Categorie
Energia

Auto, un po’ di buoni motivi per farle andare più piano

Abbassare i limiti di velocità sulle strade, come mostrano vari studi, ha molteplici vantaggi: non solo fa bene all’ambiente e alla salute, riducendo incidenti e vittime di investimento, ma ha ricadute positive anche su mobilità sostenibile, economie locali e, addirittura, sul traffico.

Fanno male per il clima, per l’ambiente, ammazzano, feriscono e rendono invalidi. Ma non solo: le auto private disincentivano l’uso della bicicletta, mettendo a rischio chi la usa, e del trasporto pubblico e spesso penalizzano anche le economie locali.

Auto ed automobilisti causano alla collettività danni incalcolabili, esternalità negative in gran parte scaricate sul pubblico, che deve farsi carico dei costi sanitari e ambientali, oltre che di molte altre voci di costo, a partire da quella del traffico, che solo in Italia, stima l’Aci, ammontano a 40 miliardi di euro l’anno.

Se il futuro dovrà essere quello di superare la mobilità privata, specie se basata su motori a gasolio e benzina, c’è però già ora un modo per ridurre alcuni di questi danni: far sì che le auto vadano più piano.

Un milione e duecentocinquantamila, ad esempio, secondo dati OMS, sono le persone che ogni anno nel mondo muoiono per incidenti stradali, nei quali la velocità è spesso l’ingrediente principale. Altri 50 milioni di persone ogni anno restano invece menomati.

Di questo dato, la cosa peggiore è che a pagare il conto più salato non sono gli stessi automobilisti, ma chi l’auto nemmeno la usa: metà dei morti annuali in incidenti stradali sono infatti pedoni, ciclisti e motociclisti.

Chi non usa l’auto, perciò, è disincentivato a muoversi con mezzi diversi, anche per il rischio di essere ammazzato dalle automobili stesse.

Questo effetto si potrebbe ridurre ponendo limiti di velocità più bassi, almeno nei centri urbani, le famose “zone 30” chieste da molte associazioni per l’uso della bici e la mobilità sostenibile.

Tornando ai dati OMS, infatti, si stima che per ogni km/h in più di velocità ci sia il 3% in più di possibilità di fare un incidente. Secondo un altro studio britannico della società di consulenza Transport Research Laboratory (allegato in basso), ogni miglio orario (1,6 km/h) in meno, riduce la mortalità stradale del 6%.

Non ci vuole forse uno scienziato per capire che andando veloci si hanno maggiori possibilità di investire pedoni e ciclisti: la causa è la riduzione della visione periferica all’aumentare della velocità, che si vede bene in questa gif animata che abbiamo preso dal sito del World Resources Insitute.

Sempre secondo l’OMS, un pedone investito a 50 km/h ha il 20% di possibilità di morire, mentre a 80 km/h la percentuale sale al 60%.

Dati concordanti con quelli del WRI, che nel suo studio sulla sicurezza nella mobilità urbana (allegato in basso) stima che a 30 km/h il rischio di morte del pedone investito scende al 10% e a 50 km/h passa all’85% (vedi infografica sotto).

Andare più lentamente, oltre a diminuire il rischio di uccidere una persona se la si investe, aumenta di conseguenza anche la probabilità di non investirla affatto. Anche in questo caso, pur essendo la cosa ovvia, visto quanto succede ogni giorno sulle strade, è il caso di ricordalo con qualche dato (sempre dallo studio WRI):

Meno intuitivo è invece il fatto che limiti di velocità più bassi non influiscano in maniera rilevante sui tempi di percorrenza e, anzi, in alcuni casi siano anche in grado di diminuire il traffico.

Una questione non da poco dato che, come detto, secondo l’Aci il tempo perso nelle città italiane a causa del traffico costa agli automobilisti oltre 40 miliardi di euro all’anno e in città come Roma l’abitante resta in media 252 ore l’anno in ostaggio della sua auto incolonnata.

Una ricerca ricerca condotta a Grenoble, citata nello studio WRI, infatti, mostra che abbassare il limite da 50 a 30 km/h aggiunge solo 18 secondi al tempo di percorrenza tra incrocio e incrocio considerato (es. pari a 1 km), mentre a San Paolo, in Brasile, si è visto che abbassare il limite di 10 km/h ha fatto calare del 10% gli ingorghi, oltre a ridurre significativamente i morti sulle strade.

