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Economia

[687] Monetary policy depleted, fiscal fix needed?

Profits at S&P 500 companies are headed for a sixth consecutive quarterly decline. Ameera David has the details. Then, Boom Bust’s Bianca Facchinei takes a look at the politics behind the informal OPEC gathering in Algiers that is rallying oil prices. Steve Keen, Head of Economics, History & Politics at Kingston University, then explains whether the angst over debt in China is warranted.After the break, economist and best-selling author Gary Shilling breaks down why global growth continues to remain subdued despite extreme levels of monetary stimulus. And finally, in The Big Deal, Edward Harrison continues the discussion on why monetary policy is at the end of the line as a policy tool.Take a look!Check us out on Facebook — and feel free to ask us questions:http://www.facebook.com/BoomBustRThttps://www.facebook.com/harrison.writedownshttps://www.facebook.com/biancafacchFollow us @https://twitter.com/AmeeraDavidhttp://twitter.com/edwardnhhttps://twitter.com/BiancaFacchinei

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HardwareSoftware

Differenza 4G e LTE, le bande in Italia

Gli operatori di telefonia mobile stanno da tempo facendo a gara per offrire quanta più banda possibile. Lo “standard” di riferimento per la connettività lontano da casa o dall’ufficio è il 4G, anche se la massima velocità di trasferimento dati è ottenibile solo nelle località della Penisola più importanti.

Ma qual è, innanzi tutto, la differenza tra 4G e LTE e come orientarsi fra le offerte de vari operatori?

4G e LTE non sono la stessa cosa anche se, ormai, in forza del battage pubblicitario in essere da anni, i due termini vengono equiparati nel linguaggio comune.

Già nel 2008 l’ITU (International Telecommunication Union), organizzazione internazionale che si occupa di definire gli standard nelle telecomunicazioni e nell’uso delle onde radio, aveva definito le specifiche delle tecnologie 4G (di quarta generazione).
Purtuttavia, da allora, iniziarono ad essere presentate sul mercato tecnologie che – per definizione – non rispettavano le specifiche definite dall’ITU.
Tanto che l’ITU spiegò che WiMax e LTE non potevano essere considerate come 4G perché erano lontane dal fornire prestazioni in downstream e upstream proprie di tali tecnologie (ecco l’articolo che pubblicammo all’epoca: ITU: WiMax e LTE un’evoluzione ma non sono “4G”).

Il marketing però vinse e la stessa ITU, successivamente, iniziò a tollerare l’uso del termine 4G anche per WiMax e LTE anche se – si osservò – le due tecnologie potevano essere considerate di quarta generazione da punto di vista commerciale ma non da quello prettamente tecnico.

Per un lungo periodo, quindi, i dispositivi ma soprattutto le reti mobili, non hanno potuto soddisfare le aspettative degli utenti finali.

Differenza 4G e LTE, le bande in Italia

Le due tecnologie realmente considerate 4G dall’ITU sono però LTE Advanced e WiMax Release 2 (WirelessMAN-Advanced).

Le specifiche True 4G

L’appellativo True 4G è poco noto ma è quello usato dall’ITU per riferirsi alle tecnologie realmente di quarta generazione, che quindi possano offrire 1000 Mbps in downstream e 500 Mbps in upstream.
Nella categoria delle tecnologie True 4G ricadono appunto LTE Advanced e WiMax Release 2.

Va detto, comunque, che la Release 8 di LTE Advanced supporta “solamente” fino a 300 Mbps in downstream, specifica che – evidentemente – non rispetta la definizione True 4G dell’ITU. Solo con la Release 10 di LTE Advanced si è arrivati a toccare la soglia di 1000 Mbps in downstream.

Per quanto riguarda LTE, sebbene non possa essere – a stretto rigore – considerata una tecnologia di quarta generazione, le velocità di picco raggiungibili sono davvero notevoli. Quando si sceglie un dispositivo mobile, quindi, è bene verificare quale categoria il modulo radio LTE riesce a supportare:

Differenza 4G e LTE, le bande in Italia

È quindi bene optare ormai su dispositivi mobili che supportano almeno LTE Cat. 6 (fino a 300 Mbps in download).Sia su LTE che su LTE Advanced (connettività pubblicizzata con i termini 4G+ e 4G Plus dai vari operatori) o, ancora, con 4G++ (ulteriore evoluzione che mira ad offrire ancora più banda), le aziende di telecomunicazioni stanno sempre più utilizzando la tecnica carrier aggregation.
Essa consiste nell’aggregare due o più bande di frequenza diverse tra quelle utilizzate per l’LTE. In Italia, ad oggi, sono state assegnate dal Ministero – attraverso un’asta pubblica – le bande a 800, 1800 e 2600 MHz.

