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In Europa i casi di morbillo sono esplosi

Author: Wired

I casi di morbillo in Europa sono aumentati di 45 volte nel 2023 rispetto al 2022, quando ne erano stati segnalati solo 942. Nell’anno appena passato, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha rilevato un record di 42mila casi diffusi in 41 dei 53 paesi parte di quella che definisce “regione europea”, un’area che comprende gli stati membri dell’Unione europea e molti altri, compresi Kazakhstan, Russia e Turchia.

Il paese più colpito è il Kazakhstan, con più di 13mila casi rilevati tra dicembre 2022 e novembre 2023. Dopo vengono la Russia, con oltre 10mila casi, e il Kirghizistan con 5.452. Un forte aumento è stato segnalato anche in Turchia, con 4.584 casi, in Azerbaijan con ne ha contati 3.316, ma anche in Romania (1.714) e Uzbekistan (1.260). Tra i paesi dell’Europa occidentale si trova invece il Regno Unito, che nonostante sia un’economia altamente sviluppata ha registrato 183 casi.

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I casi di morbillo sono in aumento

Un nuovo report dell’Oms e dei Cdc rinnova l’allarme: sono sempre di più i paesi dove si verificano epidemie della malattia infettiva e crescono anche i decessi. Serve correre con le vaccinazioni

E in Italia?

In Italia, invece, la situazione è ancora sotto controllo. In base all’ultimo bollettino dell’Istituto superiore di sanità (Iss) pubblicato lo scorso settembre e relativo solo ai primi 8 mesi del 2023, i casi segnalati sono solo 11, di cui 9 confermati e 2 indicati come “possibili”. La maggior parte degli episodi di insorgenza della malattia sono stati rilevati in Lombardia, con 3 segnalazioni, mentre la metà dei pazienti totali ha un’età compresa tra i 15 e i 39 anni, mentre

L’Oms ha sottolineato come, nel 2023, la malattia non abbia riguardato solo i minori, solitamente più esposti, ma si sia diffusa in diverse fasce di età. Due casi su cinque sono stati riscontrati in persone tra 1 e 4 anni, mentre uno su cinque persone adulte con più di 20 anni. Inoltre, tra gennaio e ottobre 2023, nella “regione europea” sono state ricoverate per morbillo 21mila persone e 5 sono morte a causa della malattia in 2 paesi.

Come ci si ammala di morbillo

Il morbillo è una malattia altamente contagiosa che infetta le vie respiratorie. La trasmissione avviene per via aerea, con la contagiosità che si manifesta circa tre giorni prima dei sintomi e persiste fino a una settimana dopo la scomparsa dei caratteristici puntini rossi. Oltre alla febbre alta e al raffreddore, il morbillo può causare polmoniti, encefaliti, otiti e anche la morte, in circa tre casi ogni mille tra i minori.

L’unico mezzo per interrompere la diffusione è mediante la vaccinazione, ma negli ultimi anni l’Oms ha segnalato un significativo rallentamento, con circa 1,8 milioni di bambini rimasti senza vaccino nel periodo compreso tra il 2020 e il 2022, ossia durante la fase più critica della pandemia da coronavirus. Inoltre, il vaccino Mpr (cioè per morbillo, parotite e rosolia) è stato al centro di forti contestazioni a causa della disinformazione e di un vecchio e falso studio del 1998, smentito ormai da tutte le più importanti organizzazioni sanitarie al mondo, compresa l’Oms, e ritirato dalla stessa rivista che lo aveva pubblicato, The Lancet.

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Facciamo chiarezza sulla storia del green pass mondiale

Author: Wired

Sul cosiddetto green pass mondiale, hanno già cominciato a circolare le teorie del complotto più disparate. Satanismo, dittatura sanitaria, piano criminale per vendere la salute alle compagnie farmaceutiche sono alcune delle accuse lanciate contro l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e l’Unione europea, per aver siglato un accordo sulla salute digitale. Una partnership volta a facilitare lo scambio e l’interoperabilità dei dati sanitari per la ricerca scientifica e lo sviluppo della telemedicina e non a imporre una qualche restrizione alle libertà personali.

