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Energia

Auto elettriche: in Norvegia la stazione di ricarica più grande al mondo

Auto elettrica: in Norvegia la stazione di ricarica più grande al mondo

(Rinnovabili.it) – La Norvegia ha un piano ambizioso per la sua mobilità: intende mettere al bando, a partire dal 2025, le immatricolazioni delle auto con motore a combustione rimpiazzandole con veicoli elettrici. L’intenzione non è ancora stata formalizzata a livello di iter legislativo, ma l’accordo all’interno del Governo c’è già e i dati nazionali sull’acquisto di e-car fanno capire che l’obiettivo non sarà poi così difficile da raggiungere.

La Nazione guida con ampio margine la classifica mondiale delle auto elettriche pro capite: a marzo di quest’anno hanno raggiunto il 26,4% del mercato automobilistico. Non meraviglia dunque sapere che la più grande stazione di ricarica del mondo sia stata costruita proprio qui, in Norvegia. La struttura è stata inaugurata il primo settembre a Nebbenes (circa 65 km a nord della capitale Oslo) e con i suoi 28 punti di ricarica è in grado di soddisfare tutti i tipi di veicoli elettrici moderni e in tempi brevi.

La mega stazione norvegese è stata costruita in collaborazione con la Tesla che ha istallato venti dei suoi Supercharger da 120 kW. Gli altri punti di rifornimento sono quattro caricatori veloci da 50 kW con collegamento CCS / CHAdeMO e quattro con potenza da 22 kW e una ricarica mediamente più lenta.

La struttura di Nebbenes fa parte del progetto Charge & Drive della Fortum, nato con l’obiettivo di realizzare corridoi elettrici lungo le arterie di collegamento fra le città norvegesi. “I ventotto punti di ricarica  possono essere utilizzati contemporaneamente, elemento che rende questa stazione la più grande al mondo per tutti i tipi di auto elettriche”, spiega  Jan Haugen Ihle, Country Manager del progetto. “E’ qualcosa che ci rende molto orgogliosi”.

Charge & Drive offre un servizio basato su cloud che permette ai guidatori di pagare il “pieno” tramite un semplice SMS o l’applicazione web. Ed entro la fine dell’anno la società spera di riuscire a istallare una stazione di ricarica ogni 50 km tra Oslo e le principali città.

Autore: Rinnovabili

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Economia

Imposta patrimoniale in arrivo ? Ecco i dettagli

euro_crisi-2.jpgCome in ogni crisi che si rispetti (o che stia per arrivare), ecco giungere proposte finalizzate a tassare la ricchezza degli italiani attraverso l’introduzione (o l’inasprimento) di imposte patrimoniali.

Con la crescita economica che arranca, il bilancio statale in cronica difficoltà è necessario ottenere gettiti fiscali aggiuntivi. Quindi, cosa di meglio di una balla imposta patrimoniale? dicono. Dei cinque rischi capitali dei quali da anni si parla in questo blog, trovo che l’imposta patrimoniale sia quello che presenta maggiori maggiori difficoltà applicative, sia a causa degli aspetti tecnici, sia a causa della sostenibilità politica di un’imposta del genere, che tuttavia piace e viene evocata da molte parti politiche.

Di seguito vi propongo un mio ultimo lavoro che riprende e aggiorna i precedenti contributi. Si tratta di un articolo pubblicato su Investors’ mese di maggio.

Buona lettura.

Quando si parla di imposta patrimoniale, la mente tende a correre al lontano 1992, quando l’allora Presidente del Consiglio, Giuliano Amato, durante la notte, operò un prelievo una tantum del 6 per mille sulle giacenze dei conti correnti.

Benché in forme differenti rispetto al 1992, imposte patrimoniali sono  già presenti nel nostro ordinamento tributario e si chiamano principalmente IMU e Imposta sostitutiva sulle attività finanziarie; ma ne esistono anche altre minori. Al netto delle modalità censurabili con cui venne effettuato il prelievo dai conti,   a differenza della patrimoniale di Amato del 1992, quelle attuali sono addirittura più invasive poiché, essendo strutturali, colpiscono periodicamente le attività possedute in forma di patrimonio immobiliare e attività finanziarie (conti correnti, fondi comuni, dossier titoli ecc). Scopo di questo articolo è quello di cercare di capire in che modo si potrebbe essere colpiti da un’imposta patrimoniale e quali sono le attività più esposte a questo rischio.

Quindi, cerchiamo di capire quali difficoltà potrebbero riscontrarsi nell’applicazione di una simile imposta.  Preliminarmente, va osservato  che il governo potrebbe contare su un ”extragettito”, semplicemente inasprendo il prelievo fiscale sulle imposte patrimoniali già in essere.  Ciò  potrebbe esser fatto agevolmente alzando le aliquote del prelievo sia per l’IMU, che per l’imposta sostitutiva sulle attività finanziarie. Nel caso dell’IMU, inoltre, per ottenere lo stesso risultato, ad aliquote immutate , sarebbe sufficiente una rivalutazione degli estimi delle proprietà immobiliari, tali da attribuire agli immobili un valore superiore, aumentando così la  base imponibile da colpire e  favorendo quindi un aumento di gettito. Questa soluzione, per quanto di facile applicazione, presenterebbe comunque delle controindicazioni delle quali il Governo dovrebbe tenerne conto, almeno si spera.  Innanzitutto, nel pensare ad un eventuale inasprimento del prelievo fiscale relativo alle imposte patrimoniali già presenti, non si potrebbe non tenere in considerazione gli effetti che questo determinerebbe  alla luce del quadro congiunturale decisamente debole,  dopo un lungo periodo di recessione, che ha colpito duramente il reddito delle famiglie italiane (Figura 1).