Far rallentare le auto, inoltre, rende anche più sane le comunità, stimolando a muoversi a piedi o in bici: secondo le stime dell’associazione Alliance for Biking and Walking (in allegato in basso), se solo un adulto su 10 iniziasse a spostarsi di più a piedi con regolarità, gli Usa risparmierebbero 5,6 miliardi di dollari l’anno in costi sanitari.

Infine vediamo l’impatto sulle economie locali: secondo diversi studi (alcuni a questo link e tra gli allegati quello della municipalità di New York) strade più a misura di pedone e di ciclista hanno economie più vivaci di altre monopolizzate dalle automobili.

Più diminuisce il traffico di mezzi a motori e più aumenta quello “human powered”, infatti, più sale il valore delle case e il volume di beni e i servizi venduti dalle attività locali.

Autore: Giulio QualEnergia.it – Il portale dell’energia sostenibile che analizza mercati e scenari

Categorie
HardwareSoftware

Intel Optane 3D XPoint, perplessità e riflessioni su una rivoluzione lenta

Ammettiamolo: all’epoca della presentazione (abbiamo parlato di alcuni dettagli emersi a giugno dell’anno scorso in questo articolo) la nuova tecnologia Intel Optane 3D XPoint ci aveva entusiasmato, con promesse di una rivoluzione imminente nel campo dello storage. Chi ha provato ad utilizzare un SSD, magari in sostituzione di un vecchio disco rigido a piati rotanti, capisce di cosa stiamo parlando: oggi è innegabile che nessun altro aggiornamento può stravolgere le prestazioni di un sistema come la sostituzione di un hard disk tradizionale con un Solid State Drive. Si può sostituire la CPU con la più cara presente sul mercato, quadruplicare la memoria RAM, aggiornare la scheda video, ma nulla andrà mai a vantaggio di prestazioni e soprattutto reattività come il passare da un disco meccanico a un Solid State Drive e lo si vede dall’avvio in poi.

Ecco perché la promessa di una nuova tecnologia come 3D XPoint di Intel e Micron, che fra poco riassumeremo in breve, aveva aperto le porte ad un nuovo capitolo, chiamato a portare un bel po’ più in là le prestazioni di un sistema sempre sul fronte storage. A livello di architettura 3D XPoint costituisce una grossa novità: rispetto a quella delle memorie NAND vanta una diversa modalità di indirizzamento e una diversa architettura di controllo delle celle memoria, basate su diodi e non su transistor. Viene meno la necessità di introdurre i transistor nelle celle, semplificando la struttura e riducendo gli ingombri al tempo stesso. Il “3D” indica una struttura a più strati: i gruppi costituiti da celle memoria più selettori sono sovrapposti e separati da linee di indirizzamento, orientate perpendicolarmente ad ogni strato che si alterna nella struttura. Ne abbiamo parlato in modo approfondito qui, qualora voleste approfondire.

La grande attenzione della stampa e degli appassionati, all’epoca, era catalizzata dal fatto che Intel annunciò in pompa magna SSD con i tempi di accesso e le velocità quasi al livello delle memorie RAM, pur rimanendo di tipo non volatile. Fantastico, grandioso. Resta il fatto che però da allora Intel rilascia informazioni veramente frammentarie e per giunta molto vaghe, motivo per cui abbiamo ritenuto opportuno fare il punto della situazione sulle applicazioni reali, almeno fino ad ora.

Un’anima, più corpi

Iniziamo col dire che 3D Xpoint è un tecnologia che viene utilizzata attualmente in diversi ambiti per fare cose completamente differenti. Non è un rimpiazzo delle NAND, o almeno non solo, non è un rimpiazzo per le RAM, o per lo meno non ancora. E’ qualcosa che può assumere diverse forme e applicazioni. Vediamo per ora quali sono e a che prezzo.

