Categorie
Economia Tecnologia

Cosa sta succedendo a Tim

Author: Wired

Libera di correre” su un percorso che appare ricco di ostacoli da superare, magari sfruttando la vendita della rete fissa. Il consiglio di amministrazione di Tim ha approvato all’unanimità lo scorso 6 marzo il piano industriale per il triennio 2024-2026 presentato dall’ad Pietro Labriola e intitolato appunto Free to run.

Proprio la cessione dell’infrastruttura fissa, come si legge in una nota del gruppo, permetterà all’azienda di muoversi sul mercato con minori veicoli finanziari e regolatori e di operare concentrandosi di più sulle componenti industriali. In tale maniera, nonostante il contesto macroeconomico non dia certezze, Tim prevede “un significativo miglioramento di tutte le metriche economico finanziarie, mantenendo una solida struttura di capitale”.

Il piano industriale

In particolare, il gruppo prevede tra l’altro una crescita dei ricavi annua del 3% medio dai 14,4 miliardi di euro pro forma del 2023 e un aumento dell’8% annuo del margine operativo lordo after lease dai 3,5 miliardi di euro pro forma del 2023. Tim ha chiarito anche gli obiettivi delle singole unità aziendali. Tim Consumer lavorerà per aumentare i ricavi medi per utente dei settori fisso e mobile migliorando la convergenza dei clienti tra essi e per ottenerne di nuovi attraverso servizi per famiglie e piccole e medie imprese, anche attraverso partnership.

Tim Enterprise continuerà l’accelerazione dei ricavi da servizi, puntando in primis su un’ulteriore espansione nel mercato Ict, amplificata a sua volta da un posizionamento sui settori chiave per la crescita (cloud, IoT, cybersecurity). Per Tim Brasil è infine prevista un’ulteriore crescita dei ricavi e del margine operativo lordo, con una generazione di cassa in crescita in doppia cifra entro il 2026.

Il tonfo in Borsa

Gli ostacoli da superare e sono rappresentati però soprattutto dalle reazioni del mercato. Come sottolinea il Corriere della Sera, all’indomani del cda il gruppo delle telecomunicazioni è stato protagonista di una falsa partenza in Borsa. Sono state scambiate oltre 1,5 miliardi di azioni, pari a più del 7% del capitale della compagnia, e il titolo ha chiuso la giornata con un calo del 24%.

Le buone notizie per Tim, che si aspetta 14,2 miliardi di euro dalla vendita di NetCo e si pone un obiettivo di leva finanziaria per il 2026 di 1,6-1,7x, arrivano dal nord America. Come riporta l’agenzia Reuters, Canada Pension Plan Investments (Cpp) acquisirà una quota del 17,5% dello spin-off di Telecom Italia per un massimo di 2 miliardi di euro. L’investimento sarà effettuato attraverso il gruppo Optics Bidco, veicolo controllato da Kkr, il fondo che ha spuntato l’offerta per entrare nella società della rete della compagnia di telecomunicazioni.

Fondato da Henry Kravis e George Roberts nel 1976 a New York, Kkr gestisce oggi circa 510 miliardi di patrimonio in 27 città diverse in 17 paesi sparsi su quattro continenti. Al 31 dicembre 2022 erano 127 le aziende in portafoglio nei suoi fondi di private equity e generavano in totale circa 288 miliardi di dollari di ricavi annuali. Tra queste figurano ByteDance, Epic Games, GetYourGuide, Marelli e Wella. In Italia, oltre che in Fibercop, ha già investito nella umbra Cmc Solutions, attiva nel settore degli imballaggi.

Categorie
Economia Tecnologia

Tim, rete unica e Cdp: cosa sta succedendo

Author: Wired

Alla fine anche Cassa depositi e prestiti (Cdp) si fa avanti per la rete di Tim. Il consiglio d’amministrazione della cassaforte del risparmio postale ha presentato un’offerta insieme al fondo australiano Macquarie per rilevare il 100% di Netco, il gruppo in cui confluirà la dorsale in fibra di Tim, la rete dati e Sparkle, il gruppo che gestisce le reti a livello globale. Sul piatto ci sono circa 18 miliardi, due in meno di quelli offerti dal fondo statunitense Kkr, ma le condizioni sarebbero considerate migliorative: circa 2-2,5 miliardi in liquidità e senza la richiesta di riassorbire gli esuberi in Servco, la nuova compagnia in cui confluirebbero i servizi di Tim.

L’offerta di Cdp, licenziata domenica 5 novembre da un cda sotto la presidenza di Giovanni Gorno Tempini, dura fino al 31 marzo, e Tim intende esaminarla nella riunione già programmata per il 15 marzo o in un’altra data da definire. Cdp ha il placet del governo, suo azionista tramite il ministero delle Finanze (Mef), ed è vista di buon occhio perché manterrebbe il controllo della rete sotto un attore vicino ai desiderata di Roma, dato che si tratta di una infrastruttura critica. Tuttavia siccome sia Cdp sia Macquaire sono azionisti di Open Fiber, l’altro attore voluto per cablare in fibra l’Italia. Se l’offerta ricevesse il semaforo verde del cda di Tim, servirebbe poi l’ok delle autorità di regolamentazione dei mercati in Europa.

