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Energia

La transizione energetica che non c’è

Author: stefania Rinnovabili

Come ogni anno a metà novembre, insieme ai primi assaggi di vero inverno, arriva puntuale la tappa più importante per chiunque si occupi di energia: il World Energy Outlook (WEO) di International Energy Agency (IEA). Si tratta della fonte di informazione più autorevole per quanto riguarda dati, statistiche e tendenze di mercato del settore energetico mondiale. Quali sono le novità rispetto all’anno scorso? Domanda energetica a circa 14.300 Mtoe (+2.3%), di cui l’81% proveniente da fonti fossili, emissioni di anidride carbonica che sfondano le 33.1 Gt/y (+1.7%) e grandi incertezze per il futuro. Questi in breve gli highlights presentati dal direttore esecutivo di IEA Fatih Biol. Nulla di incoraggiante, insomma.

 

Le contraddizioni del sistema energetico attuale

Il termine più usato da Birol durante il lancio del rapporto è stato “disparities”, ovvero “divari”, “divergenze”, “disuguaglianze”. La dettagliata panoramica che esce dalle 810 pagine del WEO19, in effetti mostra un mondo energetico dominato da forti contrasti ed incertezze, bloccato da una moltitudine di annunci e buoni propositi a cui tuttavia al momento non fanno poi seguito azioni e contromisure concrete.   Tre punti fondamentali per capire a cosa si riferiscono queste disparità.   In primo luogo, se uno dei primi propositi delle Nazioni Unite da anni è quello di garantire l’accesso a fonti di energia moderne ed efficienti a quante più persone possibile, rimangono 850 milioni di persone in tutto il Mondo a non avere accesso all’elettricità e ben 2.6 miliardi utilizzano biomassa solida, kerosene o carbone per cucinare all’interno delle loro abitazioni. Proponimenti ambiziosi si scontrano con una realtà impietosa. Disparità.  

Il focus si sposta quindi sulla crisi climatica. Gli impatti del climate change diventano sempre più visibili e devastanti con il passare dei mesi; la comunità scientifica ha ormai chiarito che è necessaria una transizione energetica senza precedenti per evitare danni irreparabili al nostro Pianeta. Nonostante ciò, nel 2018 da un lato le emissioni globali di CO2 crescono per il terzo anno consecutivo (+1.7%) segnando l’ennesimo record storico e dall’altro, il miglioramento dell’efficienza energetica media su base annua è il più basso (+1.2%) degli ultimi 10 anni. Il trasporto urbano continua ad essere uno dei maggiori responsabili delle emissioni di gas serra del Pianeta – i SUV da soli sono ormai il secondo contributore assoluto, superando persino l’intero settore industriale. Parole, raccomandazioni della Scienza ed azioni dei decisori politici non corrispondono, ancora una volta. Disparità. Il terzo ed ultimo punto che spiega le contraddizioni dell’attuale sistema energetico mondiale è più tecnico, ma ugualmente significativo: il prezzo del greggio sul mercato petrolifero.

Dall’inizio del 2018 infatti, Brent e WTI galleggiano intorno ad una cifra inaspettatamente stabile (circa 60$ al barile), nonostante episodi fortemente destabilizzanti. I 60$ hanno resistito agli attacchi agli impianti di Aramco di metà settembre, ma soprattutto alla diminuzione di offerta per tensioni geopolitiche di alcuni tra i maggiori produttori di crude al mondo – in particolare l’Iran, che è passato da 2.8 milioni di barili a 0.3 ed il Venezuela, da 1.2 a 0.5. Ancora disparità.   Siamo abituati insomma, ad applicare termini come disparità o disuguaglianza all’ambito sociale, economico o culturale. Ebbene, il WEO19 allarga il campo anche a quello energetico.  

L’istantanea del sistema energetico globale

Analizzando i dati del report che si riferiscono alla situazione attuale (l’anno 2018), un dato su tutti salta agli occhi: la transizione energetica verso un sistema sempre meno basato sulle fonti fossili si sta dimostrando più difficile del previsto.

La crescita della domanda energetica mondiale ha segnato un +2.3% rispetto all’anno scorso; tuttavia, circa il 70% della maggiore domanda energetica mostrata proviene da fonti fossili. La crescita delle risorse rinnovabili – solare fotovoltaico ed eolico prevalentemente – procede a doppia cifra, ma non è abbastanza. Il risultato in termini di emissioni di anidride carbonica infatti, è un aumento dell’1.7% che le porta nel 2018 al valore record di 33.1 Giga tonnellate su base annua. Tre Paesi soltanto si intestano il 70% di questo aumento: Cina, India e Stati Uniti. Domanda energetica ed emissioni associate sono aumentate sulla spinta di una crescita economica mondiale particolarmente marcata, stimata al +3.7% nel 2018.