I fatti

Ma andiamo con ordine. Lunedì 5 giugno 2023, Stella Kyriakides, commissaria europea per la Salute, e il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, hanno firmato un accordo amministrativo e una lettera di intenti presso la sede dell’Organizzazione a Ginevra, che sancisce l’adozione del sistema di certificazione vaccinale dell’Unione europea, conosciuto in Italia come green pass, da parte dell’Oms.

Questo non significa che sta per venire imposto un nuovo green pass gestito dall’Oms, ma che l’Organizzazione adotterà il quadro tecnico e normativo di riferimento usato dall’Unione europea, per migliorare la circolazione dei dati sanitari secondo standard condivisi. Un sistema che si tradurrà in una specie di libretto sanitario elettronico, come quello fornito in Italia dalle Aziende sanitarie locali, ma verificabile e accettato in tutto il mondo.

In sostanza, si tratta di un’estensione e digitalizzazione del Certificato internazionale di vaccinazione o profilassi, la cosiddetta Carta gialla, necessaria per verificare l’avvenuta vaccinazione contro alcune malattie pericolose e richiesto per l’ingresso in determinati paesi. Una specie di passaporto sanitario, nato nel 1933 in Olanda e adottato dall’Organizzazione mondiale della sanità nel 1951.

Le precisazioni e le strategie future

Nell’ambito della digitalizzazione di questi dati l’Oms ha specificato che non avrà accesso ad alcuna informazione sanitaria personale, ma manterrà solamente il controllo sulla lista delle chiavi pubbliche usate per verificare l’autenticità di questi documenti, la cui gestione resta affidata ai singoli stati, come già accade per il quadro sanitario di ogni cittadino o cittadina.

L’iniziativa è il primo tassello per implementare la strategia globale di sanità digitale dell’Oms, pubblicata nel 2020, studiata per assicurare migliori trattamenti sanitari in tutto il mondo grazie alle nuove tecniche di telemedicina, che permettono la cura dei pazienti a distanza, anche in contesti difficili e di isolamento.

Inoltre, lo scambio e la circolazione dei queste informazioni consentirà la creazione di una banca dati globale al servizio della ricerca scientifica, che permetterà l’integrazione con altri sistemi e registri per sviluppare nuove cure, nuove politiche sanitarie basate sulle esigenze delle persone e usare l’intelligenza artificiale per accelerare la ricerca.

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Vaccini a mRna: che ruolo avranno nella lotta contro il cancro?

Author: Wired

Sembrerebbe che tutto sia successo nel giro di una manciata di anni, gli ultimi segnati dalla pandemia, eppure, come abbiamo più volte ricordato, la tecnologia dei vaccini a mRna era in studio da decenni. E dopo aver mostrato di funzionare contro le infezioni, come quella del coronavirus, tenta ora di affermarsi nel campo dell’oncologia. Nei giorni scorsi infatti, si è parlato tanto di vaccini a mRna contro il cancro, prima con gli annunci da parte dell’industria sull’arrivo nel giro di pochissimi anni di terapie a base di questa tecnologia contro i tumori (e non solo), poi con l’annuncio di alcuni risultati nel campo. Si tratta di quelli che riguardano il melanoma, una forma di tumore della pelle particolarmente aggressiva, per cui i vaccini a mRna sarebbero in grado (in combinazione con altri farmaci) di ridurre il rischio di recidiva in maniera sensibile.

Quando si è cominciato a parlare dei vaccini a mRna contro il coronavirus abbiamo cercato di spiegare come funzionasse questo nuovo modo di produrre i vaccini. E se è vero che la piattaforma rimane pressoché la stessa nel caso dei vaccini a mRna contro il cancro esistono alcune differenze importanti.

