Categorie
Economia

Bitcoin e le altre criptovalute: qualche riflessione

Mentre scrivo questo articolo, il mercato delle criptovalute sta passando un momento di profondo rosso, tanto che la capitalizzazione di mercato sta scendendo sotto i 210 Miliardi di dollari, contro gli 800 toccati a gennaio.

Sono dati riportati da coinmarketcap.com, ma altri siti come Onchainfx.com riportano un dato ancora peggiore, cioè sotto i 200 Miliardi. Del resto solo bitcoin questa settimana ha fatto un bel -15%, un numero che non trovo certamente incoraggiante.

Più volte mi sono sentito chiedere se c’è una spiegazione tutto a questo calo, ma purtroppo la spiegazione non c’è, o meglio ce ne sono molte ma tutte sempre molto personali e molto opinabili.

Tra l’altro da “tecnico” non trovo spiegazione logica a tutto questo pessimismo, visto che i team di sviluppo delle varie criptovalute stanno lavorando sodo per migliorare i software sia dal lato blockchain che da lato utente.

Si sentono continuamente comunicati relativi a nuove funzioni, accordi stipulati con istituzioni finanziarie più o meno note, rilasci di nuovi software per gli smartphone e tante altre news.

Basta guardare siti come cryptonomist.ch o Cointelegraph , per vedere quante novità ci sono quotidianamente, senza contare i siti internazionali come Coindesk o CCN.com, tanto per sottolineare il fermento che c’è nel mondo crypto.

L’errore che fanno in molti, infatti, è di credere che un momento orso del mercato comporto l’abbandono dei progetti. Sarebbe come sostenere che il reparto corse della Ferrari si debba ritirare dal campionato mondiale di Formula 1 perché le azioni in borsa sono in un periodo ribassista.Ovviamente è un ragionamento assurdo e nella realtà le cose non stanno così, perché chi lavora ha obiettivi a lungo termine.

Tra l’altro, se dovessi immedesimarmi in un programmatore che lavora su bitcoin, o altre blockchain, direi che i periodi ribassisti sono un pungolo per rilasciare nuovi software o nuove funzionalità per le app esistenti.

Un incentivo a fare meglio, bene e presto.

Vorrei infine ricordare che le criptovalute sono nate come monete alternative alle monete emesse dalle Banche Centrali. Questo è il loro scopo. Sono monete private che tra l’altro metteranno in evidenza i pregi ma soprattutto i difetti delle monete di Stato. I regimi di monopolio sono sempre sbagliati e Bitcoin è qui per spezzare questo regime.

Ma soprattutto è qui per restare.

Ci vorrà del tempo per il suo consolidamento, ma la tecnologia che c’è sotto è troppo rivoluzionaria e positiva per essere abbandonata.

Buona Blockchain a tutti.

VN:F [1.9.20_1166]

please wait…

Rating: 0.0/10 (0 votes cast)

Author: Finanza.com

Categorie
Economia

DOLLARO USA, valuta regina del forex. Qual è il suo target?

kociss01

Di certo più discutibile è il mio target posto a 1,058.per me il targhet ci sta tutto, vedrete con l’avvicnarsi delle elezioni europee di maggio 2019,l’Italia riottosa sui conti pubblici (che verra’ punita come la grecia) la troika sta gia’ facendo i bagagli per trasferirsi qui…..la fine dal taperig europeooo ecc ecc, l’EUro moneta fittizia di una nazione che non c’e si dovrebbe sfaldare come il burro….

VN:F [1.9.20_1166]

Rating: 0 (from 0 votes)

Author: Finanza.com

Categorie
Economia

Russia Reduces US Exposure While Turkey’s Slide Spooks Investors


Russia responding to U.S. sanctions with a selloff of US dollars and Treasury bills, while Brussels targets “Citizenship for Sale” policies in the E.U. with an eye to crack down on money laundering. Meanwhile a U.S. jury’s verdict against Monsanto may open the flood gates to more damages. Sara Montes de Oca explains. Melissa Armo looks at the stock market’s gyrations, and Steve Malzberg looks at the retail sector. U.S. unemployment numbers have fallen *below* 4 percent! Fmr. VW CEO charged with fraud, Arizona teachers go back to class, and Amazon puts Seattle on notice. Bart’s colleague from CFTC days Jenny Lee discusses whether or not CFPB now stand for Corporate Financial Protection Bureau. Steve Malzberg and Jeffery Small react to the latest stats on the U.S. economy in the age of Trump. All this and more on Boom Bust! [1132] Follow us on Twitter:
https://twitter.com/RT_BoomBust
https://twitter.com/bartchilton?lang=en Check us out on Facebook — and feel free to ask us questions:
http://www.facebook.com/BoomBustRT

Categorie
Economia

TURCHIA: GREED!

