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Sulla nuova Palma di Dubai sono state vendute 450 ville in poche ore

Author: Wired

Via come il pane: in poche ore sono state vendute ben 450 ville della nuova isola a forma di palma di Dubai, ovvero quattro intere “foglie” della struttura artificiale ben visibile anche dallo spazio che ha plasmato la zona costiera della città emiratina. Ad annunciarlo è stata la società Tecma Solutions che si occupa della trasformazione digitale del progetto Palm Jebel Ali, una delle iniziative più note e celebri del rapidissimo sviluppo urbano della metropoli nel deserto.

Palm Jebel Ali è una delle mega-strutture artificiali costruite a Dubai e parte del complesso chiamato appunto Palm Islands, che comprende anche la più piccola (e famosa) Palm Jumeriah e la Palm Deira che non è ancora stata costruita e che sarà molto più imponente. Sulle foglie sono presenti ville, hotel, ristoranti, centri commerciali, terme, strutture sportive e parchi divertimento. Come si può intuire, l’ispirazione è data da uno degli alberi simbolo degli Emirati, con una protezione tutta attorno formata da barriere a mezzaluna, anch’esse terreno di costruzione di ville esclusive. I complessi sono costruiti dalla società locale Nakheel Properties, sfruttando il drenaggio di sabbia e terra del mare per erigere il basamento. Se le due palme attuali hanno richiesto qualcosa come 100 milioni di m³ di sabbia e roccia, la terza ne necessiterà dieci volte tanto (1 miliardo di m³).

La seconda palma artificiale è uno dei fiori all’occhiello del piano urbanistico noto come “Dubai 2040 Urban Master Plan” fortemente voluto da Mohammed bin Rashid Al Maktoum, Vice Presidente, Primo Ministro e Sovrano di Dubai e parte anche di una trasformazione digitale che abbraccia una videosorveglianza massiccia con largo uso dell’AI. Progetti colossali e scenografici che si basano però su manodopera a bassissimo costo, obbligata spesso a lavorare e vivere in condizioni disumane e al limite della schiavitù. Quanto sono costate le 450 ville vendute in poche ore? Prezzi non proprio popolari: sul sito del costruttore si parla di un costo di partenza di circa 5 milioni di euro, per proprietà dai 700 metri quadrati in su e una consegna delle chiavi prevista a fine 2027. Ma per le più esclusive Coral Villas con 7 stanze da letto e 9 bagni si va tranquillamente sopra i 7 milioni.

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Perché Cop28, la conferenza globale sul clima, parte con il piede sbagliato

Author: Wired

Il 30 novembre negli Emirati arabi uniti, inizierà la ventottesima Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, la Cop28, ma il paese ospite ha pianificato di sfruttare questa occasione per siglare accordi di estrazione dei combustibili fossili tra le proprie compagnie e i paesi partecipanti. Insomma, alla vigilia della sua partenza, la Cop28 si prospetta molto più incentrata sul sostegno alle energie fossili, che sul loro abbandono per il raggiungimento di emissioni zero.

La scelta di affidare la Cop28 agli Emirati e mettere a capo della conferenza Sultan Al Jaber, amministratore delegato della compagnia petrolifera nazionale Adnoc, è stata a lungo criticata come potenzialmente decisiva per il suo fallimento. Molti hanno denunciato i possibili conflitti di interessi derivati dal doppio ruolo di Al Jaber e da quello degli Emirati come uno dei maggiori produttori di petrolio mondiali e le ultime rivelazioni hanno ulteriormente minato la fiducia nell’evento.

Il Center for Climate Reporting, che ha collaborato con la Bbc a questa inchiesta, è riuscito a entrare in possesso dei documenti preparati dal team di Al Jaber in vista degli incontri bilaterali tra il presidente della Cop28 e i rappresentanti di 27 governi presenti alla conferenza. Oltre alle questioni legate al tema centrale dell’evento, la crisi climatica, i documenti includono “punti di discussione” e “richieste” da presentare ai vari paesi da parte di Adnoc e Masdar, la società di energie rinnovabili degli Emirati, entrambe dirette da Al Jaber.