Figura 1: Il Grafico mostra l’andamento dei redditi reali nei vari paesi considerati, ponendo come base 100 i redditi nell’anno 1995. Come si osserva i redditi degli italiani sono precipitati ai livelli del 1995 e nessuno dei paesi considerati vanta un prima così negativo. Elaborazione di Paolo Cardenà su dati Eurostat.

Si consideri che, un eventuale aumento dell’imposizione, per quanto limitato che sia, andrebbe a colpire il reddito disponibile delle famiglie, e pertanto  produrrebbe  una ulteriore contrazione dei consumi e quindi aggraverebbe anche il ciclo economico, già per nulla brillante.  Questo, inoltre, potrebbe comportare una diminuzione più o meno marcata della capacità di rimborso dei mutui al sistema bancario, impattando sugli  istituti di credito che, a quel punto, si troverebbero  nella condizione di  dover esporre ulteriori sofferenze potenzialmente idonee ad abbatterne il patrimonio,  aggravando così una situazione già complessa (confronta Investors’ n. 1).  In tal senso, ad esempio, un aumento della struttura impositiva dell’IMU (realizzata attraverso un aumento delle aliquote o anche attraverso una rivalutazione della base imponibile), rischierebbe di essere troppo severo  o addirittura insostenibile per coloro che non dispongono di una capacità di reddito adeguata per poter sopportare un esborso aggiuntivo rispetto a quanto pagato in ragione alle regole attuali.

Tutt’altro ragionamento potrebbe esser osservato in caso di aumento delle aliquote patrimoniali sulla ricchezza finanziaria, ossia quella ricchezza investita in titoli, obbligazioni, azioni, fondi comuni ecc. In questo caso, benché sia già prevista una imposta sostitutiva dello 0,20%, ciò che rende possibile un ulteriore inasprimento dell’imposizione fiscale, risiede proprio nella natura dell’investimento stesso. E  cioè, il fatto che questo sia “immobilizzato” e quindi potenzialmente escluso dal soddisfacimento diretto dei bisogni, e quindi dal sostenimento del ciclo economico attraverso la spesa di parte delle risorse investite.

Figura 2:  La tabella riporta i dati relativi alle attività reali delle famiglie italiane nell’anno 2013. Elaborazione di Paolo Cardenà su dati Banca d’Italia.
Veniamo ora alla ricchezza finanziaria, quantificata in 3897 miliardi di euro, tentando di comprendere in che modo potrebbe essere interessata da un’eventuale imposizione patrimoniale.

Figura 3:  La tabella riporta i dati relativi alla ricchezza finanziaria delle famiglie italiane nell’anno 2014. Elaborazione di Paolo Cardenà su dati Banca d’Italia

Per il ragionamento sopra esposto, quindi, escludendo le componenti sopra descritte,  la ricchezza che rimarrebbe rilevante ai fini di un imposizione patrimoniale, per lo più in forma liquida, sarebbe poco più di 2000 miliardi come è possibile desumere dalla figura n. 4.

Figura 4: La tabella riporta i dati relativi alla ricchezza finanziaria delle famiglie italiane nell’anno 2014, a parere dell’autore “facilmente” tassabile con imposte patrimoniali straordinarie. Elaborazione di Paolo Cardenà su dati Banca d’Italia.

A rigor di logica, da questo stock di  ricchezza finanziaria così determinata, dovrebbero essere scomputate le passività che ammontano a circa 912 miliardi di euro, restituendo un imponibile tassabile di circa 1100 miliardi  di euro. Riducendo la base imponibile da colpire, il pericolo è proprio quello che l’azione dello Stato, a parità di gettito atteso, possa concentrarsi su patrimoni molto più piccoli e quindi colpire in maniera indiscriminata anche una platea diffusa di piccoli risparmiatori.  Infatti, tenuto conto che i depositi bancari e postali si avvicinano, già di loro, alla soglia dei 1000 miliardi, ciò significa che questi sono distribuiti su tutto l’universo dei risparmiatori italiani, piccoli compresi. Giova ricordare che  in Italia  vige  un sistema di garanzia dei depositi di conto  corrente fino a 100 mila euro, che dovrebbe quantomeno escludere  prelievi straordinari fino a tali somme, riducendo ulteriormente la base imponibile da colpire. Ma su questo, personalmente, nutro qualche dubbio e comunque, dipende dagli obbiettivi di gettito prefissati dallo stato, e soprattutto  dallo stato di bisogno.

In altre parole, proprio perché sono risorse investiste in attività finanziarie, in un certo qual modo, sfuggono dalla disponibilità del titolare e quindi anche dalla possibilità di spesa, seppur con le dovute eccezioni del caso. Il risparmiatore, nel sostenimento delle proprie spese, difficilmente intaccherà le risorse investite in strumenti finanziari anche se, in questa crisi,  ciò potrebbe essere parzialmente smentito, poiché sempre più frequente sembra essere il ricorso all’utilizzo di risparmi per integrare o sostituire un reddito che si è contratto o è venuto meno per effetto della crisi. Quindi, in teoria,  il governo potrebbe intervenire per inasprire l’imposizione sulla ricchezza finanziaria, senza con ciò determinare, in maniera proporzionale,  una diretta diminuzione dei consumi.