Tre scenari per il futuro

Il WEO, oltre ad essere efficace strumento di analisi del sistema energetico attuale, traccia tendenze e fornisce percorsi su cui lo stesso si svilupperà. I modelli energetici, climatici ed economici di cui si serve IEA per le sue stime lavorano a partire da condizioni al contorno stabilite. Due delle più importanti: la crescita della popolazione – 9.7 miliardi di persone entro il 2050, secondo le Nazioni Unite  – e la crescita del PIL globale – 3.4% annuo, basato sulle proiezioni del Fondo Monetario Internazionale. Il WEO19 contiene quest’anno tre differenti scenari. Eccoli in breve.

Current Policies Scenario (CPS)

È lo scenario di politiche correnti. Ovvero spiega cosa accadrebbe se le politiche e gli obiettivi di decarbonizzazione rimanessero quelli in atto in questo momento. Nulla di più. La domanda energetica globale secondo il CPS crescerebbe in media dell’1.3% all’anno, arrivando a 19.000 Mtoe entro il 2040. In questo modo l’approvvigionamento energetico globale sarebbe sottoposto a forti tensioni ed ovviamente aumenterebbero ulteriormente le emissioni di gas serra (41.5 GtCO2/y entro il 2040), così come di conseguenza gli effetti del global warming.

Stated Policies Scenario (STEPS)

Comprende tutti i proponimenti e gli obiettivi climatici ed energetici ad oggi solo annunciati e che hanno ragionevole probabilità di essere implementati. Si tratta di un benchmark fondamentale per il legislatore: mostra le esatte conseguenze delle sue decisioni prese ad oggi. La crescita della domanda energetica si attesterebbe all’1% annuo e sarebbe coperta al 49% da fonti rinnovabili. Il peso delle fonti fossili sulla domanda entro il 2040, passerebbe secondo STEPS dall’attuale 81%, al 74%. Che significa? Molto semplice: anche considerando le politiche energetiche ed ambientali ad oggi solamente annunciate dai governi nazionali, non ci sarebbe traccia alcuna della transizione energetica e del Green New Deal di cui tanto si è parlato negli ultimi mesi. In termini di emissioni di CO2 infatti, STEPS prevede che continuino imperturbabili a crescere fino al 2040 arrivando a 35.6 Gt/y, portandoci senza esitazioni ad un riscaldamento di +2.7°C entro fine secolo.

Sustainable Develompent Scenario (SDS)

L’ultimo scenario elaborato da IEA rappresenta lo sviluppo sostenibile ed è il più auspicabile. Si tratta di una evoluzione di sistema climatico ed energetico “in linea con l’Accordo di Parigi del 2015” – ovvero mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C. Per farlo, secondo SDS è necessario che il picco di emissioni di gas serra avvenga il più presto possibile (2020). L’inversione di tendenza sarebbe brusca ma ancora fisicamente possibile: 10 Gt/y di CO2 emesse entro il 2050, per arrivare a “net zero” al 2070. SDS è l’unico degli scenari elaborati da IEA che prevede una leggera diminuzione della domanda energetica sul periodo 2018-2040. Il peso delle fossili sulla domanda totale scenderebbe secondo SDS al 58%.

Futuro incerto

Come detto in principio, il WEO19 mette in mostra le importanti contraddizioni che caratterizzano l’attuale sistema energetico globale. Contraddizioni se possibile ancora maggiori descrivono gli scenari futuri elaborati da IEA. Sia chiaro: non si tratta affatto di previsioni. Il senso è dare un’idea ai policy-makers del peso che avranno le loro decisioni oggi. CPS, STEPS e SDS esplorano effettivamente “futuri diversi” a partire da azioni, o inazioni – ovvero le scelte cruciali dei Governi in campo energetico ed ambientale – che determineranno il Pianeta di domani. Il futuro più auspicabile rappresentato in SDS significherebbe, rispetto a STEPS, 5 trilioni di dollari in più di investimenti in efficienza energetica e 1.1 trilioni in fonti rinnovabili. Si tratta di una enorme quantità di risorse, che si muoveranno solo ed esclusivamente sotto le spinte di un mercato che ad oggi non pare affatto collaborare.