Tra questi si trovano offerte di collaborazione con la Cina per estrarre gas naturale in Mozambico, Canada e Australia, la richiesta al Brasile di “garantire l’allineamento e l’approvazione” dell’offerta di Adnoc per acquistare la maggioranza nella più grande società petrolifera e del gas dell’America Latina, la Braskem, il “sostegno” alla Colombia nello sviluppo delle sue risorse fossili e altre 12 proposte per l’estrazione di gas e petrolio con altrettanti paesi, tra cui Germania ed Egitto.

In più, i documenti vanno anche a suggerire una linea politica comune agli altri paesi produttori di petrolio, come l’Arabia Saudita e il Venezuela, con la raccomandazione di spigare che “non c’è conflitto tra lo sviluppo sostenibile delle risorse naturali di un paese e il suo impegno nei confronti del cambiamento climatico”. Non proprio la verità, dato che anche i processi estrattivi sono inquinanti e le stesse Nazioni Unite, promotrici della conferenza, hanno rimarcato l’importanza fondamentale dell’abbandono dei combustibili fossili in tutto il mondo per riuscire a contenere l’aumento delle temperature al di sotto di livelli potenzialmente catastrofici.

Oltre a essere completamente in contrasto rispetto agli obiettivi e alla stessa ragion d’essere della Cop28, il piano per concludere accordi commerciali durante la conferenza rappresenta una grave violazione degli standard di condotta che ci si aspetta dal paese ospite e dal presidente dell’evento, stabiliti dall’organismo delle Nazioni Unite responsabile dei negoziati sul clima, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

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L’inquietante cantiere della Conferenza sul clima negli Emirati arabi

Author: Wired

La Cop28 negli Emirati Arabi Uniti sta per cominciare all’insegna dello sfruttamento oltre che delle contraddizioni. Dopo aver messo alla guida della ventottesima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici il capo della principale compagnia petrolifera del paese, Sultan al-Jaber, gli Emirati sono tornati al centro di un nuovo scandalo per le condizioni di lavoro in cui versano gli operai migranti ingaggiati per costruire gli edifici della conferenza.

In base alle prove e alle testimonianze raccolte nell’ultimo report dell’organizzazione per la ricerca e la difesa dei diritti umani Fair Square, centinaia di migranti provenienti dai vicini paesi africani e dal Sud-Est asiatico sono stati costretti a lavorare all’aperto ai tre siti della Cop28, durante picchi di temperature arrivati anche ai 42 gradi. Una condizione che mette direttamente in pericolo di vita le persone esposte, soprattutto a causa della forte umidità che compromette la sudorazione, principale meccanismo di regolazione della temperatura nel corpo umano, aumentando il rischio di morte.

Negli Emirati e negli altri paesi del Golfo, il caldo estremo è così pericoloso che esiste addirittura una legge, chiamata Divieto di mezzogiorno, che vieta ogni tipo di lavoro all’aperto nelle ore più calde. Ma mentre in Qatar o nel Kuwait il divieto riguarda un totale di circa 500 ore di lavoro vietate, negli Emirati le ore vietate al lavoro per il caldo sono solo 233 e, come riporta Fair Square, per gli operai della Cop28 sono state quasi zero.

Secondo il rapporto, gli operai hanno lavorato anche in queste ore vietate, senza pause, spostando materiali pesanti, per riuscire a completare le opere della Cop28 entro novembre 2023, data di inizio della Conferenza. Le pessime condizioni di lavoro dei migranti economici nei paesi del Golfo sono state documentate più volte, come nel caso estremo dei mondiali di calcio in Qatar, ma in questo caso al sistematico sfruttamento si aggiunge anche l’assurdo, visto il motivo per cui sono stati ingaggiati.

Fra circa 10 giorni, i leader mondiali verranno ospitati a Expo City, a Dubai, per capire come affrontare la crisi climatica, definita minaccia “esistenziale” per gli esseri umani anche dal presidente della Banca mondiale, Ajay Banga, prima che sia troppo tardi. Lo faranno in edifici costruiti da operai sottopagati, costretti a lavorare nelle condizioni di calore estremo dovute proprio a questa crisi, senza alcuna tutela. Commentando il rapporto sul Guardian, il presidente della divisione ambiente di Human rights watch, ha sottolineato come la crisi climatica diventi ancora più pericolosa nel momento in cui “leggi e diritti umani non vengono rispettati”, sottolineando come lottare per la tutela dell’ambiente sia inutile se, al contempo, non si lotta per conquistare e difendere i diritti civili e ridurre le diseguaglianze economiche.