Intel Optane SSD P4800X – Enterprise


Intel Optane SSD P4800X, 3D XPoint al suo massimo (per ora)

Con il rilascio qualche tempo fa del modello Optane SSD P4800X, Intel ha di fatto introdotto in commercio il primo prodotto 3D XPoint, posizionandolo nel settore enterprise come alternativa ad altri SSD che affollano il settore. Sono diversi i messaggi che Intel lancia, il primo dei quali è che la tecnologia c’è e funziona. Come e quanto? Per essere un prodotto al suo esordio va molto bene ed è inarrivabile per tempi di accesso in scenari random, proprio per la natura della sua circuiteria. In altri scenari alcuni rivali vanno meglio. Insomma, ottimo su alcuni fronti, a patto di sfruttarlo al meglio in base a quello che può offrire come plus. Il settore enterprise vanta una gamma sconfinata di esigenze specifiche, e Intel ha mostrato di cosa è capace la tecnologia Optane (il nome commerciale di 3D XPoint).  Nota: Intel ha permesso di fare benchmark solo in remoto con applicativi scelti da loro; sono pochissime le realtà USA a cui è stato permesso di mettere fisicamente le mani sul prodotto.

Meglio non farsi illusioni sul prezzo: tecnologia agli esordi e prestazioni super in diversi contesti si pagano, e caro: il modello finora commercializzato, 375GB, costa più di 1500 Dollari. Immaginate quanto potranno costare i modelli da 750GB e 1,5TB in arrivo: almeno il doppio il primo e il quadruplo il secondo. Sarebbe stato impensabile proporre una cosa del genere nel settore consumer.

Intel Optane Memory – Consumer

Il settore consumer non rimane però a bocca asciutta, sebbene la perplessità aleggi qua e là quantomeno per la veste che 3D XPoint assume in questo ambito commerciale. I delusi sono quelli che si aspettavano un SSD come viene comunemente inteso: capacità dai 128GB in su, grandi prestazioni, prezzo abbordabile. No, per ora nulla di tutto questo. A creare un po’ di confusione è anche il nome commerciale, Intel Optane Memory, dove quel memory deve essere letto nel senso più generale del termine. Non è una memoria RAM; nel comune sentire è più vicino ad un SSD di taglio molto piccolo, pensato per affiancare gli hard disk tradizionali o anche un SSD “normale”.

E qui nasce negli appassionati quello scetticismo che da sempre serpeggia quando entra in gioco qualcosa di ibrido in ambito storage, perché di questo si tratta. Intel Optane Memory è un SSD di cache, concettualmente molto simile a quanto già visto negli anni scorsi. Sono due le declinazioni ibride che abbiamo visto nel passato e vediamo ancora ora. La prima risale a qualche anno fa e consisteva in SSD SATA 6GBps 2,5 pollici di taglio 16GB/32GB, anche questi chiamati ad affiancare i tradizionali hard disk. Un flop commerciale.

Il secondo prevede invece l’integrazione direttamente nell’hard disk a piatti rotanti di un quantitativo ridotto di memoria flash, prodotti genericamente chiamati SSHD (un esempio il Seagate SSHD ST1000LM014, 1TB di spazio su dischi rotanti e 8GB di memoria NAND Flash integrata). Nella cache NAND risiedono i dati con accessi più frequenti e in effetti l’utilizzo normale ne risente in positivo, ma resta il fatto che è un compromesso. I produttori li integrano in diversi portatili perché c’è l’indubbio vantaggio di avere capienze elevate, velocità superiori a quelle dei normali hard disk, il tutto ad un prezzo di qualche Euro superiore. 8GB però sono un po’ pochi, installando un SSD “normale” la musica cambia e si sente.


Intel Optane Consumer, giunto in redazione proprio ieri

Quindi, tornando a Intel Optane Memory, si riprende una strada già battuta in precedenza, almeno per ora. Cambiano un po’ di cose: le capienze disponibili sono di 16GB e 32GB, l’interfaccia è quella PCIe 3.0 x2 NVMe (quindi prestazioni più elevate della SATA) e form factor M.2. Limitazioni: funziona solo con Windows 10 e con sistemi dotati di chipset Intel 200 e processori Kaby Lake, ovvero Core di settima generazione, qui la lista completa.