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Ford toglie il velo a Mustang Mach E, primo SUV elettrico della Casa americana

Author: redattore2 Rinnovabili

Accanto alla nuova Mustang Mach E, Ford annuncia una futura gamma di pick-up a zero emissioni. L’idea è quella di accaparrarsi un mercato che negli States va per la maggiore

(Rinnovabili.it) – Destinato a concorrere  con le attuali Jaguar I-Pace e Audi e-Tron, nonché a sfidare il futuro cross over di Tesla, la nuova Mustang Mach E sarà per Ford soltanto il primo di una grande famiglia a zero emissioni. 

Un po’ come Harley-Davidson con la sua LiveWire, anche la casa automobilistica di Detroit, simbolo per eccellenza dei motori made in USA, ha scelto infatti di incamminarsi verso la motorizzazione elettrica, i cui numeri dovrebbero segnare – secondo la stime di LMC Automotive – il 17% delle vendite globali entro il 2030. 

Ford ha intraprese – come molte sue competitors – la strada delle zero emissioni, lanciando il nuovo SUV Mach E e, soprattutto, annunciando interessanti piani di sviluppo futuri sia per il mercato europeo che per quello statunitense. In riferimento a quest’ultimo, s’è parlato in particolare di nuovi pick-up a batteria utili a rafforzare ulteriormente la presenza del marchio in un segmento che agli americani piace parecchio. Se infatti la maggior parte delle case automobilistiche europee ed asiatiche – da Mercedes-Benz ad Audi, da KIA a Volkswagen – puntano su utilitarie, berline e, al massimo, SUV, la Casa di Dearborn guarda – anche – alle pesanti off-road, da riproporre ovviamente in salsa Green ed accaparrarsi così una fetta di mercato inevitabilmente destinato a crescere. Discorso a pare per l’Europa, sul cui mercato saranno lanciati 14 nuovi veicoli più in linea con le esigenze dei consumatori: “L’elettrificazione sta rapidamente diventando la scelta prevalente. Pertanto stiamo aumentando in modo sostanziale il numero di modelli elettrificati e opzioni di propulsione per soddisfare tutte le esigenze dei nostri clienti – ha affermato Stuart Rowley, President Ford of Europe – Facilitando al massimo il passaggio a un veicolo elettrificato, prevediamo che la maggior parte delle nostre vendite di automobili saranno con motori elettrificati entro la fine del 2022”.

>>Leggi anche: “Tesla conquista l’Europa: la quarta Gigafactory sorgerà in Germania”<<

Il primo passo in questa direzione è stato compiuto proprio con il SUV Mach E, disponibile con due diversi pacchi batteria agli ioni di litio, uno entry level da 75,7 kWh e l’altro “Extended Range” da 98,8 kWh.  Il primo dovrebbe offrire un’autonomia teorica di circa 450 km, il secondo di 600 km. Il SUV Mach E sarà inoltre disponibile sia a trazione posteriore che a trazione integrale: la prima sarà proposta con pacchetto da 258 e 285 cv, la seconda con ben tre livelli di potenza, cioè 258, 337 e addirittura 465 cv. 

Appena svelato, il Mach E nuovo sarà a breve esposto al Salone di Los Angeles. I clienti interessati potranno prenotarlo sul sito di Ford versando un anticipo di 500 dollari anche se, per metterselo in garage, bisognerà aspettare la fine del prossimo anno. 

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Più finanza “verde” con la nuova Commissione Ue: cosa bolle in pentola?


Author: Luca Re QualEnergia.it

Il vicepresidente esecutivo designato Valdis Dombrovskis ha anticipato alcuni temi prioritari per Bruxelles, nell’ambito di un piano decennale da mille miliardi di euro.

La finanza “verde” è in cima all’agenda politica della nuova Commissione europea: a confermare l’impegno in questa direzione è stato il vicepresidente esecutivo designato per l’Economia (e attuale vicepresidente nella commissione Juncker), Valdis Dombrovskis, in un discorso tenuto a Londra durante un convegno sulle priorità Ue in tema di green finance.

L’esecutivo guidato da Ursula von der Leyen prenderà il posto della commissione Juncker a dicembre; intanto stanno proseguendo le audizioni all’Europarlamento dei vari candidati commissari (vedi anche qui).

Dombrovskis, in particolare, ha ricordato che per finanziare la transizione verso un’economia “neutrale” dal punto di vista climatico, l’Europa dovrà investire massicciamente in molteplici settori, dai grandi impianti per la produzione e la distribuzione di energia pulita ai trasporti a basse emissioni di CO2, passando per l’efficienza energetica e i piccoli impianti a fonti rinnovabili.

Di conseguenza, la nuova commissione (traduzione nostra dall’inglese, con neretti) “stilerà un piano per sbloccare mille miliardi di euro di investimenti nei prossimi dieci anni”.