LTE Advanced consente, sulla carta, di raggiungere velocità fino a 3 Gbps in downstream e di 1,5 Gbps in upstream: c’è quindi ampio margine, ancora, per lo sviluppo dell’ultrabroadband in mobilità.
Lo standard offre anche un’efficienza spettrale nettamente maggiore, permette di gestire simultaneamente un maggior numero di terminali client e c’è la possibilità di fare ampio utilizzo della tecnologia MIMO (vedere Che cos’è MU-MIMO e può davvero migliorare la connessione WiFi?.

Le bande LTE usate in Italia

Gli operatori di telecomunicazioni italiani si sono aggiudicati l’utilizzo delle seguenti bande di frequenza per l’erogazione del servizio LTE: 800, 1800 e 2600 MHz.

Le frequenze più elevate (i.e. 2600 MHz) consentono tipicamente di ottenere le velocità maggiori ma sono meno indicate per il superamento degli ostacoli. In generale, quindi, utilizzando i 2600 MHz, gli operatori possono coprire aree di minor raggio.

Di seguito le bande usate dai vari operatori italiani per erogare la connettività LTE:

TIM: 800 MHz, 1800 MHz, 2600 MHz;
Vodafone: 800 MHz, 1800 MHz, 2600 MHz;
Wind: 800 MHz, 2600 MHz;
3 Italia: 1800 MHz, 2600 MHz (TDD).

Quando si acquista uno smartphone “di importazione” è quindi sempre bene quali frequenze LTE sono supportate dal modulo radio. Il problema è, per il momento, di solito con Wind che usa prevalentemente gli 800 MHz, frequenza che i terminali estremo-orientali spesso non supportano (vedere Miglior smartphone Android, gli aspetti da considerare nella scelta e Dual SIM Android, come scegliere e configurare lo smartphone).

Sui 2600 MHz, 3 Italia utilizza TDD-LTE (Time Division Duplex ossia duplex a divisione temporale). Viene cioè impiegata una singola banda di frequenza sia per le attività di trasmissione che di ricezione dei dati. L’informazione da trasmettere, indipendentemente dalla sua tipologia, viene inviata in forma sequenziale ma la banda disponibile viene suddivisa assegnando degli “slot temporali” a ciascuna operazione, sia in ingresso che in uscita.

Differenza 4G e LTE, le bande in Italia

Nel caso di TDD-LTE, quindi, tutte le trasmissioni sono concorrenti più che simultanee ma il risultato è comunque quello di una comunicazione full duplex.
Il vantaggio reale del TDD è la possibilità di usare un singolo canale dello spettro di frequenza (non c’è quindi spreco di banda o necessità di separare i canali). I contro consistono nel fatto che TDD necessita di timing ben precisi e quindi di una suddivisione e sincronizzazione delle finestre temporali senza approssimazioni.

Per LTE, in Italia è più “gettonato” l’utilizzo di FDD (Frequency Division Duplex): sono richiesti due bande di frequenza o canali separati per allestire la comunicazione bidirezionale. In questo modo, non v’è alcuna interferenza tra le attività di trasmissione e ricezione dei dati.
L’utilizzo di appositi filtri, permette di svolgere un’efficace separazione dei due segnali.
In termini di banda occupata, FDD richiede il doppio dello spettro impegnato da TDD; inoltre, tra le due bande dev’esserci una porzione dello spettro libera (che resta inutilizzata) e che serve come separazione.

Uno schema dell’occupazione dello spettro da parte degli operatori italiani è pubblicato a questo indirizzo.