Superati questi vincoli le promesse sono comunque incoraggianti. Sulla carta il modello da 32GB vanta letture nell’ordine dei 1500MB/s e scritture da 290MB/s, con IOPS impressionanti almeno per quanto riguarda la lettura. Secondo Intel, le prestazioni complessive del sistema possono aumentare fino al 28% (rispetto allo stesso sistema dotato del solo disco meccanico), accessi al disco 14 volte più veloci e reattività generale nettamente migliorata. Insomma, sempre di sistema ibrido si tratta, ma le promesse sono incoraggianti e potrebbe essere un buon passo verso l’armonizzazione offerta dalla capienza dei dischi tradizionali e le velocità degli SSD. Anche contando che i prezzi dei due moduli Intel Optane Memory sono di 44 Dollari USA per il 16GB e 77 Dollari per il 32GB. Certo, a 77 Dollari si trovano ottimi SSD da 250GB, ma sono SATA e non hanno questi tempi di accesso. Cercheremo di scoprire di più nel corso dei nostri test.

Intel DIMM Optane – Enterprise

Intel Optane si incarna anche in qualcosa di simile alla RAM, pur rimanendo relegato per ora al settore enterprise e distribuito ai partner come prova e non ancora commercializzato. Ne abbiamo parlato in questa news, nella quale abbiamo ricordato il modo in cui Intel intende sostituire, in alcuni casi, memorie “piccole, volatili e relativamente costose” con moduli simili a dei drive SSD con capacità elevata, memoria di tipo non volatile ed un costo per gigabyte più contenuto.

Qui la situazione cambia: Intel Optane si propone come una RAM sicuramente più lenta, ma anche meno costosa e soprattutto più capiente. In determinati ambiti può fare la differenza. Sempre nella news citata abbiamo parlato del software di analisi HANA: per applicazioni di tipo in memory questi nuovi moduli DIMM garantiscono un netto miglioramento delle prestazioni. L’elevata mole di dati che può essere messa e mantenuta in memoria a disposizione del processore, anche in mancanza di alimentazione o a sistema spento, è nettamente superiore agli attuali limiti della tecnologia DRAM. Ovviamente Intel, insieme a SAP, ci hanno mostrato un ambito specifico in cui i benefici si sono dimostrati evidenti, e in altri contesti è sicuramente preferibile la RAM tradizionale; resta il fatto che Intel Optane si propone in più campi come alternativa a qualcosa di già esistente, offrendo quindi una opzione aggiuntiva rispetto al passato.

Cosa arriverà

Dalla presentazione di Optane, davvero in pompa magna, si sono susseguiti diversi atteggiamenti da parte del pubblico, passati dall’entusiasmo al cauto scetticismo, passando per una certa confusione per mancanza di dati e prodotti. Ora qualcosa si muove. Una rivoluzione? Probabilmente sì, ma lenta. Per il settore consumer ci sarà ancora da aspettare per avere un balzo in avanti rispetto agli SSD già in commercio, specie in riferimento ai numerosi M.2 PCIe ad elevate prestazioni.

Da questa roadmap si intuiscono diverse cose. Per il settore consumer, quello in basso, le unità Intel Optane sono considerate adatte per “system acceleration”, e il prossimo step prevede la presentazione di modelli con nome in codice Carson Beach che passeranno all’interfaccia PCIe 3.0 x4, con un probabile balzo prestazionale in avanti e disponibilità anche nel formato più compatto BGA, quello che viene saldato sul PCB direttamente o su schedine M.2.

Carson Beach dovrebbe però arrivare anche sotto il nome di Intel Obtane SSD sempre nel form factor M.2 o BGA, e il fatto di non finire sotto la dicitura “system acceleration” ma a metà strada fra Mainstream ed Enthusiast fa pensare a veri e propri SSD con capienze elevate. Sempre in giallo troviamo anche un Mansion Beach refresh, facendo quindi capire che anche i top di gamma avranno degli eredi a breve. Ora non resta che attendere l’affinamento delle linee produttive e sperare in un calo dei prezzi generalizzato, ma come spesso accade nel mondo tecnologico tutto ci verrà servito a bocconi piccoli e scaglionati nel tempo.