Ma anche una simile impostazione potrebbe risultare del tutto discriminante per talune categorie di investimenti o di cespiti, che potrebbero essere oggetto di imposizione. Si pensi, ad esempio, a due risparmiatori che dispongono entrambi di un patrimonio di 500.000 euro e che uno di questi abbia investito i propri risparmi in fondi comuni o titoli, mentre il secondo acquistando un immobile. Ebbene, nel primo caso, operare un prelievo a fronte dell’entità del patrimonio, risulterebbe di agevole portata poiché basterebbe aumentare l’aliquota di imposizione e  la società di gestione del fondo comune o l’intermediario finanziario provvederebbe immediatamente ad operare la ritenuta, anche vendendo titoli per crearsi la liquidità necessaria al pagamento dell’imposta. Analogo ragionamento potrebbe essere svolto nel caso di azioni o obbligazioni in custodia su un dossier titoli intrattenuto presso qualsiasi banca. La quale banca, in questo caso, addebiterebbe l’importo dell’imposta sul conto corrente agganciato.

E nel caso non  si dovesse disporre della liquidità necessaria al pagamento dell’imposta, che si fa? In estrema ratio, si potrebbe comunque vendere dei  piccoli quantitativi di titoli ed integrare il saldo del conto corrente, in modo da poter consentire alla banca di operare il prelievo necessario al pagamento dell’imposta. Una soluzione simile a quella appena descritta, potrebbe comunque avere delle controindicazioni soprattutto nel caso in cui dovessero essere introdotte delle patrimoniali straordinarie o una tantum; ma di questo parleremo a breve.

Come dicevamo, il discorso si complica, e non poco, nel caso di immobili. Il risparmiatore che ha investito le sue disponibilità, magari  prosciugandole,  nell’acquisto di un immobile avvenuto in tempi più favorevoli, oggi potrebbe trovarsi nella condizione di non poter provvedere al pagamento dell’imposta patrimoniale, magari aumentata rispetto alle aliquote attuali. In questo caso, il contribuente in esame, non potrà certamente vendere una frazione dell’immobile  per poter provvedere all’obbligazione tributaria. E ciò per evidenti ragioni. E in questo caso, cosa si potrebbe fare?  A questo interrogativo, al momento, non è stata fornita alcuna risposta a mio avviso praticabile. A meno che non si facciano suonare le trombe della cavalleria e, attraverso l’ente di riscossione (Equitalia), si aggredisca il patrimonio del contribuente. Ma questo, a parer di chi scrive, cozzerebbe con gli elementi cardine di uno stato democratico e di una economia avanzata: ossia la tutela del risparmio e della proprietà privata, peraltro prevista costituzionalmente.

Inoltre, l’immobile acquistato potrebbe essere assistito da ipoteca a fronte del mutuo contratto per l’acquisto; quindi una passività. E’ evidente che, dal punto di vista del contribuente, è del tutto legittimo considerare a scomputo del valore del cespite da colpire con imposta anche le passività finanziaria a fronte dell’acquisto, e quindi l’eventuale mutuo. Aspetto, questo, che avrà comunque una marcata rilevanza in caso di applicazione di imposte  a carattere straordinario, poiché, queste, verosimilmente, oltre ad impattare in modo più significativo, sconterebbero aliquote progressivamente più alte in ragione del patrimonio posseduto. Quindi, nel rispetto di  elementari ed intuibili principi di equità,  sarebbe discriminante colpire in maniera identica due patrimoni, nel caso in cui  uno di questi risulti assistito da un mutuo (quindi una passività), ancorché esprimano identici valori patrimoniali.  In buona sostanza, se così fosse, verrebbe confermata l’attuale impostazione dell’IMU che, come noto, colpisce il “valore” degli immobili a prescindere dall’eventuale passività (mutuo) in capo all’immobile stesso, rendendo l’imposta profondamente iniqua.

Senza dimenticare, poi, che un ulteriore inasprimento dell’imposizione tributaria sugli immobili, causerebbe  nefaste conseguenze anche sul valore, deprimendolo ulteriormente. Circostanza, questa, che non esaurirebbe i suoi effetti solo in capo al proprietario dell’immobile, che, a quel punto, si vedrebbe diminuire il valore dell’immobile; ma produrrebbe effetti pericolosi anche nel mondo bancario attraverso la diminuzione dei valori posti a garanzia di eventuali mutui, con conseguenze del tutto immaginabili.

Come abbiamo visto sin qui, un inasprimento della imposizione patrimoniale presenta numerose difficoltà applicative,  soprattutto se si dovesse agire nel rispetto dei principi di equità che dovrebbero essere comunque garantiti ed imprescindibili.

Alle imposte patrimoniali presenti nel nostro ordinamento,  sebbene abbiano carattere strutturale e quindi ripetute negli anni,  tutto sommato, appartiene la caratteristica della sostenibilità in termini di possibilità da parte del contribuente di poter adempiere all’obbligazione tributari; benché in un contesto di deterioramento delle capacità reddituali e di evidenti difficoltà, soprattutto in alcuni strati della popolazione. L’applicazione di una imposta patrimoniale straordinaria, troppo spesso impropriamente evocata da parte dei nostri politici, verosimilmente,  viene pensata  sulla base di un feroce inasprimento delle aliquote impositive, tale da  poter utilizzare il gettito straordinario per abbattere in modo proporzionale il debito pubblico di  qualche centinaio di miliardi. Senza addentrarci nei numeri che, a parer di chi scrive, smentiscono (almeno in via di principio) le aspettative di gettito auspicato dai vari politici che evocano l’introduzione di una patrimoniale straordinaria, vediamo come possono complicarsi le cose nel caso che questa imposta venga effettivamente introdotta. Andiamo con ordine.

E’ evidente che l’eventuale applicazione di una imposta patrimoniale feroce e magari progressiva, dovrebbe quantomeno  considerare non solo i patrimoni facilmente colpibili come nel caso delle imposte già in vigore, ma l’intera  ricchezza  del soggetto o del nucleo famigliare a cui l’imposta è rivolta. E ciò per evidenti ragioni di equità impositiva, secondo cui chi  più possiede più paga in termini di imposta.   E quindi, cosa comprendere? Cosa potrebbe essere considerato nella definizione di patrimonio?