Per approfondire ulteriormente l’argomento, suggeriamo la lettura dei seguenti articoli:

LTE in Italia: copertura, frequenze e velocità
Migliorare la ricezione del segnale dati 3G e LTE su Android
Migliori router LTE 4G wireless: guida alla scelta

Autore: IlSoftware.it

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Energia

Dal solare al mini idroelettrico, nuovi investimenti nell’energia condivisa

Con il recupero di una piccola centrale idroelettrica nel veronese, una cooperativa cerca nuovi soci-investitori, promuovendo un modello di azionariato diffuso. L’impianto produrrà 700.000 kWh l’anno da immettere in rete con gli incentivi del GSE. Il ruolo delle cooperative energetiche delle rinnovabili.

Da tempo non c’è più solo il fotovoltaico nei “pacchetti” di energia condivisa proposti dalle cooperative che producono elettricità rinnovabile e la consumano con i propri soci.

Un modello, questo, ancora poco sviluppato in Italia, soprattutto se paragonato con realtà più consolidate in Germania, Danimarca e altri paesi nordici (Autarchia o democrazia energetica? Il caso delle cooperative in Alto Adige).

A Montorio Veronese, ad esempio, è stata appena inaugurata dalla cooperativa WeForGreen Sharing, una centrale mini idroelettrica, Lucense 1923, da 112 kW completamente ristrutturata dopo trent’anni di inattività.

L’impianto, realizzato dalla finanziaria locale Finval con un investimento di quasi un milione di euro, produrrà 700.000 kWh l’anno di elettricità, che corrispondono al fabbisogno di circa 250 famiglie.

Con l’ingresso del mini idroelettrico è un po’ cambiato il modello di business e, di conseguenza, lo schema per aderire a questo singolo progetto, spiega a QualEnergia.it Vincenzo Scotti, amministratore delegato di ForGreen, società veronese specializzata nelle fonti rinnovabili che nel 2015 ha dato vita alla cooperativa. WeForGreen Sharing conta oltre 500 soci e gestisce già tre parchi solari per complessivi 3 MW di potenza installata (L’energia solare da condividere, anche senza un tetto).

«La logica è sempre quella della partecipazione diffusa, in questo caso dell’azionariato diffuso», chiarisce Scotti. «L’obiettivo, infatti, è l’ingresso nel capitale della società veicolo Lucense 1923 che gestirà l’impianto idroelettrico. Ogni socio della cooperativa potrà partecipare con una quota minima di 500 euro. Abbiamo raccolto oltre venti adesioni e potremmo arrivare a 70-80 o anche di più entro la fine dell’anno».

La proprietà dell’impianto, quindi, sarà della Finval e dei soci di WeForGreen Sharing che avranno “sposato” l’iniziativa.

Si tratta, insomma, di un vero e proprio investimento con una remunerazione del capitale che si attesterà tra un minimo dell’1% e un massimo del 4,5% grazie all’attività della centrale. Quest’ultima, evidenzia poi Gabriele Nicolis, presidente della cooperativa, immetterà in rete tutta l’energia generata, ricevendo per vent’anni gli incentivi dal GSE (con tariffa onnicomprensiva).

C’è dunque una differenza rispetto ai parchi fotovoltaici che sono stati acquistati da WeForGreen Sharing: quegli impianti, precisa Nicolis, permettono ai soci di diventare autoproduttori di energia, anche se tale generazione avviene a distanza, e non sul tetto di casa propria. Nel caso di Lucense 1923, invece, il socio investe nelle fonti rinnovabili senza autoprodurre l’elettricità corrispondente ai suoi consumi.

Come osserva Scotti, «abbiamo voluto aprire la cooperativa a un progetto con una fortissima connotazione territoriale e sociale nel veronese. Un altro vantaggio per i nuovi soci sarà la possibilità di acquistare l’energia generata dalla cooperativa, che è superiore al fabbisogno complessivo degli aderenti. Nel periodo 2011-2015 c’è stato un risparmio medio del 17% in bolletta rispetto alle tariffe di maggior tutela».

Da socio autoproduttore a socio investitore e consumatore di elettricità verde, è questa in sintesi l’evoluzione di WeForGreen Sharing, che guarda già al futuro con l’idea di far entrare altri impianti nel suo portafoglio, che siano solari, eolici o idroelettrici.

