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Matrix Revolutions dopo vent’anni continua ad essere un enigma

Author: Wired

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La trilogia manifestò proprio in questo ultimo capitolo il suo profondissimo legame con la mitologia, greca ma pure ebraica e cristiana, e non si tratta semplicemente di nomi di divinità o personaggi, di vaghi accenni, ma della concezione stessa del percorso del protagonista. Neo riporta in vita la concezione dell’eroe di Sofocle: egli è solo, incompreso, lotta contro tutto e tutti, costretto dal fato (tema ricorrente nella trilogia) a battersi sempre e comunque, anche senza speranza apparentemente. Ma è tramite la lotta che Neo capisce chi è veramente in questo capitolo finale, capisce soprattutto l’importanza della scelta, anche quando non compresa pienamente e del libero arbitrio. Lo stesso Oracolo gli fa comprendere che in fondo è sempre stato tutto nelle sue mani, compresa la volontà o meno di sapere di più. Mary Alice (subentrata a Gloria Foster) diventa nei panni dell’Oracolo ancora più simbolo dello Yang, tanto quanto l’Architetto è simbolo dello Yin. Neo? Neo è ciò che vi è prima e dopo una scelta, è la distruzione di una strada già segnata e scritta, di un vicolo cieco semantico, è la scelta personale, quel qualcosa che va oltre l’aritmetica, la prevedibilità e abbraccia l’essenza di ciò che siamo in quanto esseri umani. Tutto questo ci arriva alla fine di un film dove la ricerca della luce è premio e meta, esemplificata da quell’impennata su in cielo di Neo e Trinity, quell’istante sopra le nubi della città delle macchine, che vale in fondo tutta un’esistenza, quella che ci è voluta per uscire dalla caverna Platone e raggiungerla.

L’ultimo frammento di una profezia

Come villain, l’Agente Smith in Matrix Revolutions fu colui in cui le Wachowski inserirono il concetto stesso di pericolo per l’identità individuale, da parte di una dittatura dell’omologazione che oggi conosciamo molto bene. Neo, reso cieco come fu Tiresia, vede però più degli altri, vede la verità oltre la carne, infine strappa una sorta di accordo ad una Matrix, che si palesa quasi citando Dante Alighieri: un volto che contiene ogni viso e nessuno assieme. Matrix però è sciame, è IA avanzatissima (ed ecco il punto fondamentale di questo film) ed ha anche un’emotività, perché essa è basata sull’interazione, qualcosa che l’uomo imita e ricrea. La battaglia finale tra i due alter ego, sorta di omaggio delle Wachowski ai superuomini di DC e Marvel, è l’eterna lotta dentro di noi e fuori da noi, nel mondo, è il bilanciamento di un’equazione in cui l’uomo gioca il ruolo chiave, risolutivo, il far finire tutto perché qualcosa di nuovo ricominci. Certo, non si può negare che a suo tempo lasciò interdetto il pubblico, dimentico dell’eroe greco che da Omero a Senofonte, trova nella morte non la fine ma il compimento del suo destino e del suo scopo. Matrix Revolutions aveva ovviamente dei difetti, da molti fu definito come anti climatico, quasi a suggellare una delusione connessa anche alla natura distante dalla prevedibilità dell’insieme. Ma non si può negare l’incredibile caratura estetica, la grandiosità con ci viene dato il più straordinario scontro bellico post apocalittico di sempre, una sorta di Termopili cyberpunk che ancora oggi si mette in tasca il concetto stesso di scontro finale.

