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50 castelli da vedere almeno una volta nella vita

Author: Daniele Biaggi Wired

Dalla Germania alla Francia, passando per Danimarca, Italia e Paesi Bassi, i 50 castelli più spettacolari meritevoli di una visita

I castelli sono strutture architettoniche composte da uno o più edifici fortificati, tipici dell’epoca medievale, finalizzati a ospitare guarnigioni di soldati con il proprio comandante e i familiari.

Ma questa definizione riesce solo in parte a celebrare il fascino e la magia che per secoli hanno nutrito l’immaginazione degli uomini intorno a questi luoghi.

Tra Francia, Germania e Italia (con qualche excursus in mete più “esotiche”), ci sono tantissimi castelli degni di essere annoverati tra i più belli del mondo e meritevoli di una visita: trovate nella nostra gallery qui in alto i 50 da vedere almeno una volta nella vita.

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Le leggende legate a Starbucks

Author: Stefano Dalla Casa Wired

Nel film Idiocracy (2006) Starbucks si è evoluto in qualcosa di completamente diverso. (foto: 20th Century Fox)
Nel film Idiocracy (2006) Starbucks si è evoluto in qualcosa di completamente diverso. (foto: 20th Century Fox)

In un paese come il nostro l’apertura del primo Starbucks è un evento. Tanto più che negli anni è stata preceduta da ripetute bufale che volevano l’apertura del primo negozio della catena di Seattle in Italia dietro l’angolo. Nel frattempo però la catena stava davvero lavorando davvero per portare i suoi bicchieroni nel paese dell’espresso, e già si creavano sui giornali e in rete le varie fazioni divise tanto sugli aspetti gastronomici quanto, più seriamente, sugli effetti della multinazionale nel nostro paese.

Starbucks esiste dal 1971 e nei decenni c’è stato tutto il tempo perché, al pari di altre catene, sviluppasse intorno a sé una mitologia, fatta anche di bufale e leggende metropolitane. Mentre attendiamo la loro evoluzione sul territorio italico, eccone alcune di quelle più interessanti.

Melville e marketing
Da dove viene il nome di Starbucks? Attualmente sul sito ufficiale della compagnia si dice che il nome è stato ispirato da Moby Dick e vuole richiamare romanticamente l’era dei primi commerci via mare dei preziosi chicchi di caffè.

Cosa c’entra Moby Dick? Il primo ufficiale del capitano Acab si chiamava Starbuck, e i creatori hanno rivelato che durante la scelta del nome era stato valutato anche Pequod, il nome della baleniera. Si è diffusa però una stramba diceria secondo la quale il buon Starbuck creato da Herman Melville fosse un grande amante del caffè, da cui il nome.

Gordon Bowker, uno dei fondatori, ha smentito questa versione descrivendo il brainstorming che ha portato alla decisione.

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Una delle proposte era Cargo House, ma venne fatto notare da un pubblicitario che i nomi che cominciavano con st- erano molto potenti nel marketing. Questo richiamò il nome di una città mineraria, Starbo, e questo ricordò a Bowker di Moby Dick e del primo ufficiale. Suonava perfetto, ma non c’era (né si cercava) alcun legame evidente tra il personaggio e il caffè. La domanda è: come mai allora è circolata questa leggenda del personaggio di Melville gran bevitore di caffè? Bowker dice che qualcuno dà la colpa al film Moby Dick (1956) di John Houston con Gregory Peck, dove Starbuck era interpretato da Leo Glenn. Eppure non solo non si trovano facilmente chiari riferimenti a questa caratterizzazione, ma c’è da chiedersi se il film sia abbastanza conosciuto da far emergere l’associazione.

Una spiegazione del mistero forse si trova nel libro del giornalista Robert Sullivan A Whale Hunt: How a Native-American Village Did What No One Thought It Could (2000). Sullivan scrive che quando nacque Starbucks era il loro materiale promozionale a parlare dell’ “primo ufficiale amante del caffè chiamato Starbuck”. La compagnia smise di farlo dopo che la Herman Melville Society li contattò spiegando che in nessuna parte del romanzo Starbuck beveva caffè…

L’origine della sirena
C’è un altra storia sulle origini di Starbucks dove sembra che i creatori abbiano inserito un’informazione falsa. Sul sito della compagnia una volta era possibile leggere che la sirena a due code con una corona del marchio originale (negli anni si è modificato) è stata copiata da un’incisione trovata in un vecchio libro norreno (norse) sul mare del XVI secolo. Come spiega Atlas Obscura, il problema è che nessuno è riuscito a trovare questo testo norreno (o scandinavo?) sul mare del XVI secolo, anche perché in quell’epoca non esistevano più i norreni.