Noi questa volta partiamo da qui, dall’articolo del Sole 24 Ore, ma soprattutto dall’esposizione delle banche spagnole, una vera e propria follia con il consenso della vigilanza della BCE…

Un pensiero, un minuto di silenzio va in memoria di tutti coloro che si sono fatti attrarre dalle mirabolanti performance dell’economia turca e della sua lira, ma soprattutto in onore dell’ignoranza che dimostrano tutti coloro che paragonano l’Italia alla Turchia e suggeriscono che l’euro ci salva da qualunque rischio.

Noi suggeriamo solo che da tempo chi legge Machiavelli e i nostri clienti, sanno che bisognava stare alla larga dalla Turchia, Bei o non Bei, alla larga da mercati emergenti perché mister Greenback, il dollaro avrebbe sconvolto le loro economie.

Sul New York Times, lo stesso giornale che Erdogan ha usato per dare un’avvertimento a Trump…

“Le azioni unilaterali degli Usa nei confronti della Turchia serviranno solo a minare gli interessi e la sicurezza americani. Prima che sia troppo tardi Washington deve rinunciare all’idea che le nostre relazioni siano asimmetriche, e accettare il fatto che la Turchia ha alternative”.

Prendetevi tempo, leggetevi tutto questo articolo, la storia si ripete.

Chi pensa che in realtà si tratti dell’ennesima tempesta in un bicchiere d’acqua in pieno agosto, suggerisco di leggersi le ultime parole di Erdogan, che senza paura rilancia la guerra finanziaria…

Stanno cercando di fare con il dollaro ciò che non sono riusciti a fare con il colpo di stato.” Con queste parole il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è tornato ad attaccare gli Stati Uniti, che sanzionando la Turchia si sono resi responsabili del crollo della lira turca. “Abbiamo capito il vostro gioco e raccogliamo la sfida. Non ci fermeremo. Troveremo altre soluzioni al dollaro e continueremo a produrre”, ha dichiarato Erdogan a Trebisonda, città del Mar Nero, dove dinanzi ai propri sostenitori è tornato a definire la situazione “una guerra economica”. (…)

“La fluttuazione della lira turca è un complotto politico contro la Turchia, ma i turchi non si arrenderanno”, ha detto ancora Erdogan  tornando a rivolgersi agli Usa.

Sono bastate poche parole “È anche dovere degli industriali mantenere questa nazione in piedi, altrimenti metteremo in moto i nostri piani B e C ” per fare crollare ulteriormente la lira turca a livelli impensabili. Il piano C sa tanto da controllo dei capitali!

Trump “ha aumentato i dazi su acciaio e alluminio” ma la Turchia “è membro dell’Organizzazione mondiale del commercio” e questo “non fa parte delle regole del Wto”. Per questo “possiamo solo dire addio a chi sacrifica la partnership strategica con un Paese da 81 milioni di persone e un’alleanza di oltre 50 anni per legami con gruppi terroristici”, ha sottolineato Erdogan. “Hai il coraggio di sacrificare 81 milioni di turchi per un prete legato a gruppi terroristici?” 

“Daremo la nostra risposta, spostandoci verso nuovi mercati, nuove collaborazioni e nuove alleanze, a colui che ha intrapreso una guerra economica contro il mondo intero e incluso anche il nostro paese”, ha detto Erdogan.

Turchia: Erdogan all’attacco degli Usa

Qualcuno sorride, ma non c’è niente da sorridere e anche oggi qualcun’altro se ne accorgerà!

Is Turkish debt the new sub-prime mortgage? As the Turkish economy crashes what does it mean for the rest of the world? https://t.co/NkjMLBt5qy

— Matthew Scott (@Barristerblog) August 12, 2018

Questo signore, qui sopra Tim Lee, nel 2013 quando la lira turca era scambiata a 1,9 dollari ha predetto che sarebbe precipitata a 7,2 dollari, ieri ha sfiorato i 7,1 dollari!