Sicuramente gli immobili, anche perché offrono un’ ottima base imponibile che, tuttavia,  dovrebbe quantomeno essere abbattuta delle passività (mutui) . Certamente anche il patrimonio mobiliare (azioni, titoli, obbligazioni, depositi ecc ecc). Ma, oltre questa ricchezza, peraltro già ampiamente tassata, cos’altro potrebbe essere considerato nella definizione di patrimonio del contribuente? E qui, potremmo sbizzarrirci con tutto ciò che possa costituire  asset suscettibile di valutazione economica, purché visibile ed individuabile dal fisco. Ecco quindi che potremmo considerare il valore della partecipazione ad una società ancorché non quotata, il valore della nostra impresa, o una barca, un’automobile, e quant’altro possa essere individuato e  definibile nella sua dimensione patrimoniale.

Sicuramente, l’estensione delle tipologie di assets a cui applicare l’imposta patrimoniale, oltre ad offrire una base imponibile tanto più ampia quanto più estese saranno  le specie e i volumi di patrimonio considerati, tenderebbe a favorire  il rispetto di elementi di maggior equità. Tuttavia,  qui emergerebbero fin da subito le prime difficoltà applicative. Innanzitutto, non sempre ciò che costituisce un valore patrimoniale è ben identificabile ed individuabile da parte del fisco. Si pensi, solo per citare alcuni esempi, a dei  quadri di valore, a delle  opere d’arte,  a vasi antichi, o una collezione di arazzi. Questi, in genere, sono beni che talvolta possono rappresentare dei grandi valori,  ma difficilmente intercettabili da parte del fisco, poiché raramente censiti e quindi conosciuti all’anagrafe tributaria  nella dimensione patrimoniale (valore) e nella sua collocazione. Ma questi, non sono gli unici valori patrimoniali che potrebbero sfuggire all’interesse del fisco. Si pensi, ancora, al denaro contante, a monetati aurei,  a lingotti in oro o altri metalli preziosi, detenuti anche fuori dal perimetro bancario. Ecco quindi che, in questi casi, risulta impossibile che il fisco possa colpire beni di cui non ne conosce il valore e soprattutto la collocazione. A meno che lo stato non obblighi il contribuente a produrre una dichiarazione patrimoniale dalla quale emerga anche le ricchezze non note al fisco.

Ragionando invece su altre tipologie di patrimoni  quali, ad esempio, aziende,  quote di partecipazione in società, o più semplicemente una piccola impresa individuale, si porrebbe il problema di attribuire un valore a queste attività, che tenga conto di moltissime variabili e fattori, attraverso i quali, tuttavia,   non sempre si riesce a valorizzare in maniera pertinente l’esatto valore di questi patrimoni. E ciò, neanche attraverso apposite perizie effettuate da professionisti. Il rischio, quindi, è proprio quello di subire una valorizzazione amministrativa da parte dello Stato attraverso delle procedure  che, in maniera più o meno arbitraria, possano valorizzare determinati attivi. Ecco quindi che l’applicazione di imposte patrimoniali straordinarie incorpora molteplici difficoltà che tendono ad aumentare anche in ragione al gettito che si vorrebbe ottenere.

Alcuni esponenti politici, nel recente passato, hanno addirittura evocato una tassa patrimoniale di 400 miliardi di euro, destinata alla riduzione del debito pubblico ( Si confronti, ad esempio, LInkiesta del 24 febbraio 2014 http://www.linkiesta.it/it/article/2014/02/24/la-patrimoniale-e-il-boomerang-del-governo-renzi/19778/). Per comprendere se è possibile estrarre un gettito così rilevante dalla ricchezza degli italiani,  è opportuno considerare qualche numero fornito dalla Banca d’Italia, nel suo ultimo rapporto sulla ricchezza delle famiglie italiane.

Secondo la Banca d’Italia la ricchezza degli italiani è così costituita:

Attività reali 5.848 miliardi

Attività finanziarie 3.793  miliardi

Passività 912 miliardi.

Le prime  due macro classi di attività, dedotte dalle passività, costituiscono la ricchezza netta degli italiani, che  quindi viene  quantificata in euro 8.477 miliardi di euro.

Il dato, essendo multiplo di oltre quattro volte lo stock di debito pubblico, fa un po’ impressione e suscita l’interesse di chi vorrebbe che, almeno parte di questa enorme ricchezza, possa essere utilizzata per abbattere il debito pubblico confinandolo entro volumi di maggio sostenibilità.

Più in dettaglio, osservando i dati riportati nella figura n. 2 (Le attività reali delle famiglie italiane) si desume che la parte prevalente della ricchezza è costituita da abitazioni, già ampiamente tassata con l’IMU o con altre imposte minori (ma non marginali). Gli oggetti di valore, essendo per lo più costituiti da beni non registrati (preziosi, oggetti di antiquariato, d’arte e da collezione), come abbiamo detto,  sfuggono dalla possibilità di poter essere tassati, per il semplice fatto che il fisco non potrà mai tassare ciò di cui non ne conosce la collocazione e quindi la proprietà.

I fabbricati non residenziali e i terreni, sono anch’essi già tassati. Mentre gli impianti e i macchinari, attrezzature e avviamenti (capitale fisso), rientrando prevalentemente nelle disponibilità delle imprese per l’esercizio delle proprie attività, non potrebbero essere tassati, poiché ciò graverebbe sulle imprese che già scontano livelli di prelievo fiscale insostenibile. Quindi, la parte di ricchezza effettivamente tassabile e che desta l’attenzione da parte del fisco è costituita dai 5 miliardi delle abitazioni, peraltro già ampiamente tassata. In sintesi, da questa ricchezza, è pressoché impossibile estrarre rilevanti gettiti tributari rispetto a quelli già ottenuti dalla tassazione in vigore.