Come i colpiscono il tumore

I vaccini a mRna utilizzano le informazioni scritte nella molecola di Rna messaggero impacchettata alll’interno di particelle lipidiche per produrre nell’ospite la proteina corrispondente che funzionerà da stimolo per il sistema immunitario. Se tutto procede a dovere, infatti, l’mRna viene tradotto in proteina (l’antigene), contro cui si dirige la risposta del sistema immunitario. Contro Covid-19 tutti abbiamo ricevuto sostanzialmente lo stesso vaccino – con piccole differenze tra i vari vaccini a mRna delle diverse aziende e le versioni aggiornate contro le varianti – nel caso invece dei vaccini anticancro si parla di vaccini personalizzati. “Mentre per il Covid ci siamo immunizzati tutti contro la proteina spike del coronavirus per prevenire l’infezione e la malattia, nel caso dei tumori si selezionano i neoantigeni, ovvero proteine mutate prodotte dai tumori che il sistema immunitario dovrebbe riconoscere come estranee. Ogni tumore ne ha tantissimi”, racconta a Wired Italia Paolo Ascierto, direttore dell’Oncologia clinica sperimentale Melanoma Immunoterapia e Terapie Innovative dell’Istituto nazionale tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli. Sono alcuni di questi neoantigeni quelli che finiscono nei vaccini a mRna.

Il caso del melanoma, è quello dove la ricerca è più avanti. I dati presentati la scorsa
settimana al congresso dell’American Association for Cancer Research, già anticipati a dicembre, riguardano un vaccino per cui sono stati utilizzati fino a 34 i neonatigeni per evocare una risposta immunitaria contro il tumore, ricorda Ascierto. Come sono stati trovati? Eseguendo un confronto tra le caratteristiche delle cellule tumorali e quelle sane per identificare le firme molecolari caratteristiche del tumore di quel paziente.

I vaccini terapeutici: li utilizzeremo mai da soli?

La differenza di questi vaccini anticancro rispetto a quelli usati contro virus e batteri è che si tratta, come si deduce, di vaccini terapeutici, usati non a scopo preventivo per scongiurare il rischio di tumore, ma sviluppati per evocare una risposta immunitaria in grado di uccidere le cellule cancerose”, puntualizza Ascierto. Quella stessa risposta che spesso i tumori riescono a evadere. Negli anni medici e ricercatori hanno messo a punto terapie per potenziare e risvegliare il sistema immunitario contro il tumore. Come gli inibitori dei checkpoint immunitari (cui è andato il Nobel nel 2018) che mirano a togliere i freni al sistema immunitario. Uno di questi è il pembrolizumab, un anticorpo monoclonale. “Il vaccino a mRna utilizzato contro il melanoma è stato utilizzato insieme a questo anticorpo – riprende Ascierto – gli inibitori dei checkpoint immunitari, pembrolizumab e nivolumab, sono infatti lo standard di cura nel melanoma. Utilizzarli insieme al vaccino ci aiuta ad attivare il sistema immunitario, mentre la presenza dei neoantigeni nel vaccino a montare una risposta mirata nei loro confronti e dunque nei confronti del tumore”.

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Sistema immunitario, c’è chi vuole allungargli la vita

Author: Wired

In effetti, il progetto non è stato finanziato per i primi otto anni, sopravvivendo solo grazie ai membri del laboratorio che gli hanno dedicato il proprio tempo libero. La domanda centrale che lo studio cercava di indagare, però, era ambiziosa: è inevitabile che le cellule immunitarie invecchino? Nel 1961, il microbiologo Leonard Hayflick sostenne che tutte le nostre cellule (ad eccezione di ovuli, sperma e tumori) possono dividersi solo un numero finito di volte. Negli anni Ottanta, dei ricercatori formularono l’idea che il processo potrebbe avvenire attraverso l’erosione dei telomeri protettivi – una sorta di aghetto alla fine dei cromosomi – che si accorciano quando le cellule si dividono. Dopo un numero sufficiente di divisioni, non rimangono più telomeri a proteggere i geni.

Nel giro di poco tempo, il progetto di Masopust ha iniziato a occupare la maggior parte del tempo di Soerens. L’immunologo doveva immunizzare la colonia di topi, prelevare campioni e attivare nuovi gruppi di linfociti T. Soerens doveva anche contare le cellule e analizzare la miscela di proteine che producevano, prendendo nota dei cambiamenti nel corso degli anni, che possono indicare cambiamenti nell’espressione genetica di una cellula o addirittura mutazioni nella sequenza genica.

Un giorno, poi, è arrivata una variazione diversa dalle altre: un alto livello di una proteina associata alla morte cellulare, chiamata PD1. Le cellule in questione però non erano esaurite: continuavano a proliferare, a combattere le infezioni microbiche e a formare cellule di memoria longeve, tutte funzioni che il laboratorio considerava marcatori di salute e longevità.