L’euro dollaro ha sfondato quota 1.14 e si sta velocemente avvicinando all’obiettivo di Machiavelli che trovate negli ultimi due manoscritti, oltre ai trentennali americani che sono scesi di nuovo vicino a quota 3 %.

La rottura avvenuta sopra quota 1.15 è strategica, porterà con se molto dolore.

Un saluto particolare a tutti quelli che in questi mesi hanno prospettato la solita svalutazione del dollaro su obiettivi ridicoli, 1.30 o 1.40.

Lo spiegheremo in dettaglio nell’edizione di settembre, ma il prossimo obiettivo è l’ultima opportunità di uscita per tutti coloro che non credono alla nostra visione di lungo termine.

SOSTIENI IL NOSTRO VIAGGIO!

Ma torniamo alle cose serie…

Banche turche che prendono in prestito dollari per concedere prestiti ad aziende turche, economia che dipende sempre più dagli investimenti stranieri e similitudine non da poco con la crisi finanziaria asiatica del 1997, precisamente la Tailandia.

La solita storiella, nulla di nuovo, il debito societario in valuta estera è ai massimi di sempre, 5.500.000.000.000 di dollari, trilioni per gli amici e la Turchia si affida a tale debito in valuta estera più di ogni altro grande mercato emergente. Le obbligazioni societarie, finanziarie e di altro tipo denominate in valuta estera, in gran parte dollari, rappresentano circa il 70% dell’economia turca.

Visto che la memoria è corta è il mondo piccolo, sarà interessante osservare l’effetto domino sugli investitori americani che detengono circa il 25 % delle obbligazioni turche in circolazione e oltre la metà delle azioni turche quotate in borsa.

Risultati immagini per folla turchia

Il problema è sempre lo stesso il debito!

Il controllo dei capitali è l’ultima spiaggia per Erdogan,e il controllo dei capitali potrebbe scatenare il panico tra le banche spagnole e francesi.

Paul Krugman, scrive che questa non è la classica tempesta in un bicchiere d’acqua che i mercati si sono abituati a vivere... Partying Like It’s 1998

Per un po ‘di tempo, quelli di noi che hanno dedicato molto tempo alla comprensione della crisi finanziaria asiatica vent’anni fa, si sono chiesti se la Turchia avrebbe inscenato una rievocazione. Sono abbastanza sicuro, che è quello che sembra stia succedendo.

Prima di proseguire una domanda per tutti!

Come è stato possibile che le banche spagnole abbiano potuto esporsi per oltre 80 miliardi di dollari alla Turchia, un Paese la Spagna con banche essenzialmente colabrodo?

Semplice, le banche spagnole hanno fatto con la Turchia, quello che le banche tedesche e francesi hanno fatto con la Grecia, prestato denaro oltre la reale sostenibilità delle imprese e delle famiglie turche.

BBVA la prima banca spagnola, detiene circa la metà della terza banca turca, la Turkiye Garanti Bankasi,  che a sua volta garantisce circa il 15 % dei ricavi globali di BBVA, una banca che da inizio anno ha perso il 40 % del suo valore,  6,9 miliardi di euro è costata la partecipazione azionaria, più il crollo della lira turca, in sintesi quasi il 75 % dell’investimento è andato in fumo. Un miliardo ha perso Unicredit in Yapi Kredi.

Nessuna novità, bastava osservare i dati della Bank of International Settlements, all’inizio di giugno per sapere che le banche globali avevano prestato poco o meno di 200 miliardi di euro alla Turchia, da sole le banche spagnole oltre 70 miliardi più di un terzo! La Turchia ha il 33% aziende indebitate in valuta estera, non male mentre i tassi e i dollari salgono. Chissà dove era la BCE in questi anni, mentre faceva le pulci ai crediti deteriorati italiani.

SOSTIENI IL NOSTRO VIAGGIO!

Ma torniamo a Krugman…

Ecco la sceneggiatura: inizia con un paese che, per qualsiasi motivo, è diventato uno dei preferiti dai prestatori stranieri e ha sperimentato un grande afflusso di capitali stranieri per un certo numero di anni. Fondamentalmente, il debito così contratto è denominato in valuta estera, non nazionale (motivo per cui gli Stati Uniti, anch’essi destinatari di ingenti afflussi in passato, non sono altrettanto vulnerabili – prendiamo in prestito in dollari).

