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Economia

Via al vertice sui migranti a Tallinn, anche la Germania boccia la proposta italiana

«Non sosteniamo la cosiddetta regionalizzazione delle operazioni di salvataggio». Così il ministro dell’Interno Thomas de Maiziere arrivando alla riunione a Tallinn, in riferimento alla proposta italiana di condividere con altri Stati l’accoglienza dei migranti salvati nel Mediterraneo. Dello stesso avviso anche Olanda e Belgio. Nei giorni scorsi si erano detti contrarie sia Francia che Spagna. E Madrid è tornata a ribadire il concetto. «L’Italia ha chiesto aiuto, e noi vogliamo dargliene, ma i porti della Spagna sono sottoposti ad una pressione importante nel Mediterraneo occidentale, aumentata del 140%, che impone anche a noi un grosso sforzo per i salvataggi in mare» riferisce il ministro dell’Interno spagnolo Juan Ignacio Zoido. 

stefano scarpa

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«Aprire più porti» europei ai migranti soccorsi «non risolverà il problema. Bisogna pensare al ruolo che i porti africani potrebbero avere», porti come quelli «di Tunisia ed Egitto ad esempio» spiega il ministro per la Sicurezza e Giustizia olandese Stef Blok. «Non credo che il Belgio aprirà i suoi porti» ai migranti salvati nel Mediterraneo, fa sapere il ministro per l’Asilo e politica migratoria belga Theo Francken arrivando a Tallinn. 

stefano scarpa

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Intanto il commissario Ue per l’immigrazione Dimitris Avramopoulos non è d’accordo con la proposta italiana di cambiare il mandato per la missione Frontex «Triton» per i salvataggi nel mare Mediterraneo. Come ha detto prima della riunione di Tallinn sull’emergenza migratoria, «la missione ha già un mandato ben definito, si tratta di migliorare l’attuazione di quanto già deciso». Secondo il commissario, inoltre, Triton «fa già un lavoro molto buono». L’operazione Tritone per la ricerca e il salvataggio dei migranti al largo delle coste libiche coinvolge 26 paesi ed è a guida italiana; ha sostituito nel novembre 2014 la precedente operazione nazionale di controllo delle coste «Mare Nostrum» e ha il compito di condurre nei porti italiani i profughi salvati. L’Italia propone di ripartire gli sbarchi anche su porti di altri paesi.  


l’editoriale LAPRESSE

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HardwareSoftware

Analisi forense PC, uno strumento per recuperare i dati da remoto

Un ricercatore di Kaspersky Lab ha sviluppato uno strumento software molto semplice da utilizzare che può acquisire da remoto tutti i dati importanti che riguardano un attacco subìto dai sistemi di qualunque soggetto o impresa.

Gli investigatori che si occupano di attacchi informatici spesso hanno la necessità di viaggiare in lungo e in largo per raccogliere le prove direttamente dai computer infetti.
Con Kaspersky BitScout 2.0 è possibile, d’ora in avanti, recuperare i dati d’interesse in modalità remota, senza che il contenuto delle macchine aggredite venga danneggiato o alterato in alcun modo.

Vitaly Kamluk, direttore del team Kaspersky che si occupa di ricerca e analisi in Asia, ha sviluppato un software – BitScout, appunto – cruciale per l’ottimizzazione delle indagini forensi ma anche utilissimo per tutti gli esperti specializzati nel settore della sicurezza informatica.

Analisi forense PC, uno strumento per recuperare i dati da remoto

Tra le varie funzionalità, BitScout permette di acquisire le immagini dei dischi (anche appoggiandosi a uno staff non qualificato), di trasferire dati e frammenti di file per proseguire l’analisi in totale autonomia, di usare le cosiddette YARA rules per risalire all’identità di un malware esaminandone pattern testuali o binari e di avviare una scansione da remoto sui sistemi offline, di ricercare e visualizzare chiavi del registro di Windows (autorun, servizi, dispositivi USB collegati), di svolgere il cosiddetto file carving da remoto (recupero di file eliminati), di ripristinare il sistema da remoto e di effettuare la scansione remota di altri nodi di rete.