In questa categoria di ricchezza sono ospitate un numero di  attività che, l’analisi prodotta da Bankitalia, sostanzialmente, scompone come riportato nella figura n. 3.

Molta materia imponibile da colpire con un’imposta patrimoniale feroce,  si direbbe! Ma le cose non stanno esattamente in in questi termini. Vediamo perché.

Prima di tutto occorre scomputare il denaro contante: tassare il contante, fino a quando questo rimane tale, è un esercizio impossibile da praticare. Non deve sorprendere, infatti, che sempre più spesso si sente dire che il mondo politico sarebbe favorevole ad una progressiva abolizione del denaro contante. Ciò perché, per obbligo normativo, questo verrebbe depositato in banca e quindi diverrebbe individuabile da parte del fisco, facendo emergere materia imponibile da colpire.

Esistono inoltre altre categorie di attività che, sebbene parzialmente note al fisco, tassarle con un’imposizione patrimoniale, risulterebbe abbastanza difficile e soprattutto rischierebbe di fare più danni che altro. E’ il caso, ad esempio, dei crediti commerciali. Tassare un credito vantato da un’azienda, benché tecnicamente possibile -obbligando ogni impresa a rendere noti al fisco i rispettivi crediti commerciali attraverso apposita comunicazione-  appare poco ortodosso, oltreché distruttivo. E poi, è evidente che al credito di un’azienda, corrisponda un debito di un’altra azienda. Siccome sarebbe ragionevole attendersi che il credito possa essere scomputato dal debito, alla fine, la base imponibile  sarebbe comunque limitata e un’eventuale imposizione patrimoniale, anche in questo caso,  graverebbe sulle imprese che già scontano livelli di prelievo fiscale insostenibile.

Discorso del tutto simile può essere osservato per le riserve assicurative. Anche queste potrebbero essere tassate, ma non senza difficoltà, contraddizioni, e non senza arrecare più danni che guadagni. L’applicazione di una imposta patrimoniale feroce, verosimilmente, andrebbe a colpire anche i fondi pensione e i fondi assicurativi, verso i quali un numero non del tutto indifferente di risparmiatori  hanno riposto le speranze per  ottenere l’integrazione pensionistica, al fine di  integrare (o sostituire)  la pensione erogata  dai vari enti previdenziali.  Sotto questo punto di vista, le scelte del governo volte all’applicazione di una imposta patrimoniale straordinaria, contrasterebbero con le politiche di welfare e con le varie riforme pensionistiche varate negli ultimi 10/15 anni, o forse più. Al riguardo, vale la pena ricordare che tali politiche hanno impresso uno stimolo allo sviluppo di forme pensionistiche alternative, capaci di integrare i flussi  finanziari del risparmiatore in età pensionabile, al fine di arginare la progressiva diminuzione delle prestazioni garantite dai veri enti pensionistici. Non un problema da poco, direi

Anche la ricchezza riconducibile alle partecipazioni in società di capitali non quotate (circa 562 miliardi di euro) o alle partecipazioni in società di persone o quasi società (circa 211 miliardi di euro) è di difficile imposizione poiché, essendo questa  una ricchezza riconducibile essenzialmente a partecipazioni in piccole società che non hanno una valutazione di mercato giornaliera (come invece avviene per le società quotate), oltre ad essere del tutto astratta, occorrerebbe definire un criterio attendibile di valutazione della partecipazione. Benché sia possibile effettuarlo per via amministrativa, il rischio è proprio quello di subire una valorizzazione arbitraria da parte dello Stato attraverso delle procedure  che possano valorizzare determinati asset non in maniera pertinente. In sostanza, è un po’ come oggi avviene con  gli studi di settore per la quantificazione dei  redditi di impresa. E   anche in questo caso l’esperienza ci  conferma quanto possano risultare arbitrarie e non pertinenti la determinazione del fisco. Inoltre, nel caso di imposte patrimoniali applicate ad imprese o aziende, c’è da dire che queste comporterebbero anche un’ulteriore abbattimento della competitività della imprese che, a quel punto, dovrebbero compensare la compressione di redditività patita  con l’imposta applicata, attraverso un aumento di prezzi che le renderebbero ancor meno competitive,   aggravando una situazione già critica.

Figura 4: La tabella riporta i dati relativi alla ricchezza finanziaria delle famiglie italiane nell’anno 2014, a parere dell’autore “facilmente” tassabile con imposte patrimoniali straordinarie. Elaborazione di Paolo Cardenà su dati Banca d’Italia.

Gli investimenti finanziari (ossia in titoli di stato,  fondi comuni, azioni ecc) per loro natura, si prestano  ad essere colpiti con maggiore attitudine rispetto ad altre tipologie di asset. Ma anche in questo caso, l’applicazione di una imposta patrimoniale straordinaria fortemente invasiva in termini di prelievo fiscale, rischierebbe di produrre più danni che guadagni. Pensiamo, ad esempio, ad un pacchetto di azioni  detenute da un risparmiatore, supponiamo per 100.000 euro,  e che vengano colpite da un imposta straordinaria di qualche punto percentuale. In questo caso, se il risparmiatore non dovesse disporre di liquidità sufficiente  per provvedere al pagamento dell’imposta, egli sarebbe costretto a liquidare  parte del proprio investimento al fine di ottenere le risorse necessarie per provvedere al pagamento dell’imposizione tributaria. Questo,  se effettuato su scala rilevante, determinerebbe pericolose distorsioni di mercato. Si pensi, ad esempio, alla caduta dei prezzi che si potrebbero determinare su un titolo: il risparmiatore ne risulterebbe doppiamente penalizzato poiché, oltre a subire una diminuzione del patrimonio per effetto dell’imposizione fiscale, subirebbe anche il deprezzamento  del proprio portafoglio titoli per effetto delle vendite sui titoli.  Questo appare  tanto più vero nel nostro mercato finanziario, il quale, essendo di modeste dimensioni, risulta particolarmente esposto alla possibilità di variazione di prezzi anche con capitali relativamente esigui. Inoltre, ciò rischierebbe di avvantaggiare investitori stranieri (quindi esenti da imposta), che in quest’ultimo caso, potrebbero acquistare pacchetti azionari  a buon mercato per effetto della depressione dei prezzi causata da una patrimoniale feroce. Evidentemente. le conseguenze nefaste non si esaurirebbero con le casistiche appena descritte, ma andrebbe ben oltre.