Senza dimenticare le iniziative di educazione ambientale (visite delle scuole e museo eco didattico nei locali ristrutturati di Lucense 1923) e quelle di mobilità sostenibile, ad esempio attraverso la recente partecipazione a un gruppo d’acquisto per veicoli elettrici e ibridi.

Autore: QualEnergia.it – Il portale dell’energia sostenibile che analizza mercati e scenari

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LUUV: lo stabilizzatore è sia fisico sia motorizzato

LUUV a Photokina 2016 ha messo in mostra due sistemi di stabilizzazione (uno fisico, l’altro motorizzato) che possono operare insieme per riprese ferme anche in condizioni difficili. Il marchio tedesco mette infatti a disposizione un sistema che con un peso stabilizza anche fotocamere di grandi dimensioni e peso e una testa motorizzata per le action camera: per riprese super stabili possono essere utilizzate insieme

Tag: AnteprimaFierefotocameraReportvideocamere

Autore: TVtech – Video e Web Tv sulla tecnologia, sull’informatica e sul mondo ICT – Ultimi Video

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HardwareSoftware

Lenovo licenzia centinaia di dipendenti della divisione Moto

Lenovo ha confermato nelle scorse ore un nuovo piano di licenziamenti con cui prevede di “far fuori” un significativo numero di impiegati. Il piano coinvolgerà “meno del 2% della forza lavoro” della compagnia, pari a 55 mila impiegati in tutto il mondo. La maggior parte dei dipendenti coinvolti nel nuovo taglio aziendale fa parte della divisione smartphone, ma non è chiaro ancora il numero esatto dei dipendenti che verranno licenziati dalla società. 

I licenziamenti appena annunciati fanno seguito ad un corposo taglio nel personale dell’anno scorso, dove Lenovo ha ridotto la sua forza lavoro di 3.200 uomini. La strategia fa parte, secondo le parole della società, di una “nuova manovra di integrazione fra Lenovo e la divisione produttiva di smartphone Motorola al fine di ottimizzare il portafoglio di prodotti per competere al meglio nel mercato globale”. Nonostante i licenziamenti verrà comunque mantenuta la sede di Motorola a Chicago. Vengono pertanto smentite le voci che volevano una riorganizzazione delle due società nel Nord Carolina per entrambe le compagnie, dove Lenovo ha attualmente i propri uffici principali.

I tagli nel personale rappresentano la prassi dopo una fusione di questo tipo fra due colossi, dal momento che fra le due compagnie vengono a trovarsi ruoli ridondanti e sostanzialmente poco utili. Tuttavia la fusione fra Lenovo e Motorola è stata imbastita non senza qualche difficoltà: nonostante la divisione Moto abbia prodotto dispositivi molto interessanti sul piano tecnico, la compagnia americana non è riuscita ad ottenere la stessa competitività commerciale che mostrava qualche anno fa. A peggiorare la situazione di Motorola e la sua immagine anche una recente serie di abbandoni da parte di dirigenti chiave della compagnia.

Potete leggere qui di seguito la nota ufficiale rilasciata da Lenovo liberamente tradotta in italiano:

“Lenovo annuncia un piano di risorse che coinvolge meno del 2% dei suoi 55 mila impiegati in tutto il mondo. La maggior parte delle posizioni eliminate sono parte di una integrazione strategica in corso fra Lenovo e la sua divisione smartphone Motorola al fine di allineare ulteriormente la propria organizzazione e semplificare il portafoglio di prodotti per competere meglio nel mercato degli smartphone globale.

L’azienda sta compiendo degli adattamenti anche in altre divisioni per gestire meglio i costi, ricercare una migliore efficienza e sostenere il miglioramento continuo delle prestazioni finanziarie complessive. Anche se queste azioni non sono mai facili, fanno parte degli sforzi necessari per assicurare una crescita nei profitti a lungo termine in tutte le nostre attività.

Lenovo è assolutamente legata a Chicago e pensiamo di mantenere la sede di Motorola Mobility nella città. Chicago ha una meritata reputazione di eccellenza tecnica e in qualità di fulcro della ricerca e sviluppo che compiamo per la divisione smartphone, ci aspettiamo di trarre vantaggio dai talenti locali per continuare a progettare i prodotti Moto nella città”.

Autore: Le news di Hardware Upgrade