BitScout, seppur distribuito a titolo completamente gratuito, si pone in evidenza come un tool di inestimabile valore.
Opensource (quindi liberamente modificabile da parte di terzi), BitScout è scaricabile da questa pagina cliccando su Clone or download, Download Zip.

Per utilizzare il tool, è necessario disporre di un sistema Ubuntu Linux ed eseguire lo script automake.sh. In questo modo, si potrà creare un supporto avviabile LiveCD o LiveUSB per compiere da remoto tutte le operazioni citate sul sistema infetto o comunque dal quale si ha la necessità di recuperare materiale.

Autore: IlSoftware.it

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Energia

G20, sussidi pubblici alle fossili battono quelli per le rinnovabili 4 a 1

Quando parlare è facile, è il titolo di un report curato da diverse Ong e anche un po’ la sintesi dell’ipocrisia dei paesi G20 che si schierano compatti (o quasi) per l’accordo di Parigi, ma poi continuano ad alimentare le fonti fossili con quasi 72 mld di $ pubblici all’anno contro i 18,7 alle rinnovabili.

Il problema dell’aumento della temperature del pianeta sembrerebbe toccare così profondamente le classi politiche e i dirigenti dei paesi più industrializzati che non passa giorno che essi non stigmatizzino pubblicamente con durissime parole le scelte certamente incomprensibili e pericolose del neo presidente statunitense.

Come si sa, basta aver trovato il nemico di turno e si passa d’incanto dalla parte dei buoni. Ma le cose non sono così lineari come fanno credere ai media i grandi della Terra, dentro i cosiddetti G20, che si incontreranno da domani all’8 luglio ad Amburgo.

Questo approccio manicheo nasconde una serpe in seno: i sussidi pubblici alle fonti fossili.  

Nonostante le apparenze e di fronte al quasi certo superamento del limite di incremento dei 2° centigradi della temperatura entro fine secolo, gli stessi governi che si vantano di aver firmato e onorato (verbalmente finora) l’accordo di Parigi sul clima continuano a foraggiare con prestiti nascosti, garanzie e altre modalità di finanziamento un’ampia gamma di progetti legati alle fonti fossili, così da renderli di fatto più economici.

Il titolo di un report che fa il punto su questa vergognosa ipocrisia, ricco di dati e grafici e curato da diverse organizzazioni ambientaliste e Ong, è esemplare: “Talk is cheap. How G20 governments are financing climate disaster” (autori: Oil Change International, Friends of the Earth US, Sierra Club e WWF Europe, allegato in basso).

In sintesi si denuncia come i governi dei G20 stiano erogando finanziamenti e incentivi pubblici alle fonti fossili pari a circa 4 volte rispetto a quanto dato alle fonti rinnovabili. Ripetiamo, il rapporto è 4 contro 1.

Con la mano destra firmano impegni, peraltro piuttosto deboli negli obiettivi e nei tempi, quali l’accordo di Parigi, e con la mano sinistra aumentano o mantengono i sussidi per nuove infrastrutture, produzione e consumi di energia da fonti fossili. Altro che assurgere a paesi-leader nella lotta ai cambiamenti climatici!

La politica dei governi dimostra una volta di più quella loro naturale e storica vocazione di difensori delle fossili e dei sistemi energetici centralizzati, quasi un Dna dello Stato che sembra duro a scomparire.

Tra il 2013 e il 2015 i paesi del G20 hanno erogato ogni anno finanziamenti pubblici ai progetti di fonti fossili pari a 71,8 miliardi di dollari (215,3 mld di $ in tre anni) contro 18,7 per le fonti rinnovabili.

Il Giappone con una media annuale di 16,5 mld $ detiene il primato nei fondi pubblici alle fossili (vedi grafico), sei volte di più di quelli per le rinnovabili nel paese del Sol Levante.

