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Clamoroso! Meloni ha scoperto che la Bossi-Fini è un flop: meglio tardi che mai

Author: Wired

Non è di certo una sorpresa, quella che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni vuole far passare per tale. Si sa praticamente da sempre che i famosi “decreti flussi” approvati ogni anno e legati alla legge Bossi-Fini che dal 2002 (non) regola l’immigrazione funzionino in sostanza da selvagge regolarizzazioni mascherate, orchestrate in gran parte e a vari livelli dalla criminalità organizzata. Operazioni che nulla risolvono, a pochi consentono un ingresso sicuro e rimangono inutili per chi lavori già in Italia e sia in disperata attesa di un meccanismo per regolarizzarsi.

Ma non si capisce la mossa di una premier che corre dal procuratore nazionale antimafia per consegnargli “un esposto sui flussi di ingresso in Italia di lavoratori stranieri avvenuti negli ultimi anni avvalendosi del cosiddetto decreto flussi”, come accaduto nei giorni scorsi secondo un’informativa di Giorgia Meloni al Consiglio dei ministri. Alla buon’ora, avrà risposto il procuratore Giovanni Melillo (che pure sul punto nulla può, come ricorda Il Manifesto).

Propaganda elettorale

In realtà se ne comprende il senso solo in chiave strategico-politica, come mossa propedeutica a un cambiamento radicale di quella legge, chiamato da anni a gran voce da anime di ogni tipo, nell’associazionismo e nella politica. E naturalmente come spot per gli ultimi giorni di campagna elettorale per le europee, questo è chiaro. Eppure quello strumento in oltre vent’anni si è trasformato in un totem intoccabile – ma che nella realtà si è caricato di numerose modifiche – del centrodestra. Lo aveva denunciato Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e strettissimo consigliere di Meloni, all’epoca della strage di Cutro e anche nei mesi seguenti. Aveva dato il suo via libera, in tante occasioni, persino uno dei padri di quel provvedimento, Gianfranco Fini. Quella “legge Arlecchino” piena di articoli bis ter e quater, così la definì Mantovano, è da cambiare. Anzi, da rifondare. Meloni si è decisa, sa che dovrà farlo nelle direzioni che da anni molte associazioni e partiti di centrosinistra indicano ma prima ha deciso di indossare i panni di chi si ritrovi obbligata dal dato di fatto: “I flussi regolari di immigrati per ragioni di lavoro vengono utilizzati come canale ulteriore di immigrazione irregolare” ha detto la premier. Ma dai.

Una legge contraria al buon senso

Ovviamente rimane da verificare in quale direzione verranno ripensate le politiche sull’immigrazione, negli scorsi anni lasciate nelle mani punitive dell’allora ministro dell’Interno Salvini e ancora oggi, anche in questo caso a vari livelli, ostaggio di vessazioni (vedi le indicazioni dei porti di sbarco alle navi di soccorso) e trappole burocratiche in cui banchettano le mafie. Ma i numeri, noti a tutti, dei famigerati click-day per i decreti flussi – per dimensioni e provenienza geografica delle richieste, ma non solo – da sempre raccontano i paradossi di quella legge: impossibile che un datore di lavoro assuma una persona mai vista e conosciuta che vive all’altro capo del mondo, senza neanche sapere se, come e quando potrà arrivare in Italia.

Il più delle volte il decreto flussi non incanala alcun flusso dall’estero ma, di fatto, fornisce un canale parallelo (e appunto in gran parte in mano al crimine organizzato) di regolarizzazione di chi già si trovi in Italia, da tempo alla mercé di caporali e schiavisti. Per altro una regolarizzazione molto contenuta e appunto del tutto pilotata: 800mila persone in oltre vent’anni. Numeri che, confrontati con i dati delle persone irregolarmente arrivate in Italia in questo lasso di tempo e attualmente presenti sul territorio senza i documenti in regola (circa 500mila), dimostra il fallimento assoluto di quel punto specifico della Bossi-Fini e in generale dell’impianto complessivo di quel provvedimento.

