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Cosa sappiamo dei bombardamenti degli Stati Uniti in Siria

Author: Wired

Con due bombardamenti di precisione contro depositi di munizioni e strutture offensive in Siria, gli Stati Uniti hanno dato il via alle loro prime operazioni di contenimento delle milizie sostenute dall’Iran, presenti in Medio Oriente. Gli Stati Uniti hanno così risposto al fuoco per la prima volta nella notte del 27 ottobre, dopo aver subìto 19 attacchi a bassa intensità verso le proprie basi in Iraq e Siria, che hanno ferito 21 soldati.

“Questi attacchi di autodifesa, di portata limitata, erano intesi esclusivamente a proteggere e difendere il personale statunitense in Iraq e in Siria. Sono separati e distinti dal conflitto in corso tra Israele e Hamas e non costituiscono un cambiamento nel nostro approccio al conflitto tra Israele e Hamas. Continuiamo a esortare tutte le entità statali e non statali a non intraprendere azioni che possano degenerare in un più ampio conflitto regionale”, ha detto il segretario della difesa statunitense Lloyd Austin.

Poche ore prima dell’attacco, il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, aveva minacciato Washington dal podio delle Nazioni Unite, dicendo che nemmeno gli Stati Uniti “sarebbero stati risparmiati” se Israele non avesse interrotto immediatamente la sua offensiva contro Hamas. E tutti i gli attacchi subiti dalle truppe statunitensi in Siria e Iraq, sono stati rivendicati da gruppi controllati direttamente a Teheran o comunque legati alle Guardie rivoluzionarie dell’Iran.

In sostanza, la risposta di Washington si configura come un chiaro avvertimento a tutte le forze ostili a Israele presenti nel Golfo, in particolare l’Iran, esortandole a lasciare che Tel Aviv e Hamas chiudano il loro conflitto privatamente. In caso contrario, l’esercito degli Stati Uniti è più che pronto a rispondere. Negli ultimi giorni, la presenza statunitense nella zona è stata rinforzata con un nuovo contingente da 900 unità, nuove difese anti aeree e due portaerei piazzate nel Mediterraneo orientale.

Tuttavia, gli Stati Uniti stanno correndo in equilibrio su un filo molto sottile e la loro strategia potrebbe degenerare facilmente in uno scenario terrificante. Se da un lato Washington ha tutto l’interesse a colpire duramente l’Iran e le sue milizie in Siria, Iraq o Libano, dall’altra deve farlo evitando di infiammare la regione e scatenare un conflitto più ampio. Così, almeno per ora, è costretta a tenere al minimo l’uso della forza, limitandosi ad azioni simboliche come quella compiuta nella notte del 27 ottobre.

Author: Wired

Con due bombardamenti di precisione contro depositi di munizioni e strutture offensive in Siria, gli Stati Uniti hanno dato il via alle loro prime operazioni di contenimento delle milizie sostenute dall’Iran, presenti in Medio Oriente. Gli Stati Uniti hanno così risposto al fuoco per la prima volta nella notte del 27 ottobre, dopo aver subìto 19 attacchi a bassa intensità verso le proprie basi in Iraq e Siria, che hanno ferito 21 soldati.

“Questi attacchi di autodifesa, di portata limitata, erano intesi esclusivamente a proteggere e difendere il personale statunitense in Iraq e in Siria. Sono separati e distinti dal conflitto in corso tra Israele e Hamas e non costituiscono un cambiamento nel nostro approccio al conflitto tra Israele e Hamas. Continuiamo a esortare tutte le entità statali e non statali a non intraprendere azioni che possano degenerare in un più ampio conflitto regionale”, ha detto il segretario della difesa statunitense Lloyd Austin.

Poche ore prima dell’attacco, il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, aveva minacciato Washington dal podio delle Nazioni Unite, dicendo che nemmeno gli Stati Uniti “sarebbero stati risparmiati” se Israele non avesse interrotto immediatamente la sua offensiva contro Hamas. E tutti i gli attacchi subiti dalle truppe statunitensi in Siria e Iraq, sono stati rivendicati da gruppi controllati direttamente a Teheran o comunque legati alle Guardie rivoluzionarie dell’Iran.

In sostanza, la risposta di Washington si configura come un chiaro avvertimento a tutte le forze ostili a Israele presenti nel Golfo, in particolare l’Iran, esortandole a lasciare che Tel Aviv e Hamas chiudano il loro conflitto privatamente. In caso contrario, l’esercito degli Stati Uniti è più che pronto a rispondere. Negli ultimi giorni, la presenza statunitense nella zona è stata rinforzata con un nuovo contingente da 900 unità, nuove difese anti aeree e due portaerei piazzate nel Mediterraneo orientale.

Tuttavia, gli Stati Uniti stanno correndo in equilibrio su un filo molto sottile e la loro strategia potrebbe degenerare facilmente in uno scenario terrificante. Se da un lato Washington ha tutto l’interesse a colpire duramente l’Iran e le sue milizie in Siria, Iraq o Libano, dall’altra deve farlo evitando di infiammare la regione e scatenare un conflitto più ampio. Così, almeno per ora, è costretta a tenere al minimo l’uso della forza, limitandosi ad azioni simboliche come quella compiuta nella notte del 27 ottobre.

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