Come si vede da quest’altro grafico (a destra) i fondi pubblici alle rinnovabili (non sono inclusi gli incentivi nazionali, né il nucleare e il grande hydro) sono stimati in appena il 15% del totale (122,9 mld $ /anno). Quel 26% della torta riguarda invece le spese per infrastrutture che non possono essere assegnate né alle fossili né alle energie pulite (reti, dighe, ecc.).

Tra il 2013 e il 2015 tutte le forme di finanziamento dalle istituzioni nazionali dei G20 e dalle banche multilaterali di sviluppo hanno sostenuto per il 50% la produzione di petrolio e gas (62 mld di $ /anno).

Se guardiamo a tutte le fonti fossili, le stesse istituzioni del G20 hanno supportato 6 volte di più petrolio e gas rispetto al carbone.

Ogni anno questi governi hanno indirizzato fondi pubblici per circa 13,5 miliardi di dollari solo all’esplorazione di petrolio, pur sapendo che molte delle riserve già scoperte non potranno essere sfruttate per non incrementare le emissioni di CO2 e dunque la crisi climatica.

È inquietante poi vedere che le agenzie di credito per l’esportazione degli stessi paesi, nel periodo 2013-2015, abbiano fornito un più elevato livello di sostegno alla produzione di combustibili fossili, 38,3 mld di $ /anno, rispetto alle istituzioni finanziarie bilaterali e multilaterali (24,7 mld di $ /anno). Qui primeggia la Banca Mondiale con 8,7 mld di dollari erogati ogni anno alle fonti energetiche sporche.

L’Italia, si spiega nel report, sebbene in qualità di presidente del G7 quest’anno abbia spinto per una maggiore sintonia dei finanziamenti multilaterali con gli obiettivi dell’accordo di Parigi, continua ad erogare in media 2,1 miliardi di dollari ogni anno di denaro pubblico, contro appena 123 milioni di $ per le fonti pulite, cioè 17 volte di più.

La Cina, vista da molti come nuovo leader nella battaglia sul clima, grazie anche al suo impegno sul fronte rinnovabili e con la recente riduzione della produzione di elettricità da carbone, ha però dati sconfortanti: 13,5 mld di $ per le fossili contro una irrilevante cifra di 85 milioni di $ per le rinnovabili. Chi fa qualcosa di meglio è la Germania: 3,5 mld di $ pubblici alle fossili e 2,4 alle rinnovabili.

I governi dei G20 dovrebbero iniziare a spostare migliaia di miliardi di dollari dalle infrastrutture inquinanti a quelle low carbon, dall’esplorazione di giacimenti di oil e gas a progetti per la salvaguardia degli ecosistemi, dai sussidi più o meno nascosti alla produzione e consumi di energia fossili allo sviluppo di un’economia circolare e un’industria green.

Purtroppo questo studio dimostra che l’attuale tendenza sta andando esattamente nella direzione opposta.

Dirottare queste risorse non sarà facile, ma dovrà essere fatto e pure rapidamente. E la scellerata politica di Donald Trump non potrà essere considerata una scusa per non farlo.

Report “Talk is Cheap” (pdf)

Autore: redazione QualEnergia.it – Il portale dell’energia sostenibile che analizza mercati e scenari

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HardwareSoftware

EK Water Blocks dissipatore passivo per SSD M.2 2280

EK Water Blocks, nota nel mondo degli appassionati per i sistemi di raffreddamento a liquido dall’ottimo rapporto qualità/prezzo, ha presentato un dissipatore che con i sistemi a liquido non ha nulla a che fare: parliamo di un dissipatore passivo per SSD M.2 NVMe Next Generation Form Factor (NGFF).