Nel fine settimana abbiamo assistito alla performance di numerosi professori, dotti, medici e sapienti residenti in America e Italia, quella particolare del ministro Moavero, quella spettacolare del profeta Fassino, sempre e solo nella stessa direzione…

Il crollo della #liraturca dimostra che una moneta nazionale isolata espone la propria economia a rischi molto grandi, mentre sono molto più sicure e protette le economie che appartengono al mercato unico dell’#UnioneEuropea e che dispongono di una moneta unica forte come l’#euro

— Piero Fassino (@pierofassino) August 11, 2018

Io me le immagino le banche estere che vengono in italia a prestare miliardi e miliardi di dollari agli italiani, alle imprese italiane.

Ad un certo punto, tuttavia, la festa finisce. Non importa molto cosa causi questo ” arresto improvviso ” del prestito estero: potrebbero essere eventi domestici, come la nomina di tuo genero a sovrintendere la politica economica, potrebbe essere un aumento dei tassi di interesse USA, potrebbe essere un crisi in un altro paese…

A noi interessano poco i motivi per i quali la lira turca è crollata, motivi economici, politici o altro poco importa, a noi interessa solo la realtà, dove siamo oggi.

Qualunque sia lo shock, prosegue Krugman, la cosa fondamentale è che il debito estero ha reso la tua economia vulnerabile a una spirale mortale. La perdita di fiducia causa la caduta della tua valuta; questo rende più difficile rimborsare i debiti in valuta estera; ciò danneggia l’economia reale e riduce ulteriormente la fiducia, portando a un ulteriore declino della valuta; e così via.

Debito estero dell’Italia…

Risultati immagini per gross external debt 2017

Fonte: World Bank

Ora seguitemi perchè su Icebergfinanza oltre che raccontare gli avvenimenti proviamo a rendere consapevoli i lettori delle fesserie che leggono sulla carta straccia italiana e anglosassone…

Il risultato è che il debito estero esplode in percentuale del PIL. L’Indonesia è entrata nella crisi finanziaria degli anni ’90 con un debito estero inferiore al 60% del PIL, approssimativamente paragonabile alla Turchia all’inizio di quest’anno. Nel 1998 il crollo della rupia aveva portato quel debito a quasi il 170% del PIL.

Come finisce una crisi del genere? Se non vi è una risposta politica efficace, ciò che accade è che la valuta cala e il debito misurato in valuta nazionale trascina tutti in bancarotta. A quel punto la moneta debole alimenta un boom delle esportazioni e l’economia inizia una ripresa costruita attorno a enormi surplus commerciali. (Questo potrebbe essere una sorpresa per Donald Trump, che sembra stia imponendo tariffe punitive alla Turchia come punizione per la sua moneta debole ).

C’è un modo per bloccare questo ciclo perverso,  dice Krugman? Sì, ma è difficile .Come funziona: fermi l’esplosione del rapporto debito / PIL con una combinazione di controlli temporanei sul capitale, per mettere un coprifuoco sulla fuga di capitali in preda al panico, e probabilmente il ripudio di alcuni debiti in valuta estera.

Tradotto controllo dei capitali e default parziale sul debito.

Nel frattempo, si imposta un regime fiscalmente sostenibile una volta che la crisi è finita. Se tutto andrà bene, la fiducia tornerà gradualmente e alla fine sarete in grado di rimuovere i controlli sul capitale. 

La Malesia ha fatto questo nel 1998; La Corea del Sud, con l’aiuto degli Stati Uniti, ha effettivamente fatto qualcosa di simile allo stesso tempo, facendo pressioni sulle banche per mantenere le loro linee di credito a breve termine. Un decennio dopo, l’Islanda ha fatto molto bene con una combinazione di controlli sui capitali e ripudio del debito (in senso stretto, rifiutando di assumersi la responsabilità pubblica per i debiti contratti dai banchieri privati).

Anche l’Argentina ha fatto un buon lavoro con le politiche eterodosse nel 2002 e per alcuni anni ha ripudiato in modo efficace i 2/3 del proprio debito. Ma il regime della Kirchner non sapeva quando fermarsi e tornare ortodosso, preparando il terreno per il ritorno in crisi del paese.

E forse quell’esempio mostra quanto sia difficile trattare con questo tipo di crisi. Avete bisogno di un governo che sia flessibile e responsabile, per non parlare della competenza tecnica sufficiente per attuare misure speciali e abbastanza onesto da portare a termine tale attuazione senza una massiccia corruzione.