Poi Dombrovskis ha ricordato che Bruxelles ha già incorporato la sostenibilità in tutte le aree d’intervento del prossimo budget Ue 2021-2027; almeno il 25% di tale budget contribuirà a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ambientale.

Un altro punto prioritario della commissione von der Leyen è la trasformazione della Banca europea degli investimenti (BEI), che ha appena deciso di non finanziare più le fonti fossili dal 2021, in una banca sempre più attenta al clima, con l’obiettivo di dedicare almeno metà dei suoi finanziamenti ai progetti per l’azione climatica entro il 2025.

Tra le varie iniziative di finanza “verde”, Dombrovskis ha anche parlato della possibilità di espandere l’ecolabel europeo (l’etichetta che certifica il basso impatto ambientale di prodotti e servizi) ai prodotti finanziari e di favorire l’uso di prestiti e mutui green; inoltre, la commissione punta a definire uno standard per i green bond (le obbligazioni verdi), così da favorire i progetti sostenibili delle autorità regionali e locali.

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Deforestazione netta pari a zero, CDP: obiettivo fallito

Author: redattore2 Rinnovabili

deforestazione

Foto di Picography da Pixabay

L’industria dei beni di consumo deve allinearsi quanto prima alle richieste dei consumatori, oggi più attenti alla questione ambientale. Per combattere la deforestazione servono azioni rapide, concrete e condivise

(Rinnovabili.it) – Raggruppando oltre 400 membri, tra i quali figurano marchi come Unilever, Kraft e Mondelez, il Consumer Goods Forum aveva nel 2010 concordato l’obiettivo di porre fine alla deforestazione netta entro il 2020. Il tempo stringe e i risultati ancora non si vedono. L’analisi pubblicata oggi da CDP evidenzia al contrario come la maggior parte delle grandi aziende e multinazionali siano ben lontane dal raggiungimento di tale obiettivo. 

L’ONG ha analizzato 22 società attive nei diversi settori dei beni di consumo, compresi  fornitori di fast food e produttori di alimenti e beni per l’igiene personale e per la casa, riscontrando che solo una parte di essi ha preso provvedimenti concreti per affrontare il problema deforestazione. Nel dettaglio, il rapporto evidenzia che, tra queste, solo otto società stanno implementando pratiche globali di gestione delle foreste e del territorio come l’agricoltura rigenerativa e la gestione del suolo, solo tre hanno ottenuto certificazioni sostenibili per l’olio di palma ed una soltanto per il legname. 

Aziende leader come Nestlé e Proctor & Gamble hanno pertanto dovuto ammettere che, per il prossimo anno, sarà per loro impossibile raggiungere l’obiettivo di deforestazione netta pari a zero.

Ignacio Gavilan, direttore della sostenibilità ambientale presso il Consumer Goods Forum, ha ammesso che, sebbene le aziende abbiano fatto progressi nella lotta alla deforestazione, permangono tuttora “sfide significative”, che impongono all’organizzazione di “rivalutare il proprio approccio”. “Avremmo dovuto essere più veloci nel riconoscere i limiti degli interventi nella catena di approvvigionamento. Lo stiamo facendo ora e saremo più rapidi nel valutare il nostro impatto e ottimizzare i nostri sforzi”, ha affermato. “La singolare attenzione alle certificazioni ci ha spinti a pensare in piccolo. Abbiamo bisogno di un approccio più trasformativo che ci porti a un futuro positivo”.

>>Leggi anche: “Deforestazione nel mondo: il 70% delle aziende nasconde il proprio impatto”<<

Ponendo l’accento – anche – sull’aspetto economico, il CDP ha inoltre avvertito circa i “rischi significativi per la reputazione delle aziende”, derivanti dalle minacce ambientali loro imputabili, sottolineando il cambiamento delle tendenze dei consumatori e la crescente domanda di trasparenza sostenibilità. Ling Sin Fai Lam, senior analyst di ricerca presso CDP, ha pertanto esortato le aziende ad “agire rapidamente per offrire una piena e profonda trasparenza” delle proprie filiere: “dalle alternative vegetali alla carne al passaggio dalla plastica ad imballaggi in carta, le tendenze dei consumatori stanno influenzando le catene di approvvigionamento globali e, in definitiva, lo stato di salute delle nostre foreste”. 

Accanto alle aziende, devono però aumentare i propri sforzi anche i governi, impegnandosi affinché le leggi di tutela ambientale e contro la deforestazione vengano pienamente rispettate: “Sappiamo che politiche come il rispetto e la protezione dei diritti delle terre indigene e la promozione di condizioni di lavoro dignitose sono fondamentali per fermare la deforestazione“, ha concluso Gavilan. “L’industria dei beni di consumo è impegnata a collaborare con i governi, la Tropical Forest Alliance e altre parti interessate per un’azione condivisa”. 