Discorso analogo potrebbe essere effettuato per le obbligazioni societarie (soprattutto bancarie) e i titoli di stato. Ma, in quest’ultimo caso, occorre effettuare qualche ulteriore ragionamento in virtù del fatto che, il titolo di stato, essendo un debito dello Stato che si vorrebbe abbattere proprio attraverso l’imposizione patrimoniale straordinaria, lo Stato potrebbe essere tentato di operare una compensazione tra il suo credito derivante dall’imposizione tributaria e il suo debito rappresentato dal titolo di Stato nel portafoglio del risparmiatore. In altre parole, in questo caso, laddove  non si dispongano di risorse necessarie per poter corrispondere l’imposizione tributaria, lo  Stato potrebbe effettuare una compensazione tra il proprio credito (imposta patrimoniale) e il proprio debito (titolo di stato), diminuendone o azzerandone gli  interessi previsti o, nei casi più “estremi”, decurtandone il capitale alla scadenza del titolo. In buona sostanza, un default mascherato da una patrimoniale.

Concludendo, le classi di attività che si prestano ad essere colpite con maggior attitudine, anche con imposizioni feroci,  sono proprio quelle liquide (ad esempio depositi bancari, di conto corrente, o postali), poiché aggredire tali patrimoni costituisce, per lo stato, garanzia della celerità e del buon esito  della pretesa tributaria. In tal senso, anche quelle attività in cui lo stato risulta essere debitore (titoli di stato) si prestano con particolare attitudine a soddisfare le proprie esigenze, in quanto, lo stato, potrebbe agevolmente compensare la sua posizione debitoria  con il credito emerso per effetto dell’imposizione fiscale.

Analogo discorso può essere osservato per le obbligazioni bancarie, le quali, come noto anche per via della recente introduzione della normativa sui salvataggi bancari, potrebbero essere sottoposte all’azzeramento (o alla riduzione) al fine di obbligare  il risparmiatore a contribuire al salvataggio di qualche banca che potrebbe trovarsi in stato di difficoltà.

A mero titolo informativo, giova segnalare la proposta di iniziativa popolare avanzata dalla Cisl. La proposta avanzata dal sindacato prevede l’introduzione di un’imposta patrimoniale  ordinaria sulla ricchezza netta che cresca al crescere della ricchezza mobiliare e immobiliare complessiva, con l’esenzione totale sugli imponibili delle famiglie fino a 500.000 euro di ricchezza, con l’esclusione da tale computo della prima casa. L’imposta andrebbe a colpire l’ammontare complessivo dei valori mobiliari ed immobiliari con aliquote crescenti su diversi scaglioni di valore, dai 500 mila euro in su (si veda Il Sole 24 Ore del 2 settembre 2015, http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-09-02/fisco-legge-popolare-targata-cisl-via-tassa-prima-casa-e-bonus-mille-euro-i-redditi-fino-40mila-euro-105824.shtml?uuid=ACaTgaq&refresh_ce=1).

Pensare che con un’imposizione patrimoniale straordinaria possa ottenersi un gettito di 400/500 miliardi di euro come quanto auspicato da “autorevoli” commentatori, appare del tutto irrealistico, oltreché destabilizzante per uno stato di diritto, ove la proprietà privata e la tutela del risparmio è anche garantita costituzionalmente. Ma ciò non toglie che questo patrimonio  possa essere comunque esposto al rischio di qualche forma di imposizione patrimoniale o, peggio, confisca.

L’imposta patrimoniale, oltre ad essere una tassa iniqua ed ingiusta per definizione (poiché  andrebbe a colpire anche i patrimoni realizzati con flussi di reddito già ampiamente tassati), comporterebbe il concretizzarsi di un evento deprecabile che comprometterebbe in maniera sostanziale anche la già precaria fiducia dei risparmiatori nei confronti dello Stato. Tuttavia, i risparmiatori dovrebbero comunque adottare quelle strategie più idonee (anche in relazione al proprio status e alla composizione del proprio patrimonio) a limitare l’impatto di un’eventuale inasprimento delle imposte esistenti o dall’introduzione di qualche forma di imposizione patrimoniale straordinaria.

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Autore: Finanza.com Blog Network Posts

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Digital Audio

Apple Kills Headphone Jacks On iPhone 7; Will DJ Gear Be Next?

This morning Apple announced the iPhone 7, a new version of the mobile device that started the smartphone revolution nine years ago. Unlike every other model of the device, the iPhone 7 does not have a headphone jack on it – just a single Lightning port for charging or attaching other compatible accessories. Why did Apple make this change, and could it ever happen in the DJ/production industry? Read on.

iPhone 7: No More Analog Audio Ports

When was the last time you said the word "dongle" with excitement?

Just what everyone needs, a new adapter dongle to lose.