Una scenda tratta da The CreatorThe Creator ci mostra il lato empatico dell’intelligenza artificiale

Il nuovo film di fantascienza di Gareth Edwards sovverte le aspettative e invita il pubblico a fare il tifo per l’AI

Intanto però ecco dominare il tema del fatto, del destino, lo si connette a una sorta di visione matematica della vita, in perfetta contrapposizione con ciò che siamo, quel “così ho scelto” che Neo abbraccia, ricollegandosi alla speranza come più grande forza dell’umanità. Eppure, gli spettatori che all’epoca affollavano le sale cinematografiche, erano tutti diversi l’uno dall’altro, appartenevano anche a quella subcultura giovanile che col tempo è scomparsa. È stata la tecnologia a farlo, in modo non differente da come fa l’Agente Smith: rendendo tutti quanti noi fotocopie di fotocopie. Qualcosa che oggi vediamo anche nei prodotti culturali, elemento che lo stesso Martin Scorsese ha sottolineato recentemente, al netto di critiche feroci. Matrix? Esiste, sono colossi come la Disney a rappresentarlo in pieno, ma è un po’ tutta la nostra società del XXI secolo ad essere diventata sempre più lontana dalla luce, quasi che la comodità valesse più del libero arbitrio, così come teorizzato proprio da Smith nel primo film. Al netto di innegabili difetti di equilibrio e di momenti mal gestiti, Matrix Revolutions, con il suo unire ancora una volta filosofia occidentale e orientale, ha sugellato il vero finale della saga in modo coerente. Il quarto capitolo? Un ironico sberleffo alle Majors, ai prodotti culturali in scatola, alla dittatura delle equazioni, degli algoritmi che oggi dominano le nostre vite. La lezione finale è quella che abbiamo dimenticato: la vera battaglia contro Matrix non è lì fuori, ma è un regno della mente.

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Futurama è tornato, ed è ancora in formissima

Author: Wired

Buone notizie, ciurmaglia! Futurama è tornato (di nuovo).

L’undicesima stagione della serie animata fantascientifica è disponibile su Disney+ dal 24 luglio, dopo una pausa di dieci anni. Considerando tutto il tempo trascorso, è naturale chiedersi se la serie riesca riprendere da dove aveva lasciato, riuscendo a mantenere la rilevanza che aveva dieci anni fa. Ma non temete: i nuovi episodi sono riusciti a far ripartire lo show nel 3023 – quindi sempre 1000 anni nel futuro – con tutta la verve che lo caratterizzava quando è stato cancellato (per la seconda volta) nel 2013.

Futurama esordì quasi un quarto di secolo fa, nel 1999, emergendo dall’ombra dei Simpson. Anche se i protagonisti Philip J. Fry e Leela ci hanno regalato numerose battute esilaranti, il personaggio più popolare della serie è probabilmente Bender, un robot sboccato e amante della birra . Per i nuovi arrivati, lo show parte dalla storia di Fry, un ragazzo che è rimasto per sbaglio ibernato per un millennio mentre consegnava pizze la notte di Capodanno del 1999. La nuova stagione inizia con il professor Farnsworth che in qualche modo riavvia l’universo dopo che il tempo si è fermato per alcuni anni, facendo sì che tutti riprendano la propria vita da dove si era interrotta come se niente fosse. “Siamo tornati, baby!“, esclama Bender accendendosi un sigaro.

La serie è stata cancellata ed è ripartita più volte, un aspetto che è ripetutamente oggetto di ironia nella nuova stagione. In un episodio, per esempio, la gang di Fry convince i dirigenti robotici di “Fulu” (un nome che ricorda da vicino quello di Hulu, la piattaforma dove la serie è trasmessa negli Stati Uniti) a far tornare una soap opera robotica di cui Fry è appassionato. La società aiuta il protagonista a fare una maratona della telenovela rinchiudendolo in una tuta simile a quella vista in Dune, che lo nutre, ricicla i suoi rifiuti organici ed è dotata di un casco che gli trapana il cranio. Lo stesso Bender scrive un paio di episodi della soap, che però non si rivelano un granché: a quanto pare, l’intelligenza artificiale non sarà capace di scrivere sceneggiature nemmeno tra 1000 anni. È un classico di Futurama: un cenno alla fantascienza di epoche passate, ma completamente al passo con i tempi.

