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Per lo scrittore di Silo anche Bambi è una storia distopica

Author: Wired

Provo un misto di eccitazione e paura, propendendo più per l’eccitazione. Credo che le persone con cui ho parlato e che hanno ammesso di avere paura non si fossero rese conto che sarebbe successo veramente.

L’idea delle Ai nella nostra vita si è fatta avanti prepotentemente nella coscienza collettiva negli ultimi mesi, ma è un argomento di cui si parla da anni.

Ne ho scritto spesso sul mio blog, ma senza specificare se sapevo quando sarebbe successo davvero. Tre o quattro anni fa, sempre sul mio blog, ho predetto che nei prossimi dieci anni un computer avrebbe scritto un libro indistinguibile da quello di un autore umano. Alcuni non ci hanno creduto e adesso sono molto spaventati, mentre io mi sono gradualmente abituato all’idea nell’arco di un decennio.

Gli editori di fantascienza si stanno già occupando di opere generate dall’intelligenza artificiale. Come scrittore specializzato in questo genere, questo la fa riflettere?

Penso che questi sviluppi siano inevitabili, ma il modo in cui li usiamo e li affrontiamo è adattabile. Possiamo essere ottimisti, fiduciosi e creativi mentre ricorriamo a questi strumenti, oppure possiamo strapparci i capelli ed essere turbati e stressati. Questo è ciò che possiamo scegliere, e io sceglierò di essere entusiasta di qualcosa che abbiamo creato insieme, cumulativamente, perché gli strumenti di Ai generativa sono fondamentalmente basati sul patrimonio degli scritti dell’umanità. Ha imparato da noi.

Molti temono che l’intelligenza artificiale possa rubar loro il lavoro. Come autore, c’è una parte di lei che pensa: “Beh, per dire a un’Ai di scrivere un libro nello stile di Hugh Howey, deve comunque conoscerne il lavoro“?

Il motivo per cui non ho paura è che quando ho iniziato a scrivere non ho mai pensato che mi sarei guadagnato da vivere facendo l’autore di romanzi. Ho lavorato in una libreria mentre cercavo di sfondare come scrittore, e ogni settimana uscivano migliaia e migliaia di libri. Non riuscivamo nemmeno a ordinarli tutti, erano troppi. Sfogliavamo cataloghi fittissimi di nuovi romanzi e alla fine ne ordinavamo solo una ventina da un editore e altri venti da un altro. L’idea che, con tutte quella concorrenza, avrei potuto pubblicare qualcosa di mio e addirittura guadagnarmi da vivere era assurda. Il motivo per cui ho iniziato a scrivere è che amo raccontare storie, e solo perché un’intelligenza artificiale lo farà meglio di me non significa che mi toglierà il divertimento. Mi piace giocare a scacchi, ma un computer mi batterà cento volte su cento a ogni partita. Questo non significa che mi passi la voglia di giocare o guardare altre persone farlo.

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Silo è una serie eccellente, ma arriva con 10 anni di ritardo

Author: Wired

Quando nel 2011 il romanzo di Hugh Howey Wool è diventato un successo inarrestabile, l’imprevedibile notorietà dell’opera ha quasi messo in ombra i suoi meriti narrativi. Lo scrittore è diventato un testimonial di Amazon Kindle Direct Publishing e il libro è stato definito “la versione fantascientifica di Cinquanta sfumature di grigio, un paragone così offensivo da risultare quasi diffamatorio. Il pubblico (che in alcuni casi non si era nemmeno dato la briga di leggere il libro) è rimasto affascinato dal fatto che un outsider del settore letterario avesse raggiunto la vetta della classifica dei bestseller solo grazie al passaparola su internet. Chi non ha letto il romanzo non sa cosa si è perso: Wool è un racconto avvincente ed emozianante. Nel 2012, la 20th Century Fox ha acquistato i diritti dell’opera e del prequel Shift dopo una lotta senza quartiere, con l’idea di farne un adattamento cinematografico diretto da Ridley Scott. I fan hanno aspettato a lungo l’annuncio dell’inizio della produzione, che però non è mai arrivato.

Lunga gestazione

Nell’attesa, il mondo è cambiato. Howey ha pubblicato un terzo romanzo, Dust, e ha battezzato la trilogia “la Saga di Silo“. Game of Thrones – che era alla sua prima stagione quando il libro vide la luce – è diventata un fenomeno culturale. Netflix, che aveva appena pubblicato la sua prima serie originale quando l’autore ha iniziato a pubblicare online i capitoli di Wool, si è trasformata in un gigante dell’intrattenimento. Ogni dirigente televisivo pretendeva la propria punta di diamante, nella forma di una serie monumentale destinata a diventare un cult. Le piattaforme di streaming hanno investito denaro per replicare il successo del Trono di spade, privilegiando sontuose epopee fantascientifiche o fantasy. Tra questi c’era anche Apple, che ha scommesso su serie fantascientifiche come Fondazione e For All Mankind, senza ottenere dal pubblico i riscontri auspicati. L’arrivo di Silo, a distanza di più di dieci anni da quel primo tentativo di adattamento, rischia di fare poco scalpore, l’ennesimo titolo tra tanti aspiranti cult dal sapore distopico. Se avesse debuttato una decina di anni, quando il numero di servizi di streaming si contava sulle dita di una mano, la competizione non sarebbe stata così agguerrita. A questo punto il pubblico sa come muoversi tra i tetri paesaggi post-apocalittici, anzi è anche quasi stufo degli scenari distopici che dominano il piccolo schermo.