The new iPhone 7, which is set to be in stores on September 16th, is completely ditching the analog audio ports on the unit. There will be three ways that you can use external audio devices (input or output) with the new iPhone:

  • With Lighting-compatible audio devices
  • via Bluetooth
  • using an awkward, easily-lost connector dongle (see image above), included with every iPhone 7

But clearly Apple wants everyone to use a completely wireless solution to headphones – because the natural question about charging vs audio quickly comes up:

Amazingly, Apple’s senior vice president of worldwide marketing Phil Schiller had a way to spin the removal of the headphone jack:

“The reason to move on comes down to one word—courage,” Schiller explained. “This is really important, our smartphones are packed with technologies…it’s all fighting for space. Maintaining an ancient analog connector doesn’t make sense.”

Will DJ Gear Be Next?

Would we ever see this unlikely concept - Bluetooth headphones on a DJ mixer?

Would we ever see this unlikely concept – Bluetooth headphones on a DJ mixer?

Right now, it feels incredibly unlikely that any DJ or production gear manufacturer will make a similar “courage”-driven change to their lineup. Why would a pro audio company drop a standard audio connection unless the market demanded it? Here’s a few reasons why we don’t think you’ll see analog headphone jacks missing on soon-to-launch DJ gear:

  • FireWire all over again? We suspect that many long-time manufacturers learned their lesson when Apple attempted to force similar innovations with FireWire – a technology that initially promised faster transfer speeds and concurrent connections, but then eventually became outclassed with newer versions of USB. USB was able to maintain backwards compatibility – something that is sorely missing for anyone who owns a legacy Firewire audio device.
  • More space than a phone. Most DJ gear doesn’t have a space issue – which if Phil’s “courage” statement is to be believed, is one of the biggest reasons for removing a headphone port.
  • What about wireless technology? Apple today also introduced a W1 chip present in upcoming wireless headphone lines – the AirPods and Beats X. Even with continued improvements in latency, Bluetooth and other wireless protocols are still unacceptably latent for DJ applications – particularly when compared to their analog, no-sync-required predecessors.

What About Headphone Manufacturers?

high-end-fashion-headphones

There’s an assumption that the high-end headphone market is driven by practical users with professional applications. This includes DJs, producers, and other audiophile-leaning users.

But in recent years, high-end headphones have become a fashion statement and luxury item. Look at the success of Beats By Dre, or the introduction of precious metal V-Moda Shield kits (get a set in 14k Rose Gold for just $ 4,000!). Headphone companies might earn a reputation among critical / practical pro-audio users, but their incremental revenue is likely made up of regular consumers.

It’s this increasing importance that headphone manufacturers are putting on being trendy that could be the path towards wireless-only cans. So far, no company has announced that they’re dropping the audio cable and going wireless-only – and let’s hope it stays that way.  

Think there’s any chance that DJs have to worry about headphone jacks disappearing on DJ gear? 
Share your thoughts in the comments.

Autore: DJ TechTools

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Hands On with the iPhone 7 and 7 Plus

As the iPhone 6’s design turned 2 years old the iPhone 7 was launched to continue the two year cadence for their smartphone designs. As you might expect from a phone like this, rather than maintaining the same industrial design that we saw with the iPhone 6s instead we’re looking at a new, more refined design.

To get what I’m talking about, we can start with the iPhone 7 proper, which is the 4.7 inch variant. Broadly speaking if you were to only look at the shape of the phone there isn’t a ton that has changed, but if you look at all of the design elements together it’s clear that the design has changed in a fairly meaningful way. From the front, looking at the display you still get a familiar design as far as the earpiece, front-facing camera, and other sensors on the top, with a single home button on the bottom. However, unlike previous iPhones the button is solid state. I’ll have some more thoughts on this soon, but the home button still looks like previous iPhones because the fingerprint scanner isn’t placed underneath the cover glass. It also looks like the fingerprint scanner still uses different materials as the reflectance is clearly different, so this should still be a sapphire crystal.

Moving on to the back cover of the phone the Jet Black version of the phone is clearly finished to a high gloss, despite using an aluminum back cover which usually have a sandblasted finish. This finish looks pretty nice for about the 3-4 seconds that it remains glossy, as unless you subject your hands to a bath of isopropyl alcohol I find it unlikely that you won’t immediately cover the phone in fingerprints. The high gloss finish honestly wouldn’t feel that different in the hand from hyperglaze in the Galaxy S3 other than the noticeably different heat conductivity of aluminum. Interestingly enough the new antenna demarcation lines are now running along the edges if you look at the phone from the back. When it comes to the jet black version, it’s much harder to notice the antenna lines because the color matching is fairly close and the plastic feels hard and glossy to the touch much like the aluminum itself. Of course, any other color is going to be more obvious in this regard but this phone is probably the closest Apple has gotten to replicating the monolith from 2001: A Space Odyssey.

As far as design goes, it feels like either Apple’s ID team has collectively gotten over the whole idea of trying to hide the camera hump as rather than an extremely thin aluminum surround to hold the small cover glass of the camera, the lens has become larger and the hump itself is now integrated into the chassis itself. It’s much more obvious than the iPhone 6s, but I personally think this makes a lot more sense than continuing to pretend that phones don’t have camera humps as this kind of design makes it less likely that the phone will rock around when it’s placed on a flat table.

Along the left and right sides of the iPhone 7 we continue to have the same button layout, with power on the right and volume buttons on the left. The silent toggle switch remains identical to the one seen in previous iPhones. The main point of interest, and I suspect controversy is going to be along the bottom of the phone.