Questo, sfortunatamente, non sembra valga per la Turchia di Erdogan. Certo, non sembra neanche valga per l’America di Trump. Quindi è una buona cosa che i nostri debiti siano in dollari.

Diciamo che Krugman ha finito il suo articolo con una fesseria, si sa, l’America è la fonte stessa delle crisi, lei e il suo dollaro, nessun problema per l’America è un mondo a se stante, prima lo capirete e meglio è!

Peccato che ora, come dice il nostro Lance, lo cose stiano diversamente da qualche anno fa, con la crisi greca…

The difference between the “Turkey Turmoil” and the “Greek Debt Crisis” is the Fed is NO LONGER in the accommodation game. $SPY $TLT https://t.co/BU7l2SZztO pic.twitter.com/XyB9U0MVOT

— Lance Roberts (@LanceRoberts) August 11, 2018

Al momento non c’è nessuna Federal Reserve che può aiutare la Turchia, il dollaro farà davvero male ai Paesi emergenti, ad alcuni Paesi emergenti!

SOSTIENI IL NOSTRO VIAGGIO!

VN:D [1.9.20_1166]

Rating: 9.1/10 (10 votes cast)

VN:F [1.9.20_1166]

Rating: +6 (from 8 votes)

TURCHIA: GREED!, 9.1 out of 10 based on 10 ratings Author: Finanza.com

Categorie
Economia

WALL STREET: calma a New York, al momento la Turchia non fa paura

La crisi turca non cambia, al momento, l’impostazione degli operatori della borsa USA. C’è quindi il rischio che la difficile situazione della Lira, resti circoscritta. Almeno per ora. Analisi dal CFTC di Chicago. [Guest post]

Cari amici, nella settimana appena trascorsa, i mercati finanziari internazionali sono stati caratterizzati dalla crisi verticale della lira turca. Crisi determinata da una massiccia fuoriuscita di capitali dal Paese, in risposta alle equivoche e controverse posizioni geopolitiche assunte dal presidente Erdogan. I ribassisti sperano che la crisi turca inneschi il tanto agognato ribasso sui listini azionari Usa. Per il momento ciò non è accaduto. Wall Street, infatti, è stata soltanto scalfita dalle turbolenze del Paese mediorientale. Più rilevanti, invece, gli effetti prodottisi su altri mercati. In particolare, movimenti marcati si sono registrati sul mercato dei cambi, ed in minor misura sui mercati delle commodities e dei bonds.

Non credo, tuttavia, che la crisi turca inneschi una crisi di più ampia portata. Rimarrà, penso, una crisi circoscritta, di carattere locale. Al massimo scalfirà il sentiment, particolarmente ottimista, in voga da alcuni mesi sui mercati.Lo scenario intermarket, come detto, ha parzialmente subito l’impatto dell’improvvisa crisi valutaria turca. In particolare, Il dollaro Usa risulta la destinazione preferita dai capitali in fuga dalla Turchia. Il dollar index s’apprezza, infatti, di un ulteriore 1,3 %, e raggiunge quota 96,34. Negli ultimi 4 mesi la rivalutazione è pari al 7,6 %, e ciò come sappiamo crea non pochi problemi ai paesi emergenti. Le commodities, in termini reali, godono della forza del dollaro, e s’apprezzano anch’esse dello 0,5 %. Sembra pertanto arginarsi la crisi degli ultimi mesi, ma il loro claudicante andamento non è sintomo di un’economia globale in perfetta salute. La crisi turca si è fatta sentire anche sul mercato obbligazionario. I tassi dei bond decennali Usa, infatti, arretrano di 8 bps e retrocedono nuovamente a quota 2,87 %. I rendimenti dei bond a 2 anni, arretrano anch’essi, ma solo di 2 bps, e tornano a quota 2,61 %. La yield curve Usa perde pertanto inclinazione, il differenziale ( 10 – 2 ) è oggi pari a soli 26 bps. Il prossimo rialzo dei tassi Usa, già previsto per settembre, appare quindi sempre più ingiustificato. Ma forse la yield curve mente.