E pensare che la nuova stagione rischiava di non vedere mai la luce. L’anno scorso, quando gli episodi erano già in fase di preparazione, il doppiatore di Bender nella versione originale, John DiMaggio, aveva fatto un passo indietro dal progetto, chiedendo una retribuzione maggiore per l’intero cast (da tempo i doppiatori di serie tv e videogiochi sostengono di essere sottopagati). I produttori a quel punto hanno minacciato di sostituire la sua voce, scatenando la reazione dei fan sotto l’hashtag #BenderGate. Fortunatamente, alla fine la questione è stata risolta ed DiMaggio è tornato a dare voce a Bender.

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Per il creatore di Black Mirror la vera minaccia non è la tecnologia

Author: Wired

Nel breve, la cosa che mi preoccupa è la disinformazione: come nel caso dell’immagine del Papa con il piumino che è diventata virale qualche settimana fa e che poi si è scoperto essere generata da un’intelligenza artificiale. Possiamo vedere cosa succede quando cose del genere vengono utilizzate come armi, il che avverrà molto presto. È terrificante, perché alcuni di quelli che dovrebbero controllare sembrano fregarsene o incoraggiare attivamente la cosa.

Questo mi spaventa: cosa fanno le persone quando hanno paura e sono male informate. È deprimente, vero? Sarà probabilmente la nostra sfida più grande nei prossimi dieci anni. E poi, oltre a questo, tutto il resto: il clima, le bombe atomiche, eccetera.

Ma molte delle cose che avete scritto per Black Mirror poi sono accadute davvero, e per molte di quelle che succedono si ha l’impressione che avrebbero potuto o dovuto essere incluse nella seria. Anche un dispositivo come il Vision Pro di Apple è un dispositivo distopico sotto molti aspetti.

È strano, molto strano. Uno dei miei istinti quando l’ho visto è stato: “Oh mio Dio, è proprio da Black Mirror“. Non abbiamo niente di simile in questa stagione, ma è perché l’abbiamo già fatto! L’abbiamo fatto anni fa. Ma per la maggior parte del tempo quello che facevo era guardare le cose e fare delle supposizioni, quindi per molti versi non è così sorprendente.

Ma i vostri sono degli avvertimenti? Le serie come questa sono un monito a non fare una determinata cosa, che poi puntualmente viene fatta.

Non so se si tratta necessariamente di non fare una determinata cosa. Di solito nella storia c’è un essere umano debole e imperfetto che manda tutto all’aria, e non la tecnologia. Abbiamo fatto Metalhead, che parlava di cani robot Ai che andavano in giro a uccidere la gente: è giusto, è la tecnologia. Ma in Ricordi pericolosi, l’episodio in cui i protagonisti possono riguardare i propri ricordi, è il marito geloso e insicuro che manda all’aria la sua vita. Di solito nelle storie la colpa non è della tecnologia.

In generale sono favorevole alla tecnologia. Probabilmente dovremo farci affidamento per sopravvivere, quindi non direi che si tratta necessariamente di avvertimenti, quanto di timori. Sono forse gli scenari peggiori. Ho letto una cosa – forse era su Wired – che le aziende tecnologiche hanno dei “red team” che si incontrano e riflettono su cose come: “Come si potrebbe fare un uso improprio di questa cosa? Abbiamo appena inventato l’Apple AirTag, e se qualcuno lo usasse per pedinare qualcuno?” Spesso è la stessa cosa che faccio io.

Questa intervista – apparsa originariamente su Wired UK – è stata modificata, condensata e tradotta.

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Per lo scrittore di Silo anche Bambi è una storia distopica

Author: Wired

Provo un misto di eccitazione e paura, propendendo più per l’eccitazione. Credo che le persone con cui ho parlato e che hanno ammesso di avere paura non si fossero rese conto che sarebbe successo veramente.

L’idea delle Ai nella nostra vita si è fatta avanti prepotentemente nella coscienza collettiva negli ultimi mesi, ma è un argomento di cui si parla da anni.