Along the bottom edge, there’s a set of speaker holes, a Lightning port, and another speaker port. I suspect at least some of these holes house a microphone rather than just being two speakers, but I guess this makes more sense as far as visual balance goes and helps distract from the space left by the missing 3.5mm headphone jack. There’s too much to be said here to just have a single sentence, so we’ll cover this later. As far as the design of the iPhone 7 Plus goes, it’s really just more of the same. However, the iPhone 7 Plus has a significantly changed camera housing to allow for dual cameras. I got to spend some time with the matte black version for the iPhone 7 Plus though, and I think this traditional sand-blasted finish is just clearly superior. The antenna lines are more obvious but the finish is less susceptible to scratches and doesn’t show fingerprints nearly as much.

As far as usability goes, it’s hard to make any snap judgments of performance, so I’m going to restrain from any commentary here until I actually get some time to sit and stare at two different phones side by side to give any thoughts here. I didn’t see any noticeable frame drops, but when you’re mostly using system applications it’s usually almost impossible to notice these things unless something is seriously wrong.

Things like the new solid-state home button are a huge step forward as far as feel and reliability goes, but in some sense knowing that this is ultimately a capacitive touch sensor with some force sensing was somewhat confusing at first because I touched the home button the way I would an HTC 10 and expected it to work off of almost no actuation pressure. If you treat this home button like a physical home button though it works just as expected, and feels just like a real button. Unlike a real button it’s unlikely that you’ll ever break this home button though, so with time I’ll probably see less people using on-screen buttons to compensate for broken home buttons.

In the case of the iPhone 7 Plus, the dual camera works well within the functionality implemented. At this time it looks like the only feature available is zooming, and it’s definitely possible to see much more detail from the zoom lens than with the wide angle lens, but I’m not really able to say much else at the time because without the ability to test the camera in a room with dim lighting or the ability to walk around with the phone at night with a tripod means that I can’t provide any meaningful commentary on the performance of the camera at this time. Similarly, things like the front-facing camera and IP67 resistance cannot be tested reasonably in the context of a hands-on lasting less than 20 minutes.

What is worth mentioning here is that the stereo speakers work quite well. Although the demo room was loud with the sound of multiple journalists trying to film and talk into a camera, it was actually possible to hear something from the speakers which is honestly quite impressive. I can’t tell whether the top speaker has a different frequency response than the bottom speaker, but I wouldn’t be surprised to know that the setup here is similar to the HTC 10’s design in that regard. The final point of interest here is going to be the 3.5mm jack, and for better or worse it’s been removed. I’m still trying to get details on the specifics of this implementation, but if you have earbuds that use the 3.5mm jack you’ll have to use an adapter that comes with the phone that plugs into the Lightning port.

Really though, it’s obvious that Apple is trying to push people towards using wireless headphones of some shape or form, as there were quite a few AirPods available for demonstration.

Pairing of the AirPods was shown to just be done by holding them near the device and pressing the connect button whenever it popped up. Once paired the earbuds go into the ear, with automatic playback through the earbuds if the proximity sensor is tripped and pausing if it detects removal once playback starts. Double tapping the earbuds will cause it to activate Siri, and it looks like the microphones do some noise cancellation in order to enable better calls and voice commands. However I didn’t really see any evidence that active noise isolation is active in these earbuds so they won’t really isolate you from the environment.

Overall, the iPhone 7 and 7 Plus look to be interesting to say the least. There are a lot of things that a hands-on can’t cover like the new SoC, whether the loss of a 3.5mm jack really matters, and whether the phone represents a major upgrade overall. Regardless, the iPhone 7 and 7 Plus go on pre-order on September 9th, and will be available for sale on the 16th and will be available in Jet Black, Black, Silver, Gold, and Rose Gold.

Autore: AnandTech

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Gossip

Michael Douglas: “Mir mangelte es an Selbstbewusstsein”

Michael Douglas hatte Angst vor den großen Fußstapfen. Der Schauspieler sah es nicht unbedingt als Vorteil an, Sohn eines großen Stars zu sein.

 Michael Douglas: "Mir mangelte es an Selbstbewusstsein"

„Mir mangelte es an Selbstbewusstsein. Es hat lange gedauert, bis ich mich sicher fühlte“, offenbarte der 71-Jährige. „Wenn du dann auch noch einen Vater wie Kirk hast… Er war diese große Figur, zu der ich aufschaute und dachte: ‚Wow, wie kannst so ein Mann wie er werden?‘ Aber ich beschwere mich nicht, jeder hat seine Stärken und Schwächen. Und man versucht einfach, solche Situationen zu überwinden und seinen Lebensweg zu verbessern.“ Der ‚Spartacus‘-Star, der im Dezember stolze 100 Jahre alt wird, sei außerdem nicht wirklich überzeugt vom Talent seines Sohnes gewesen: „Ich weiß noch, dass er nach meinem ersten Auftritt auf mich zukam und sagte: ‚Michael, du warst absolut schrecklich.’“, erinnerte sich der ‚Basic Instinct‘-Darsteller in der TV-Show ‚Good Morning Britain‘.

Mehr zu Michael Douglas: Sohn Cameron früher pfui, heute hui!

„Und er war so erleichtert, weil er dachte: ‚Ich muss mir um meinen Sohn keine Sorgen mehr machen, er wird kein Schauspieler, er ist zu schlecht.‘ Das habe ich mir zu Herzen genommen, ein paar Auftritte später kam er wieder zu mir und sagte: ‚Nicht schlecht‘.“ Auch seine eigenen Kinder, Dylan (15) und Carys (12) ,verfolgen beide Ambitionen, im Showbusiness Fuß zu fassen. „Sie wollen beide schauspielern und ich habe ihnen erklärt, dass sie sich auf Ablehnung einstellen sollen“, so der Ehemann von Catherine Zeta-Jones.

Autore: klatsch-tratsch.de