Così il laboratorio ha continuato a lavorare allo studio. Alla fine, dice Masopust, “la domanda era: quanto tempo è sufficiente per andare avanti prima di aver dimostrato il punto?”. Dieci anni sembravano adeguati (per la cronaca: tutti i gruppo di cellule dello studio sono ancora attive).

Nuovo paradigma

Susan Kaech, professoressa e direttrice di immunobiologia presso il Salk Institute for Biological Studies, sottolinea che la memoria immunitaria di lunga durata non è di per sé rivoluzionaria: li linfociti T umani possono sopravvivere per decenni se non vengono attaccati. Ciò che è davvero senza precedenti è che queste sono state sottoposte ad attacchi per un periodo di dieci anni: “Sarebbe come correre una maratona ogni mese”, aggiunge Kaech.

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Vaccino per le api, approvato il primo al mondo

Author: Wired

Il Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti (Usda) ha approvato l’utilizzo del primo vaccino in assoluto per le api per prevenire la peste americana, una malattia batterica nota per attaccare le larve delle api e responsabile, perciò, della costante riduzione di colonie di api da miele registrata nella nazione dal 2006. L’Usda, infatti, ha rilasciato una licenza condizionale per il nuovo vaccino sviluppato dall’azienda biotecnologica Dalan Animal Health, in Georgia, che prevede di distribuire il vaccino inizialmente solo ad alcuni apicoltori, e renderlo disponibile in commercio entro quest’anno. “Speriamo che la disponibilità di questo prodotto aiuti nella prevenzione e/o nel trattamento della malattia della peste americana nelle api da miele, dato il loro ruolo centrale nell’agricoltura americana (ad esempio l’impollinazione)”, ha precisato alla Cnn l’agenzia.

Cos’è la peste americana

Come si legge direttamente dal sito dell’Usda è una malattia batterica delle api tra le più contagiose, diffuse e distruttive ed è per questo una delle principali sfide per gli apicoltori. Ad oggi, inoltre, non esiste una cura: il metodo principale per eradicarla, infatti, è la combustione delle api e degli alveari infetti, oltre all’uso di terapie antibiotiche. “Questo è un entusiasmante passo avanti per gli apicoltori, poiché oggi facciamo affidamento su un trattamento antibiotico che ha un’efficacia limitata e richiede molto tempo ed energia per essere applicato ai nostri alveari”, ha commentato Trevor Tauzer, membro della California State Beekeepers Association. “Se riuscissimo a prevenire un’infezione nei nostri alveari, potremmo evitare trattamenti costosi e concentrare le nostre energie su altri aspetti importanti per mantenere in salute le nostre api”.

Come funziona il vaccino

Ma in cosa consiste il nuovo vaccino? A differenza di quelli tradizionali, il vaccino delle api non viene inoculato tramite iniezione. Funziona, invece, introducendo una versione inattiva del batterio Paenibacillus larvae nella pappa reale, mangime zuccherino che viene somministrato all’ape regina. Una volta ingerito, quindi, il vaccino viene depositato nelle sue ovaie. Le larve che nasceranno, perciò, avranno l’immunità alla malattia e una riduzione significativa del rischio di morte per malattia. La comunità scientifica, ricordiamo, che ha a lungo creduto che gli insetti non potessero acquisire l’immunità in quanto mancavano di anticorpi, le proteine che aiutano il sistema immunitario a riconoscere e combattere virus e batteri. Negli anni, tuttavia, attraverso numerose indagini, i ricercatori hanno capito che, tramite una specifica proteina, gli insetti possono effettivamente acquisire l’immunità e trasmetterla alla loro prole.

Il vaccino, che arriva in un momento critico per le api millifere, vitali per il sistema alimentare mondiale ma in forte declino a causa dei cambiamenti climatici, pesticidi, perdita di habitat e diffusione di malattie, potrebbe rappresentare un punto di “svolta nella protezione delle api mellifere”, ha dichiarato Annette Kleiser, ceo di Dalan Animal Health. “La crescita della popolazione globale e il cambiamento climatico aumenteranno l’importanza dell’impollinazione delle api per garantire il nostro approvvigionamento alimentare. Siamo pronti a cambiare il modo in cui ci prendiamo cura degli insetti, con un impatto sulla produzione alimentare su scala globale”.