Starbucks opts to pay all its staff a living wage

La realtà è che il marchio scelto da Starbucks è una Melusina, un essere leggendario caratterizzato sia dalla doppia coda che dalla corona, e quella copiata dai pubblicitari viene dall’edizione tedesca illustrata del Roman de Mélusine di Jean d’Arras, pubblicato nel XV secolo. La Melusina, a differenza della semplice sirena a due code, non si trova in nessun libro sul mare, scandinavo o meno. L’ipotesi del blogger Carl Pyrdum, che sta completando il dottorato in studi medievali, è che l’immagine sia stata vista nel Dizionario dei simboli di Juan Eduardo Cirlot, di cui proprio nel 1971 usciva una nuova edizione inglese. Poi, forse, qualcuno ha pensato che la storia doveva essere abbellita.

I menu segreti
Questa è una leggenda metropolitana che Starbucks condivide con altri fast-food che, come la compagnia di Seattle, danno agli avventori un ampio margine di personalizzazione. La leggenda afferma che è possibile chiedere deliziosi drink non elencati nel menu, per esempio un churro frappuccino, e il personale di Starbucks prontamente saprebbe accontentarvi. La realtà è che i baristi cercano, nei limiti del possibile, di accontentare le richieste degli avventori, anche quando includono complicate ricette ideate da altri, ma naturalmente non sono tenuti a sapere a cosa corrisponde il nome dato a una fantastica bevanda diffuso su un sito.

Di sicuro, se una ricetta diventa particolarmente popolare in una certa località, è possibile che alcuni locali imparino il nome e la relativa ricetta. Ma in un altro Starbucks potrebbero essere totalmente all’oscuro della preparazione dietro al nome fuori menu che pronunciate. Come spiegano gli stessi baristi, bisogna cercare comunque di venirsi incontro: una nuova ricetta richiede comunque al personale più tempo per la preparazione, e non è possibile fare richieste come tritare degli alimenti portati da casa aggiungere alla bevanda, per ovvie ragioni igieniche e per le allergie.

Friends: la cospirazione
Perché Starbucks ha avuto tanto successo? L’espansione della compagnia è diventato un caso da studiare, cercando di capire quali mosse giuste al momento giusto abbiano potuto far nascere l’impero dei bicchieroni. Ma se dietro ci fosse qualcosa di più? Nel 2017 il presentatore radio Alex Baker si è divertito a inventare una teoria del complotto su Starbucks che scimmiotta quelle reali a cui siamo abituati.

Il nocciolo è che la sit-com Friends (1994-2004) sia stata creata appositamente per manipolare i consumatori dirottandoli dai pub (che frequentavano invece gli amici di una serie precedente, Cin cin) verso i coffee shop, cioè Starbucks (che infatti lanciò la offerta pubblica iniziale nel 1992). Anche le altre prove di Baker sono volutamente tirate per i capelli, per esempio il cognome di Rachel Green sarebbe un rimando al colore chiave di Starbucks. Oppure Chandler, candeliere, sarebbe il riferimento al capitolo Le candele di Moby Dick, da cui Starbucks, in un modo o nell’altro, ha preso il nome.

I nomi sbagliati
Un’altra teoria, spinta da un canale Youtube e diventata virale, cerca invece di spiegare una caratteristica apparentemente universale del servizio di Starbucks: la storpiatura dei nomi dei clienti scritti sulla bevanda. Succede, si dice, troppe volte perché possa essere un errore. Possibile che gli impiegati di Starbucks lo facciano di proposito? Anche in questo caso, c’entrerebbe il marketing: nell’era dei social media, che altro si potrebbe fare leggendo una buffa versione del proprio nome se non fotografare la bibita e diffonderla ovunque al proprio pubblico personale? E questo infatti sarebbe l’obiettivo, pubblicità fatta direttamente dagli utenti, che disseminerebbero sulle bacheche il familiare nome e logo.

La viralità della teoria sta nella sua apparente plausibilità, ma quanto è realistico che Starbucks possa obbligare gli impiegati a sbagliare nome per motivi commerciali? Da parte sua la compagnia nega. Gli stessi baristi offrono una spiegazione più semplice. Servire velocemente centinaia di caffè, magari svegli dall’alba, e chiedere lo spelling del nome non è sempre possibile, e la precedenza va al servizio. Naturalmente può anche capitare che qualcuno sbagli il nome per scherzo, ma questo riguarda il rapporto tra il personale e i clienti, non è una manovra pubblicitaria.

Caffè gratis e politica
La compagnia è stata bersagliata negli anni da diverse polemiche, per esempio negli Stati Uniti è stata accusata di promuovere la terribile agenda gay e di fare guerra al Natale, il tutto per un nuovo design delle tazze natalizie. Nel 2015 anche Donald Trump ha accusato la compagnia per questo motivo, suggerendone il boicottaggio. Di certo Starbucks è una compagnia che si è costruita un’immagine liberal, e quando quest’anno è scoppiato lo scandalo di due ragazzi neri fatti arrestare dal manager di un loro negozio a Philadelphia, si è affrettata a organizzare un corso per i dipendenti.

