvocato di Guevara, Pedro Fernández González, ha rilasciato un comunicato in cui parla di “detenzione irregolare” del 22enne e si è detto speranzoso del fatto che venga rilasciato una volta comprovato l’errore.

Nel comunicato, il legale dell’attore ha specificato che il fermo è avvenuto in seguito a un processo che aveva avuto inizio molti anni fa, quando l’attore era ancora minorenne, e che si è concluso in favore di Guevara. Anche la madre, l’attrice Marléne Mourreau, ha riferito ai microfoni di Telecinco che l’arresto del figlio è una bugia, anche se ha ammesso di non averlo sentito per telefono, e che il figlio non è mai tornato in Francia da quando aveva 12 anni nel 2015. Intanto, si attende che il tribunale riesamini il caso prima che l’attore venga estradato.

Chi è Gabriel Guevara

Gabriel Guevara, nato il 6 febbraio 2001 a Madrid, ha interpretato il ruolo di Cristian Miralles Haro nella serie tv adolescenziale Skam España, che lo ha portato a raggiungere la notorietà negli anni 2018 e 2019. I suoi genitori sono l’attrice e conduttrice televisiva spagnola Marléne Mourreau e il ballerino cubano Michel Guevara. Nella sua carriera, il giovane ha recitato come protagonista del film Culpa Mia, uscito nel 2023 e presentato in anteprima su Amazon Prime Video, dove il pubblico lo ha visto nei panni di Nick Leister. Il film è ispirato alle vicende raccontate nei romanzi di Mercedes Ron. Nel 2020, quando aveva 19 anni, l’attore ha recitato nel film Charter, mentre nel 2022 ha partecipato alle riprese del film Mañana es hoy, anch’esso uscito su Amazon Prime Video. L’attore deve la sua notorietà anche alle serie tv: oltre a Skam España, Guevara infatti ha recitato in Señoras del (h)AMPA, in onda su Telecinco, mentre ha vestito i panni di Dario in Hit. In seguito, ha preso parte alla serie tv di Netflix, Tu no eres especial, uscita nel 2022.

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The Killer: David Fincher torna con un thriller immersivo

Author: Wired

Quando si parla di registi che non sbagliano un colpo si parla di David Fincher. Dopo i suoi vari (e memorabili) Se7en, Fight Club, Zodiac, The Social Network, Millennium e Gone Girl, porta adesso in concorso a Venezia The Killer, con Michael Fassbender e Tilda Swinton.

Un thriller tesissimo diviso in sei capitoli, tratto dalla graphic novel di Alexis Nolent e scritto da Andrew Kevin Walker di Se7en. Si regge in gran parte sulla performance di Fassbender, concentrato e algido più che in L’uomo di neve nei panni del sicario senza nome, un uomo assoldato per la sua maniacale precisione a uccidere e il suo talento a non lasciare tracce. Si mimetizza a Parigi con cappello e occhiali scuri, mirando a confondersi tra la folla e allenandosi a essere invisibile, cosa non facile nel 21mo secolo, sottolinea Fincher.

David Fincher torna con un thriller immersivo The Killer

Courtesy of Netflix

Il segreto del killer perfetto

Lo svela e ripete lui stesso fino allo sfinimento, come un mantra da tenere bene in mente nei momenti cruciali. Essere vigile, calmo ma sempre in movimento, non lasciare traccia ai “folletti” (agenti), nè alle telecamere. Non servire un dio, un Paese o una bandiera. Non provare empatia, che rende deboli e quindi vulnerabili. Giocare d’anticipo, non improvvisare, non fidarsi di nessuno, essere efficiente per un solo motivo: “Non me ne frega un c**o“. Infine chiedersi a ogni passo: “Io che cosa ci guadagno?“.

Peccato che la teoria sia puntualmente sconfitta dalla pratica: malgrado le buone intenzioni e gli anni di esperienza, qualcosa inevitabilmente va storto, a riprova che anche il killer più perfetto può sbagliare. Così, tra posizioni di yoga, sparachiodi, pittbull arrabbiati e cadaveri nel bidone il nostro anti-eroe si ritroverà in una spirale di situazioni sempre più problematiche e pericolose. Durante le quali incontrerà, tra l’altro, tutta una serie di personaggi preannunciati dai titoli dei capitoli, come “l’esperta” detta Cotton Fioc interpretata da Tilda Swinton. Scene di violenza nuda e cruda sono attraversate da battute di umorismo sparse qua e là, utili a spezzare la tensione e a rendere più vivace il ritmo della narrazione, sempre sospesa nell’atmosfera di tensione a cui ci ha abituato negli anni il cinema di David Fincher. È incredibile pensare che questo film sia stato girato “in pandemia e con una maschera addosso“, data la complessità e la riuscita qualitativa di una serie di sequenze d’azione più che credibili.

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Le vacanze di Capodanno di Roman Polanski

Author: Wired

Se qualcosa sembra questo film di Polanski è quindi un aggiornamento delle vecchie commedie nel segno dei film di Ruben Ostlund come The Square o Triangle Of Sadness, la quintessenza delle commedie d’autore contemporanee. A scanso di equivoci: Polanski non vuole giocare nel terreno di Ostlund, non vuole qualcosa di realmente sofisticato, semmai vuole aggiornare l’umorismo guardando a quello lì, vuole divertirsi un po’ con un film estremamente leggero che rida di ciò che, evidentemente, fa ridere anche lui. E per una gran parte di The Palace ci riesce, come quando dà una spallata all’attualità, mostrando il discorso di insediamento che proprio in quel giorno, il 31 dicembre del 1999, pronunciò Vladimir Putin introdotto da Boris Yeltsin. Sono le immagini reali e solo per la maniera in cui sono posizionate nel film (e per come parlano dell’oggi) fanno ridere.

Al netto di una fattura che sconta budget non stellari (alcuni momenti dell’hotel visto da fuori, costruito in computer grafica, gridano vendetta), il lavoro sugli attori e su un umorismo decisamente popolare nelle trovate ma molto sofisticato nell’esecuzione, è di primo livello. The Palace aggiunge infatti alla commedia viennese classica una fortissima critica sociale. Quel genere nasceva per far ridere le élite di se stesse, con garbo, era fatto di personaggi sofisticati e amori cortesi tra classici servitori sciocchi o nobiluomini scemi. Era un genere di parola che al cinema è stato reso alla perfezione da Ernst Lubitsch. Ora, quasi 90 anni dopo quelle commedie, Polanski non ride dei ricchi con i ricchi e per i ricchi; ride dei ricchi per chi ricco non è. Li ritrae come mostri della chirurgia con corpi che non fanno che tradirli.

Roman Polanski la nostra recensione di The Palace