>>Leggi anche: “Una rete criminale alimenta la deforestazione amazzonica”<<

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“Tankering”, così per risparmiare le compagnie aeree emettono ancora di più


Author: Lorenzo Vallecchi QualEnergia.it

In Europa il tankering evita alle compagnie spese per 265 milioni di euro l’anno, ma provoca quasi un milione di tonnellate di emissioni in più.

Le linee aeree hanno risposto negli anni alla elevata “volatilità” del settore con un’ondata di consolidamenti, fusioni, acquisizioni e alleanze. Ciò nonostante, il settore dell’aviazione civile continua ad essere caratterizzato da un alto rischio e margini bassi.

Ogni minima fonte di risparmio aiuta quindi molto. È in questa logica di costante ricerca dell’ottimizzazione dei costi che rientra il cosiddetto “tankering,” cioè l’abitudine delle compagnie aeree di volare con carburante extra nei serbatoi. Solo che adesso, i top manager del settore cominciano a ritenere che forse non ne valga più la pena, soprattutto per l’impatto climatico che ha tale pratica.

Le linee aeree tendono a volare con più carburante del necessario rispetto alle tratte percorse per due ragioni principali: come qualunque automobilista attento al portafoglio, cercano di fare il pieno dove il carburante costa meno. Per esempio, all’aeroporto di Amsterdam Schiphol, il carburante per jet è circa il 55% più economico rispetto alla Corsica. Fanno dunque rifornimento dove costa meno, anche se non avrebbero bisogno di così tanto carburante per la tratta o le tratte successive.

In altre occasioni, il tankering consente alle linee aeree di ridurre i tempi di cambio negli aeroporti ed evita loro di fare il pieno dove per i rifornimenti si impiega più tempo, come farebbe un comune automobilista per evitare lunghe file alla stazione di servizio.

Si calcola che il 30% di tutti i voli in Europa ricorra ad un tankering totale o parziale.

Ma nonostante l’attenzione a ogni minimo costo, i risparmi offerti da questa pratica sono abbastanza risicati. Secondo una recente indagine di BBC Panorama, su almeno un volo di British Airways verso l’Italia, l’aereo aveva in pancia circa 3,3 tonnellate di carburante aggiuntivo, per risparmiare appena 45 euro.

Le compagnie aeree sostengono che è “la somma che fa il totale”, cioè che anche risparmi così piccoli alla fine consentono loro di mantenere bassi i prezzi dei biglietti. Ma il tankering stesso, oltre a far risparmiare qualche soldo sul pieno o sui tempi di rifornimento, provoca a sua volta maggiori consumi, dovuti al maggiore peso trasportato. Ogni 100 kg aggiuntivi di carburante trasportato, infatti, fanno bruciare ai motori di un aereo quattro chili di carburante in più.

Ciò, oltre a diminuire il risparmio finanziario netto del tankering, provoca anche un aumento non necessario delle emissioni di gas serra. Nel caso del volo British verso l’Italia, Anche se le 3,3 tonnellate di carburante extra trasportate in volo hanno consentito di risparmiare qualche centesimo al chilometro, hanno anche provocato l’emissione di 600 kg di CO2 in più.

Secondo un recente rapporto di Eurocontrol, in tutta Europa, il tankering fa risparmiare alle compagnie aeree 265 milioni di euro l’anno, emettendo però 993.182 tonnellate di CO2 aggiuntive nell’atmosfera: le stesse emissioni annuali di oltre 200.000 auto.

In un momento in cui i viaggi aerei sono al centro dell’attenzione per l’elevato impatto che hanno sul clima, una pratica come il tankering rischia di mettere ulteriormente in imbarazzo il settore. Alcuni top manager si stanno cominciando a chiedere se ne valga la pena e a metterne in discussione il valore.

“Continuiamo a fare tankering ma ci chiediamo noi stessi se sia sostenibile e se non sia il caso di incorporare nei nostri calcoli l’impatto ambientale,” ha dichiarato Willie Walsh, Amministratore Delegato di International Airlines Group, a The Guardian.

“Chiaramente, i risparmi finanziari sono un incentivo a continuare, ma forse è la cosa sbagliata da fare,” ha aggiunto il top manager del gruppo che controlla compagnie come British Airways e Iberia, e che si è impegnato ad azzerare le emissioni di gas serra entro il 2050.