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Come funziona l’AI di Inps che incrocia domanda e offerta di lavoro

Author: Wired

Un sistema di intelligenza artificiale che legge i curriculum e trova l’indice di affinità con le offerte di lavoro. Lo ha arruolato l’Inps per analizzare i profili delle persone iscritte al Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa (Siisl), la piattaforma del ministero del Lavoro dedicata a chi riceve l’assegno di inclusione o il supporto formazione e lavoro (con cui il governo Meloni ha sostituito dall’anno scorso il reddito di cittadinanza). Attraverso l’analisi di 18 variabili del profilo di un candidato, l’algoritmo stabilisce quanto è compatibile uno dei 173mila curriculum oggi presenti sulla piattaforma rispetto alla tipologia di lavoro offerto.

Obiettivo dichiarato dell’Istituto nazionale di previdenza sociale è “la semplificazione dell’interazione utente con la banca dati”, alimentata da un lato dai curriculum degli iscritti al Siisl, condizione necessaria per attivare i percorsi di sostegno e di rientro nel mondo del lavoro, e dall’altro dagli annunci delle agenzie per il lavoro. Il sistema di intelligenza artificiale mostrerà ai primi e alle seconde il livello di compatibilità. “Abbiamo concluso il periodo di training – spiega a Wired Massimiliano D’Angelo, direttore centrale tecnologia, informatica e innovazione dell’Inps -. Il sistema ora è operativo“.

Come funziona l’algoritmo

Come funziona l’AI della piattaforma dell’Inps? L’istituto ha lavorato al progetto con Accenture, con cui ha un contratto per la fornitura di servizi informatici. L’algoritmo di machine learning, che gira su sistemi di proprietà dell’ente, è basato su un modello open source, allenato su dataset in lingua italiana. L’elaborazione dell’indice di affinità si basa su 18 parametri, che afferiscono a cinque aspetti determinanti nella ricerca del lavoro: l’esperienza personale, la vicinanza alla sede, il percorso di formazione, le competenze e le aspirazioni. Tra i parametri vi sono livello di studi e corsi di formazione, il Comune di residenza e la disponibilità a trasferirsi, le conoscenze informatiche o quelle linguistiche, qualifiche professionali, preferenza sulla modalità di lavoro o sul tipo di contratto, le principali mansioni svolte. Un calderone di dati che il sistema legge e analizza.

L’algoritmo opera in due modi. Da un lato, spiega Pierpaolo Bonanni, dirigente dell’area technology innovation di Inps, “l’algoritmo calcola la distanza semantica tra le frasi usate nel curriculum e quelle usate nell’offerta di lavoro, come la descrizione del job title o il tipo di esperienza, dall’altro riconduce la descrizione del cittadino a campi categorici facilmente confrontabili poiché valori deterministici, come nel caso delle qualifiche professionali che possono essere ricondotte alle categorizzazioni ufficiali delle professioni”. Detto altrimenti: l’algoritmo può incrociare domande e offerte usando una molteplicità di variabili, scomponendo il problema complessivo del matching in problemi più piccoli. Nel caso delle categoria, l’algoritmo usa un sistema che confronta le definizioni con le classificazioni ufficiali delle professioni sviluppate da Istat nel 2011 e nel 2021. Nel caso invece della distanza semantica, alla base c’è il modello open source Sentence transformer, che elabora una percentuale di similarità del coseno tra le frasi che mette a confronto.

La gestione dei dati

A quel punto avviene la “pesatura” delle variabili, che si traduce nel riempimento del gradiente per ciascuna delle cinque macro-aree di analisi. Al momento Inps non mostra ai candidati il “punteggio” ricevuto per ciascuna variabile, per evitare che questo possa spingere la persona a modificare alcuni elementi di partenza per ottenere risultati più alti, ma sulla piattaforma è presente un filo diretto con gli sviluppatori per avere lumi sul funzionamento. Inoltre “il risultato non è vincolante – specifica D’Angelo -. Il sistema non esclude i candidati che hanno una affinità bassa rispetto a un’offerta e le agenzie del lavoro potranno vedere tutti i curriculum”. Al tempo stesso, aggiunge, il sistema non fa ricorso a dati “sulla situazione anagrafica, sociale, sanitaria ed economica della persona”.

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Perché quota 104 penalizza le pensioni

Author: Wired

Sono in tutto 91 gli articoli che compongono la seconda legge di bilancio del governo Meloni, approvata in consiglio dei ministri il 16 ottobre. Tra i vari macro capitoli, spicca quello dedicato alle pensioni e a quota 104.

In questo senso, come riporta Il Sole 24 Ore, il governo ha stabilito che per la fascia tra quattro e cinque volte volte il minimo di 563,74 euro l’indicizzazione salga dall’85 al 90%. Contestualmente, l’esecutivo ha tagliato di dieci punti (dal 32 al 22%) quella relativa alle pensioni oltre le dieci volte il minimo, quelle più alte. È inoltre stato previsto l’adeguamento totale all’inflazione per i trattamenti fino a quattro volte il minimo. Una novità riguarda le donne, che possono uscire con una nuova Ape allargata nel caso in cui abbiano maturato 35 anni di contributi e abbiano 61 anni di età, che scendono a 60 con un figlio e a 59 con più di un figlio.

La novità principale in tema pensioni riguarda però probabilmente quota 104. Ne è stata infatti prevista una forma penalizzata per la pensione anticipata per chi dovesse avere almeno 63 anni di età (nel 2023 erano 62) e aver maturato 41 anni di contributi. Secondo la bozza della finanziaria, chi vorrà usufruire di questo nuovo strumento dovrà fare i conti con una riduzione dell’importo relativo alla quota retributiva e legato all’età di uscita. Coloro che dovessero essere in possesso dei requisiti per Quota 104 ma sceglieranno di non andare in pensione potranno continuare a usufruire invece anche per il 2024 del cosiddetto bonus Maroni: la quota di contributi previdenziali a carico del lavoratore, in tal caso, confluiranno in busta paga.

La legge di bilancio allunga inoltre la durata delle finestre, ovvero del tempo d’attesa utile ad avere concretamente la pensione, che parte una volta raggiunti i requisiti: si passa in particolare da tre a sei mesi per chi ha lavorato nel settore privato e da sei a nove mesi per chi lo ha fatto nel settore pubblico.