Author: Wired

Non è di certo una sorpresa, quella che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni vuole far passare per tale. Si sa praticamente da sempre che i famosi “decreti flussi” approvati ogni anno e legati alla legge Bossi-Fini che dal 2002 (non) regola l’immigrazione funzionino in sostanza da selvagge regolarizzazioni mascherate, orchestrate in gran parte e a vari livelli dalla criminalità organizzata. Operazioni che nulla risolvono, a pochi consentono un ingresso sicuro e rimangono inutili per chi lavori già in Italia e sia in disperata attesa di un meccanismo per regolarizzarsi.

Ma non si capisce la mossa di una premier che corre dal procuratore nazionale antimafia per consegnargli “un esposto sui flussi di ingresso in Italia di lavoratori stranieri avvenuti negli ultimi anni avvalendosi del cosiddetto decreto flussi”, come accaduto nei giorni scorsi secondo un’informativa di Giorgia Meloni al Consiglio dei ministri. Alla buon’ora, avrà risposto il procuratore Giovanni Melillo (che pure sul punto nulla può, come ricorda Il Manifesto).

Propaganda elettorale

In realtà se ne comprende il senso solo in chiave strategico-politica, come mossa propedeutica a un cambiamento radicale di quella legge, chiamato da anni a gran voce da anime di ogni tipo, nell’associazionismo e nella politica. E naturalmente come spot per gli ultimi giorni di campagna elettorale per le europee, questo è chiaro. Eppure quello strumento in oltre vent’anni si è trasformato in un totem intoccabile – ma che nella realtà si è caricato di numerose modifiche – del centrodestra. Lo aveva denunciato Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e strettissimo consigliere di Meloni, all’epoca della strage di Cutro e anche nei mesi seguenti. Aveva dato il suo via libera, in tante occasioni, persino uno dei padri di quel provvedimento, Gianfranco Fini. Quella “legge Arlecchino” piena di articoli bis ter e quater, così la definì Mantovano, è da cambiare. Anzi, da rifondare. Meloni si è decisa, sa che dovrà farlo nelle direzioni che da anni molte associazioni e partiti di centrosinistra indicano ma prima ha deciso di indossare i panni di chi si ritrovi obbligata dal dato di fatto: “I flussi regolari di immigrati per ragioni di lavoro vengono utilizzati come canale ulteriore di immigrazione irregolare” ha detto la premier. Ma dai.

Una legge contraria al buon senso

Ovviamente rimane da verificare in quale direzione verranno ripensate le politiche sull’immigrazione, negli scorsi anni lasciate nelle mani punitive dell’allora ministro dell’Interno Salvini e ancora oggi, anche in questo caso a vari livelli, ostaggio di vessazioni (vedi le indicazioni dei porti di sbarco alle navi di soccorso) e trappole burocratiche in cui banchettano le mafie. Ma i numeri, noti a tutti, dei famigerati click-day per i decreti flussi – per dimensioni e provenienza geografica delle richieste, ma non solo – da sempre raccontano i paradossi di quella legge: impossibile che un datore di lavoro assuma una persona mai vista e conosciuta che vive all’altro capo del mondo, senza neanche sapere se, come e quando potrà arrivare in Italia.

Il più delle volte il decreto flussi non incanala alcun flusso dall’estero ma, di fatto, fornisce un canale parallelo (e appunto in gran parte in mano al crimine organizzato) di regolarizzazione di chi già si trovi in Italia, da tempo alla mercé di caporali e schiavisti. Per altro una regolarizzazione molto contenuta e appunto del tutto pilotata: 800mila persone in oltre vent’anni. Numeri che, confrontati con i dati delle persone irregolarmente arrivate in Italia in questo lasso di tempo e attualmente presenti sul territorio senza i documenti in regola (circa 500mila), dimostra il fallimento assoluto di quel punto specifico della Bossi-Fini e in generale dell’impianto complessivo di quel provvedimento.

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