Al governo piace più la soluzione Cdp, perché è il viatico per la tanto ambita rete unica nazionale, affidata a un attore vicino all’esecutivo. Tanto che l’offerta di Kkr arrivata a inizio febbraio ha sparigliato le carte. L’ultimo progetto di rete unica risale al 2018. Il primo protocollo preliminare viene firmato nel 2020 e prevede una quota di maggioranza per Tim. L’ipotesi sfuma a causa di problemi di valutazione, normativi e politici. Nel maggio 2022 viene dunque firmato un secondo accordo non vincolante, che conferisce il controllo a Cassa depositi e prestiti (Cdp). In Tim ci sono però mal di pancia da parte dell’azionista principale, la francese Vivendi, che avrà voce in capitolo anche se non esprime più nomi nel bord. Proprio con il braccio finanziario del governo, il colosso delle telecomunicazioni aveva infatti tenuto colloqui in vista di un accordo alternativo che prevederebbe una fusione della rete con Open Fiber. Cdp controlla infatti quest’ultima e possiede circa il 10% di Tim

Tim ha un pesante debito, di circa 20 miliardi, che proprio la vendita della rete dovrebbe alleviare, e dopo l’annuncio dell’offerta di Cdp il titolo ha guadagnato terreno in Borsa.

Categorie
Economia Tecnologia

Telefonia, in Italia le tariffe sono sempre più basse

Author: Wired

A differenza di quanto accaduto relativamente ad altri servizi, il prezzo medio delle offerte del mercato della telefonia mobile nell’ultimo anno non è aumentato, anzi. Uno studio effettuato dall’osservatorio tariffe di Sostariffe.it e Segugio.it ha dimostrato che i costi sono leggermente calati, mentre i pacchetti proposti dagli operatori includono più giga per navigare in mobilità.

L’indagine ha preso in considerazione tutte le tariffe mobili presenti sul mercato, sia quelle degli operatori di rete mobile classici (Mno), sia quelle degli operatori virtuali (Mvno), confrontando i prezzi di gennaio 2023 con quelli praticati dodici mesi prima. L’attuale canone medio è risultato essere pari a 9,74 euro al mese, un dato più basso dell’8% rispetto a un anno fa, che rappresenta un nuovo minimo per il settore.

Rispetto a inizio 2022, oggi una tariffa di telefonia mobile include inoltre una media di 40 gigabyte mensili in più, arrivando a un totale di 115. In termine percentuale, questo rialzo equivale a una crescita del 42% in confronto agli 81 gigabyte di gennaio 2022.

Gli operatori classici

Restringendo l’indagine agli operatori classici, ovvero Tim, Vodafone, WindTre e Iliad, l’osservatorio ha dimostrato come siano aumentati i gigabyte inclusi, a fronte di un prezzo tariffario pressoché stabile di 14,40 euro al mese, che fa segnare un -0,3% su base annua. In media, tali operatori mettono a disposizione infatti 135 giga al mese, con una crescita del 50% rispetto a gennaio 2022. Crescono leggermente anche i minuti e gli sms, rispettivamente del 2,7 e dell’11,7%.

Gli operatori virtuali

Le offerte degli Mnvo, quelli privi di infrastrutture di rete proprietarie, continuano a essere più economiche rispetto a quelle dei concorrenti. Essendo il loro numero in aumento, sono peraltro di più le loro offerte mensili complessive e cresce dunque l’incidenza dell’economicità delle loro tariffe sulla media complessiva del settore.

Il costo periodico delle offerte degli operatori virtuali prevede raggiunge oggi mediamente i 7,91 euro, il 5,7% in meno rispetto a gennaio 2022. È la prima volta che il prezzo medio delle tariffe degli Mnvo scende sotto il tetto degli 8 euro. Anche in questo caso aumentano inoltre i giga mensili, che superano quota 100, arrivando a 104, il 36,8% in più rispetto al gennaio di un anno fa. Variano in minima misura sms e minuti, che fanno segnare rispettivamente un calo dello 0,1% e un aumento del 3,2%.

L’interrogazione in Europarlamento

Dal 2024, però, la musica dovrebbe cambiare. Tim e WindTre hanno infatti già annunciato che adotteranno tariffe adeguate all’inflazione. Una scelta che lo scorso 7 dicembre è stata oggetto di un’interrogazione parlamentare presentata dall’eurodeputato di Fratelli d’Italia Denis Nesci, preoccupato che essa possa ledere gli interessi dei consumatori.

La direttiva 93/13/Cee – ha affermato in merito il commissario europeo per il mercato interno e i servizi Thierry Bretonprevede che tutte le clausole nei contratti stipulati con i consumatori siano eque e trasparenti, comprese le clausole relative alla modifica del prezzo inizialmente concordato. A condizione che Tim e WindTre abbiano rispettato tali disposizioni, non vi è alcun elemento che suggerisca una violazione dei diritti dei consumatori”.