Ne ho scritto spesso sul mio blog, ma senza specificare se sapevo quando sarebbe successo davvero. Tre o quattro anni fa, sempre sul mio blog, ho predetto che nei prossimi dieci anni un computer avrebbe scritto un libro indistinguibile da quello di un autore umano. Alcuni non ci hanno creduto e adesso sono molto spaventati, mentre io mi sono gradualmente abituato all’idea nell’arco di un decennio.

Gli editori di fantascienza si stanno già occupando di opere generate dall’intelligenza artificiale. Come scrittore specializzato in questo genere, questo la fa riflettere?

Penso che questi sviluppi siano inevitabili, ma il modo in cui li usiamo e li affrontiamo è adattabile. Possiamo essere ottimisti, fiduciosi e creativi mentre ricorriamo a questi strumenti, oppure possiamo strapparci i capelli ed essere turbati e stressati. Questo è ciò che possiamo scegliere, e io sceglierò di essere entusiasta di qualcosa che abbiamo creato insieme, cumulativamente, perché gli strumenti di Ai generativa sono fondamentalmente basati sul patrimonio degli scritti dell’umanità. Ha imparato da noi.

Molti temono che l’intelligenza artificiale possa rubar loro il lavoro. Come autore, c’è una parte di lei che pensa: “Beh, per dire a un’Ai di scrivere un libro nello stile di Hugh Howey, deve comunque conoscerne il lavoro“?

Il motivo per cui non ho paura è che quando ho iniziato a scrivere non ho mai pensato che mi sarei guadagnato da vivere facendo l’autore di romanzi. Ho lavorato in una libreria mentre cercavo di sfondare come scrittore, e ogni settimana uscivano migliaia e migliaia di libri. Non riuscivamo nemmeno a ordinarli tutti, erano troppi. Sfogliavamo cataloghi fittissimi di nuovi romanzi e alla fine ne ordinavamo solo una ventina da un editore e altri venti da un altro. L’idea che, con tutte quella concorrenza, avrei potuto pubblicare qualcosa di mio e addirittura guadagnarmi da vivere era assurda. Il motivo per cui ho iniziato a scrivere è che amo raccontare storie, e solo perché un’intelligenza artificiale lo farà meglio di me non significa che mi toglierà il divertimento. Mi piace giocare a scacchi, ma un computer mi batterà cento volte su cento a ogni partita. Questo non significa che mi passi la voglia di giocare o guardare altre persone farlo.

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Silo è una serie eccellente, ma arriva con 10 anni di ritardo

Author: Wired

Quando nel 2011 il romanzo di Hugh Howey Wool è diventato un successo inarrestabile, l’imprevedibile notorietà dell’opera ha quasi messo in ombra i suoi meriti narrativi. Lo scrittore è diventato un testimonial di Amazon Kindle Direct Publishing e il libro è stato definito “la versione fantascientifica di Cinquanta sfumature di grigio, un paragone così offensivo da risultare quasi diffamatorio. Il pubblico (che in alcuni casi non si era nemmeno dato la briga di leggere il libro) è rimasto affascinato dal fatto che un outsider del settore letterario avesse raggiunto la vetta della classifica dei bestseller solo grazie al passaparola su internet. Chi non ha letto il romanzo non sa cosa si è perso: Wool è un racconto avvincente ed emozianante. Nel 2012, la 20th Century Fox ha acquistato i diritti dell’opera e del prequel Shift dopo una lotta senza quartiere, con l’idea di farne un adattamento cinematografico diretto da Ridley Scott. I fan hanno aspettato a lungo l’annuncio dell’inizio della produzione, che però non è mai arrivato.