Lo scenario intermarket esprime infatti un ciclo economico globale meno maturo, e meno surriscaldato, di quanto lascia intendere la curva dei rendimenti Usa. Non a caso, Wall Street non sembra particolarmente preoccupata. In una settimana difficile, Il nostro benchmark azionario mondiale, l’S&P 500, perde solo lo 0,25 %, ed arretra a quota 2.833,28 punti, ossia a meno di 40 punti dai suoi massimi storici.

Ciò premesso, passo ad esaminare i nuovi dati del COT REPORT settimanale, pubblicati venerdì sera dalla CFTC (Commodity Futures Trading Commission), concernenti i valori aggregati dei Futures e delle Options su tutti gli indici azionari USA, che risultano essere i seguenti:

Commercial Traders : – 109.917Large Traders : + 82.743Small Traders : + 27.174

Si conferma, pertanto, la configurazione del mercato dei derivati azionari Usa in voga ormai da oltre 8 mesi. In quest’ultima ottava, registriamo, variazioni ancora limitate nelle posizioni dei diversi operatori, pari a soli 6.779 contratti. In particolare, meno ottimisti appaiono gli Small Traders che cedono 5.388 contratti long, e che riducono la loro posizione Net Long sotto le trentamila unità. Anche i Large Traders, riducono lievemente la loro esposizione long, cedono infatti 1.391 contratti long, ma restano ancora e convintamente in posizione rialzista, Net Long.

I Commercial Traders, per contro, prendono atto di qualche timore degli altri operatori, acquistano l’intero lotto dei 6.779 contratti long, e riducono la loro abituale posizione di copertura, Net Short, sotto le centodiecimila unità. Le movimentazioni di quest’ultima settimana, ancora una volta poco significative, ci dicono che, almeno negli Usa, gli operatori non appaiono ancora eccessivamente preoccupati. La configurazione del mercato dei derivati azionari Usa rimane saldamente quella volatile e lateral-rialzista insediatasi ormai oltre 8 mesi fà. La crisi turca ha suscitato nuove speranze nei ribassisti. Ma come già accennato in precedenti post credo che anche in questa occasione le loro attese andranno deluse. A mio avviso, allo stato, il maggior motivo di preoccupazione risiede nella limitata inclinazione della yield curve Usa, e soprattutto nei propositi della Fed di procedere ad ulteriori aumenti dei tassi. Forse l’andamento dell’economia Usa li giustifica, ma per l’economia globale sarebbe una vera e propria iattura.

L’amministrazione Trump, composta da gente non proprio sprovveduta in materia, non li vuole. Credo pertantoche la Fed non voglia entrare in conflitto con essi. Molto probabile pertanto che, da qui alla fine dell’anno, vi sia un unico, e non due, rialzi dei tassi Usa. In tal caso i mercati potrebbero avere sì dei problemi, e delle correzioni, ma il trend attuale lateral-rialzista non sarebbe credo messo in discussione.

Confermo, pertanto, la mia view moderatamente positiva per i mercati azionari, che cercherò di tradare con il mio originale trading system, fondato sullo sfruttamento e sulla valorizzazione dell’effetto “LONG TERM MOMENTUM“, descritto negli studi e nelle ricerche dei professori Jegadeesh e Titman, ed illustrati nel mio sito http://longtermmomentum.wordpress.com/. Da inizio dell’anno, il mio portafoglio, denominato “ Azioni Italia – LTM “, ha conseguito un guadagno del 6,55 %, performance nettamene superiore a quella registrata dal nostro Ftse All Share, che registra, nel contempo, una perdita del 3,50 %. Realizzata, quindi, una sovra- performance del 10,05 %, che conferma in toto le prerogative del mio trading system, che negli ultimi 5 anni ha conseguito una sovra-performance media annua pari al 16 %. Ciò premesso, in coerenza con quanto sopra esposto, questa settimana non modifico l’assetto del mio portafoglio, confermo il 67,5 % delle mie posizioni long, ed il 32,5 % delle mie posizioni short, ossia una moderata posizione Net Long, pari al 35 % del mio portafoglio. Chi desiderasse approfondire e ricevere maggiori informazioni sul mio trading system e sulla composizione del portafoglio “ Azioni Italia – LTM “ può consultare, se vuole, direttamente il mio sito.Vi ringrazio per la vostra stima e fiducia, ed auguro a TUTTI gli amici di Intermarketandmore buon trading.

Lukas

VN:F [1.9.20_1166]

please wait…

Rating: 0.0/10 (0 votes cast)

Author: Finanza.com