Autore: Le news di Hardware Upgrade

Categorie
Energia

Ancora perdite di petrolio per il Dakota Access

Dakota Access

Nuovi incidenti per il Dakota Access a meno di una settimana dall’inaugurazione

(Rinnovabili.it) – Rimane alta l’attenzione sulla DAPL, il controverso oleodotto statunitense progettato per trasportare il greggio dal North Dakota all’Illinois. Dopo le prime fuoruscite di petrolio a livello di una delle stazioni di pompaggio, due nuove perdite tornano a infiammare gli animi del fronte NODAPL. Il condotto principale e una linea di alimentazione secondaria hanno sversato sul territorio quasi 400 litri di greggio agli inizi di marzo. Perdite subito ripulite, e per le quali gli amministratori assicurano l’assenza di qualsiasi danno a persone, fauna e corsi d’acqua.

La paura delle tribù che vivono a ridosso del lago Oahe -il punto di passaggio più critico per il condotto – non si placa di certo. Cheyenne River, Standing Rock, Yankton e Oglala Sioux hanno manifestato per interminabili mesi contro il Dakota Access paventando gli stessi rischi che ora si stanno avverando, a progetto ancora non terminato. Il primo incidente si è verificato il 3 marzo scorso a livello di una flangia (elemento di giunzione fra due tubature) in una pipeline terminale a Watford City. Due barili di petrolio, circa 320 litri si sono dispersi nel suolo prima che i tecnici riuscissero a bloccare la perdita. Il secondo incidente è stato causato, solo due giorni dopo, dalla rottura di una valvola con un difetto di fabbricazione, a livello del tragitto che attraversa le zone rurali della contea di Mercer (Nord Dakota): mezzo barile, ossia 75 litri, anche in questo caso velocemente contenuti e rimossi dal suolo, senza danni all’ambiente circostante.

Per gli amministratori si tratta di perdite previste e senza effetti collaterali di cui preoccuparsi. Dave Glatt, a capo del Dipartimento di salute ambientale del Nord Dakota ha spiegato che l’istituto elenca nel proprio database online qualsiasi tipo di incidente, senza l’obbligo però di informare la popolazione per fuoriuscite di petrolio con una portata inferiore ai 150 barili, a patto che non ci sia contaminazione dei corsi d’acqua. Ma per i leader delle tribù e gli avvocati che stanno seguendo la vicenda, è solo l’ennesima prova della necessità di nuove analisi di impatto ambientale per il gasdotto. Quelle stesse valutazioni bloccate all’inizio dell’anno con gli ordini esecutivi firmati dal Presidente Donald Trump. “Abbiamo sempre detto che non è una questione di se, ma quando”, spiega il legale Jan Hasselman. “Le condotte perdono. È semplicemente un dato di fatto”.

Autore: stefania Rinnovabili

Categorie
Economia

Ftse Mib prova allungo verso 21.800 punti, Eni al test delle resistenze

Dopo lo stacco dei dividendi che ha interessato diversi componente del paniere FTSE Mib, l’indice di

Nelle settimane passate ho messo in evidenza, soprattutto utilizzando alcuni indicatori particol

Sempre a proposito del dollaro, la cui debolezza ha tenuto banco nell’ultima settimana anche a causa

Come di consueto analizziamo la situazione ciclica sul Future Dax. Ad oggi il target di arrivo non

Direi che i presupposti per una nuova Europa Unita ci sono tutti, anche perché le dichiarazioni

Nulla, zero, niente! Ormai nulla scuote la coscienza dei mercati, che si tratti di una possibile g

Straddle venduta euro stoxx 50 scadenza giugno — lunedi 22 maggio ore 10.00 — Calcolandosi una

Setup e Angoli di Gann FTSE MIB INDEX Setup Annuale: ultimi: 2016 (range 15017/21194 ) ) [ us

Il sentiment sembra logorato. Malgrado questo, è evidente ancora una certa forza del mercato. E s

Parliamo spesso dell’importanza delle intelligenze artificiali nell’ambito dell’esecuzione

Autore: redazione [email protected] Finanza.com Blog Network Posts

Categorie
HardwareSoftware

Huawei Launches the MateBook E 2-in-1: The Next Generation

Today we’re in Berlin to cover Huawei’s launch of the new MateBook series. For this second generation, Huawei has on offer a 13-inch clamshell aimed at premium users, a 15.6-inch device for education and office use, and their next generation 2-in-1 called the MateBook E, aimed squarely at improving the design on their first attempt back in 2016. Perhaps somewhat ironically, because I left my main laptop charger at home, I’m writing this news on that 2016 model which I carry as my backup work device.