Lunga gestazione

Nell’attesa, il mondo è cambiato. Howey ha pubblicato un terzo romanzo, Dust, e ha battezzato la trilogia “la Saga di Silo“. Game of Thrones – che era alla sua prima stagione quando il libro vide la luce – è diventata un fenomeno culturale. Netflix, che aveva appena pubblicato la sua prima serie originale quando l’autore ha iniziato a pubblicare online i capitoli di Wool, si è trasformata in un gigante dell’intrattenimento. Ogni dirigente televisivo pretendeva la propria punta di diamante, nella forma di una serie monumentale destinata a diventare un cult. Le piattaforme di streaming hanno investito denaro per replicare il successo del Trono di spade, privilegiando sontuose epopee fantascientifiche o fantasy. Tra questi c’era anche Apple, che ha scommesso su serie fantascientifiche come Fondazione e For All Mankind, senza ottenere dal pubblico i riscontri auspicati. L’arrivo di Silo, a distanza di più di dieci anni da quel primo tentativo di adattamento, rischia di fare poco scalpore, l’ennesimo titolo tra tanti aspiranti cult dal sapore distopico. Se avesse debuttato una decina di anni, quando il numero di servizi di streaming si contava sulle dita di una mano, la competizione non sarebbe stata così agguerrita. A questo punto il pubblico sa come muoversi tra i tetri paesaggi post-apocalittici, anzi è anche quasi stufo degli scenari distopici che dominano il piccolo schermo.

Silo può sembrare qualcosa di già visto. I titoli di testa dello show evocano Westworld e la serie in sé è altrettanto cupa nei toni. Come ogni altra show di prestigio, annovera almeno una persona che ha lavorato in Game of Thrones, in questo caso, Iain Glen, ovvero Ser Jorah Mormont. A volte i dialoghi possono risultare un po’ stereotipati (“Devi fidarti di me!”, “La situazione si fa pericolosa”, “Cerca di non farti ammazzare”). La premessa della serie è molto simile allo spinoff televisivo – decisamente inferiore rispetto al film – di Snowpiercer: come la serie Netflix, anche Silo è una detective story ambientata in una società post-apocalittica estremamente classista e confinata in spazi ristretti. Le indagini si svolgono proprio mentre si paventa la possibilità di una ribellione. Ci sono però due differenze sostanziali tra Snowpiercer e Silo. La prima riguarda l’ambientazione: al posto di un treno che circumnaviga una Terra in rovina senza mai fermarsi, Silo si svolge negli spazi angusti di un edificio di 144 piani sepolto sotto una Terra in rovina. La seconda riguarda la qualità: Silo è una serie ottima.

La trama

I primi due episodi introducono gli spettatori nell’universo sotterraneo dello show attraverso gli occhi dello sceriffo Holston Becker (David Oyelowo) e di sua moglie Allison (Rashida Jones). I due vivono felicemente fino a quando ottengono il permesso di avere un figlio. Il chip di controllo delle nascite imposto dal governo ad Allison viene rimosso e i due hanno un anno di tempo per concepire. C’è un senso di urgenza: questa, scopriamo, è la loro terza possibilità di avere un bambino, e probabilmente l’ultima. Man mano che i mesi trascorrono senza una gravidanza, la donna inizia a sospettare che i problemi di fertilità di cui soffre la coppia non siano naturali, ma in qualche modo legati alle macchinazioni dei potenti.

La parabola di Holston e Allison è resa emozionante dalle eccellenti interpretazioni dei rispettivi interpreti – quella di Jones in particolare rappresenta uno dei punti più alti della sua carriera – e al tempo stesso funge da stratagemma per illustrare efficacemente alcuni elementi dell’ambientazione. Apprendiamo che il silo da cui prende il nome la serie funziona come una città autonoma, alimentata da uno strano mosaico di tecnologie del passato; c’è un reparto informatico, radio e computer vetusti, ma non ascensori, carrucole o telefoni. I residenti conoscono ben poco del passato perché un gruppo di ribelli ha distrutto la maggior parte della documentazione sulla catastrofe che ha annichilito il pianeta e sulla costruzione del rifugio. Il silo è regolato da leggi rigide, tra cui la più agghiacciante è quella che esige che chiunque richieda di uscire all’esterno non possa mai più fare ritorno.