Quella è diventata una ghiotta occasione per 4chan, la imageboard famosa per il trolling, che ha prontamente creato dei coupon che offrivano un caffè gratis alle “persone di colore”. Probabilmente l’obiettivo di 4chan era vedere se i dipendenti di Starbucks, timorosi di un altro caso, avrebbero accettato il coupon anche se falso. Di certo è per questo che Bryan Hotep Jesus Sharpe, comico nero allineato con l’alt-right, ha pensato di presentarsi in uno Starbucks e chiedere il suo caffè, filmando la scena. Nel video la ragazza al bancone dice di averne sentito parlare e su twitter, e prepara subito il caffè.

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Microsoft 365 Business Tech Series Videos – iOS and Android Management

Author: Mark O’Shea MVP TechNet Blogs

In late June I was approached to record some short technical overview videos on Microsoft 365 Business, and now that they are recorded and published, it’s time to review them, and provide some additional resources and any important updates since the content was created. This is the sixth video in the series, and the focus is on Intune’s iOS and Android management capabilities.

With the initial release of Microsoft 365 Business, one of the benefits it provided for iOS and Android were some easy to deploy Mobile Application Management (MAM) policies for iOS and Android. You could configure these directly from the Microsoft 365 Business Admin Center, and they provided a subset of the available apps and MAM policies that Intune supported. The exposed policies and supported mobile apps aligned with some of the goals of Microsoft 365 Business, and they did a good job of simplifying the experience.

MAM policies on iOS and Android are a great way of controlling what can happen with company data within an application, but in most conversations I have about Intune, I generally encourage them to use this approach with Bring Your Own Device (BYOD) type scenarios. This way the organisation controls its data, but the user owns the device. The IT department can’t reset or wipe the phone, only the data related to the user’s work profile. For an individual bringing their own phone or tablet to work, this is a great solution.

However, if it’s a device the company has provided, they may want to control at the device level with MDM and not just MAM. While the full Intune functionality was available in the Azure Portal, that component wasn’t licensed for usage. The good news is that with the April 2018 release, the licensing was updated, and full Intune capabilities are now included. While you won’t see any changes for iOS and Android policies in the Admin Center at this point in time, if you are comfortable with Intune then it’s simply a matter of using Intune in Azure as per usual.

What this now means is that it’s really up to you to decide what approach to take. If you think MAM policies are enough for you, start with the native M365B capabilities, and then take a look in Intune to see what is happening under the covers, just in case there are some changes that you want to make. I don’t recommend making changes in Intune to the Admin Center policies you create, instead create a policy that duplicates the settings you want, and add the customisations that make sense.

You can check out the other posts in this series below

Microsoft 365 Business Tech Series Videos – Partner Overview

Microsoft 365 Business Tech Series Videos – Assessing Existing Environments

Microsoft 365 Business Tech Series Videos – Cloud Identity

Microsoft 365 Business Tech Series Videos – Hybrid Identity

Microsoft 365 Business Tech Series Videos – Workload Migration

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Quanto ne sai di cibi bio?

Author: Alice Pace Wired

I pomodori biologici sono più gustosi degli altri? Il latte biologico è il più ricco di calcio? Chi mangia cibo biologico si protegge meglio dalle malattie? Frutta, verdura, ma anche carne e derivati targati “bio” sono oggi molto apprezzati dai consumatori.

Di fatto le pratiche della filiera biologica promuovono la biodiversità, non calcano la mano sulle rese delle coltivazioni, provano a non forzare la crescita e la produttività degli animali, ma alle volte rischiamo di fare di tutta l’erba un fascio e condannare le pratiche convenzionali a priori. Siamo davvero consapevoli delle vere differenze tra bio e non bio?

Se pensi di avere in tasca le risposte giuste, non avrai problemi a metterti in gioco col nostro quiz.

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Ecco come le staminali ripristinano la visione agendo sulla retina

Author: Alice Pace Wired

Un video ci racconta lo stato dell’arte della medicina rigenerativa applicata a questo importantissimo tessuto

I problemi alla retina sono tra i disturbi più frequenti con l’avanzare dell’età. Questo tessuto è importantissimo per la visione, poiché è la componente dell’occhio che converte la luce in segnali chimici ed elettrici.

Uno dei problemi maggiori è la degenerazione del cosiddetto epitelio pigmentato, un sottilissimo strato di cellule che media il trasporto di nutrienti dal sangue alla retina stessa.

Negli ultimissimi anni gli scienziati si sono specializzati nella ricerca verso il ripristino di questa struttura, e l’approccio più vincente è quello con le cellule staminali. Siamo al punto che attraverso queste cellule “immature” riusciamo a ricreare in laboratorio vere e proprie retine (o anche cornee) che poi vengono impiantate nell’occhio del pazienti, e con un tasso di successo altissimo.

In questo video, ecco a che punto siamo con la ricerca in questo affascinante settore.

(Science)

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