Si tratta di un dissipatore di calore che oltre a svolgere la propria funzione di aiutare a mantenere i componenti dell’SSD più freschi possibile, rappresenta anche un valido accessorio non solo estetico da inserire all’interno del proprio sistema. Non è un segreto che gli SSD M.2 NVMe possono surriscaldarsi molto facilmente costringendo a limitare le proprie performance per evitare problemi a dati e componenti, l’adozione del dissipatore EK Water Blocks è stata studiata per abbassare genericamente la temperatura del vostro SSD di circa 8-11°C a seconda del flusso d’aria all’interno del case.

Il design compatto lo rende altamente compatibili garantendo che non interferisca con altri componenti: facile da installare, basso profilo, riutilizzabile e disponibile nelle colorazioni nero e nichel, fanno di questo accessorio un buon alleato in grado di salvaguardare la temperatura del proprio SSD; il dissipatore EK-M.2 NVMe è compatibile con tutti gli SSD 2280 M.2 NVMe (larghi 22 mm e lunghi 80 mm).

Come tutti i prodotti EK anche questo dissipatore è prodotto in Slovenia e a breve sarà disponibile in tutti i rivenditori del vecchio continente, il prezzo finale all’utente è accettabile, parliamo di 13 € per la versione nichel e 10 € per quella nera.

Autore: Le news di Hardware Upgrade

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Energia

G20 clima: la bozza d’accordo è quella di un G19 più uno

g20 clima

Un “G2o clima” spaccato a metà e ricucito

(Rinnovabili.it) – Nuovi indiscrezioni circolano sulla bozza di accordo per il “G20 clima”, il capitolo sui cambiamenti climatici del G20 tedesco. La questione ambientale, uno temi dell’ormai prossimo vertice di Amburgo (7-8 luglio) ha già il suo draft text, un documento, come anticipato nei giorni passati da Climate Home,  svuotato di qualsiasi vera ambizione. Non una vera novità per un evento che ormai da anni tradisce le aspettative del mondo ambientale e sociale.

D’altra parte con gli Usa pronti a fare i capricci per qualsiasi impegno vincolante inerente i cambiamenti climatici, per i grandi della Terra il primo obiettivo da portare a casa è quello della “non negoziabilità” dell’Accordo di Parigi. Ecco perché il testo conclusivo, nella sua attuale forma, sembra quello di un G19 più 1, rimarcando a chiare lettere isolamento degli Stati Uniti e la volontà dei restanti di sigillare il Paris Agreement.

A tentare di ridare una forma compatto al G20 clima è un apertura, sottile, sul fronte tecnologico. Il draft text visionato in anteprima dalla Reuters riporta un accordo di collaborazione fra le venti economie sul fronte della riduzione delle emissioni attraverso l’innovazione. “Prendiamo atto della decisione degli Stati Uniti d’America di recedere dall’accordo di Parigi”, si legge nel testo al capitolo sul clima. “Gli Stati Uniti affermano il loro forte impegno per un approccio globale che abbassi le emissioni pur sostenendo la crescita economica e il miglioramento delle esigenze di sicurezza energetica”.

Si teme che dal documento sia eliminato anche ogni riferimento all’approccio globale alla questione climate change, lasciando un passaggio più blando che oggi promette “Continueremo a ridurre le emissioni di gas serra attraverso l’innovazione e l’efficienza energetica”.

Cosa significa? Che, come anticipato da Climate Home, le nazioni saranno d’accordo a promuovere soluzioni come l’energia nucleare e i “combustibili fossili puliti”, vale a dire il gas e il carbone con cattura e stoccaggio della CO2.

Il governo tedesco, ospite del vertice, non conferma né smentisce le anticipazioni. Ovviamente le conclusioni restano soggette a modifiche, dal momento che i leader devono ancora incontrarsi. Ma un testo che riconosca l’isolamento statunitense nella sua opposizione all’Accordo di Parigi, garantendo al contempo l’impegno di tutti i membri del G20 nell’innovazione, sembra ora l’unica via possibile per ottenere un conclusione unanimemente condivisa.

>>Leggi anche: Trump fuori da Parigi: cosa succede adesso?<<

Autore: stefania Rinnovabili