When Huawei launched the 2016 MateBook, for a first attempt, it hit the market where it needed to. Much like other vendors when making their 2-in-1s, there was some design choices that seemed a little strange but Huawei had at least nailed the quintessential Huawei look, transferring the design ID from their top of the line Mate series smartphones, into a portable PC device. It was also Huawei’s first venture using Intel CPUs in a consumer device.

What the MateBook E does, as the second-generation product, is fix those questionable points and bring everything up to the latest hardware. That means using the latest Kaby Lake-Y processors, adjusting what configurations sold the best, and giving a keyboard and hinge that users actually want. It’s a good step up from the 2016 MateBook for sure.

Huawei Matebook E
Size 12-inch
Display 2160 x 1440
160-degree viewing angles
85% NTSC
1000:1 Contrast Ratio
400 nits
CPUs Intel Core m3-7Y30
Intel Core i5-7Y54
GPU Intel HD Graphics 615
DRAM 4 GB / 8 GB LPDDR3
Storage 128 GB / 256 GB / 512 GBPCIe
Dimensions 278.8 x 194.1 x 6.9 mm
640g (without keyboard)
 1100g (with keyboard)
Connectivity 802.11ac with 2×2 MIMO (Intel AC 8165?)
with BT4.1
Battery 33.7 Wh (4430 mAh at 7.6 V)
Additional Features One USB 3.0 Type-C Port
3.5mm audio jack
Fingerprint Scanner
Dolby Audio Premium
MateDock 2 Included
5MP Front Camera
Colors Titanium Grey (with Blue folio)
Champagne Gold (with Brown or Pink folio)

At the heart of the MateBook E is Kaby Lake Y, the 4.5W processors from Intel. Along with Intel’s new naming scheme, here the MateBook E gets either the Core m3-7Y30 or the Core i5-7Y54, matching the similar CPUs to the last gen but on the latest microarchitecture using updated features like Speed Shift 2. These processors come with Intel’s HD 615 graphics, and will be supplied with either 4GB or 8GB of LPDDR3 and then 128GB, 256GB or 512GB of PCIe storage. As with the MateBook 2016, this isn’t expandable.

Aside from the processor update, the biggest change is in the keyboard folio. The keyboard folio now comes with the device rather than being an add-on, and the hinge is updated to allow for a full 160 degree of tilt. Unlike the Surface which integrates the hinge into the device, the hinge is part of the folio, and stays with the keyboard but aligns flush when not in use. The hinge mechanism isn’t anything special like we’ve seen with fancy designs before, but with a few minutes use it was clear that the design was sturdy for what it needed to be.

The folio uses a new 3-pin connector to the MateBook E, rather than the 7-pin used in the older device (which means no backwards compatibility), and the keyboard has now changed into a spill-resistant chiclet design. I spent a few minutes with the new keyboard, and due to the reduced key travel compared to the older model, it felt a little different and perhaps not as free flowing. It will be interesting to see what others think about it.

The folio no longer goes all around the device, which means the power button should hopefully no longer be accidentally activated when closing the folio. Along with the power button is the fingerprint reader, carrying over from the 2016 model, as well as a single Type-C connector. This is used for power as well as connecting to the new MateDock 2, which also comes bundled with the MateBook E in some regions. As with the MateBook X, the MateDock 2 is updated this year as well: it exchanges the ethernet port for an HDMI output and a VGA output, making the device thinner and arguably more applicable to presentational style workflows.

The new MateBook E is thinner, coming in at 6.9mm, and houses a 33.7 Wh battery (up from 32.7 Wh) which Huawei claims is good for 9 hours of video playback at 50% brightness. The speaker system is carried over from the 2016 model too, although with Dolby Audio Premium certification.

Gallery: Huawei Launches the MateBook E 2-in-1: The Next Generation

Huawei is announcing availability and pricing at the official launch event today, and we’ll update this piece when we get the details. Colors for the MateBook E will be region dependent, but you’ll see at least one of Titanium Grey (with Blue folio) of Champagne Gold (with a Brown Leather folio or a Pink folio).

Some pictures were provided in collaboration with other Purch outlets.

Autore: Ian Cutress AnandTech