Silo può sembrare qualcosa di già visto. I titoli di testa dello show evocano Westworld e la serie in sé è altrettanto cupa nei toni. Come ogni altra show di prestigio, annovera almeno una persona che ha lavorato in Game of Thrones, in questo caso, Iain Glen, ovvero Ser Jorah Mormont. A volte i dialoghi possono risultare un po’ stereotipati (“Devi fidarti di me!”, “La situazione si fa pericolosa”, “Cerca di non farti ammazzare”). La premessa della serie è molto simile allo spinoff televisivo – decisamente inferiore rispetto al film – di Snowpiercer: come la serie Netflix, anche Silo è una detective story ambientata in una società post-apocalittica estremamente classista e confinata in spazi ristretti. Le indagini si svolgono proprio mentre si paventa la possibilità di una ribellione. Ci sono però due differenze sostanziali tra Snowpiercer e Silo. La prima riguarda l’ambientazione: al posto di un treno che circumnaviga una Terra in rovina senza mai fermarsi, Silo si svolge negli spazi angusti di un edificio di 144 piani sepolto sotto una Terra in rovina. La seconda riguarda la qualità: Silo è una serie ottima.

La trama

I primi due episodi introducono gli spettatori nell’universo sotterraneo dello show attraverso gli occhi dello sceriffo Holston Becker (David Oyelowo) e di sua moglie Allison (Rashida Jones). I due vivono felicemente fino a quando ottengono il permesso di avere un figlio. Il chip di controllo delle nascite imposto dal governo ad Allison viene rimosso e i due hanno un anno di tempo per concepire. C’è un senso di urgenza: questa, scopriamo, è la loro terza possibilità di avere un bambino, e probabilmente l’ultima. Man mano che i mesi trascorrono senza una gravidanza, la donna inizia a sospettare che i problemi di fertilità di cui soffre la coppia non siano naturali, ma in qualche modo legati alle macchinazioni dei potenti.

La parabola di Holston e Allison è resa emozionante dalle eccellenti interpretazioni dei rispettivi interpreti – quella di Jones in particolare rappresenta uno dei punti più alti della sua carriera – e al tempo stesso funge da stratagemma per illustrare efficacemente alcuni elementi dell’ambientazione. Apprendiamo che il silo da cui prende il nome la serie funziona come una città autonoma, alimentata da uno strano mosaico di tecnologie del passato; c’è un reparto informatico, radio e computer vetusti, ma non ascensori, carrucole o telefoni. I residenti conoscono ben poco del passato perché un gruppo di ribelli ha distrutto la maggior parte della documentazione sulla catastrofe che ha annichilito il pianeta e sulla costruzione del rifugio. Il silo è regolato da leggi rigide, tra cui la più agghiacciante è quella che esige che chiunque richieda di uscire all’esterno non possa mai più fare ritorno.

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Tetris, la sua storia sembra un thriller politico

Author: Wired

La storia dietro Tetris – tanto lo storico videogioco quanto il film uscito lo scorso 31 marzo su Apple Tv+ – è decisamente contorta. Comprende una battaglia per assicurarsi i diritti del gioco e distribuirlo al di fuori dell’Unione sovietica, portata avanti a colpi di spionaggio, ricorsi legali e intimidazioni personali, ma anche le difficoltà che lo sceneggiatore Noah Pink e il regista Jon S. Baird hanno dovuto affrontare per comprimere tutti questi avvenimenti in un film di due ore. Quest’ultima era una sfida sulla quale Pink si stava arrovellando da molto prima che la produzione della pellicola ricevesse il via libera: “Avevo stralci sparsi di articoli, podcast e libri – ricorda lo sceneggiatore –. Ovviamente, la storia non è segreta, ma era comunque piuttosto sconosciuta“. Come per qualsiasi altro evento storico, le circostanze intorno alla nascita di Tetris (il gioco) sono complicate da districare; a questo però va aggiunto il fatto che il titolo è stato sviluppato in un Urss in fase di disgregazione. Gran parte della tensione del film poggia sulla difficoltà di contattare persone all’interno di un paese soggetto a svariate limitazioni, sulle barriere linguistiche e sulla confusione che questi fattori possono causare.

Genesi contorta

Fortunatamente, Pink ha trovato un modo per orientarsi tra gli eventi di questa storia intricata: “Mi sono davvero attaccato all’idea che, in fondo, questo film parlava di due giovani uomini provenienti da parti del mondo molto diverse che avevano trovato elementi in comune e un legame attraverso il gioco“. Lo sceneggiatore ha impiegato un anno e mezzo per mettere insieme la storia, ma una volta che al progetto è stato assegnato un produttore, ha potuto finalmente incontrare i veri Aleksej Pažitnov e Henk Rogers, l’imprenditore olandese che si assicurò i diritti per distribuire Tetris su console il creatore del gioco (interpretati rispettivamente da Taron Egerton e Nikita Efremov nel film): “Henk, essendo Henk, era più preoccupato di chi lo avrebbe interpretato. Aleksej, essendo Aleksej, era più preoccupato di assicurarsi che i fatti fossero riportati accuratamente“.

È difficile trovare una fonte migliore per ricostruire fatti storici delle persone che li hanno vissuti. Non solo per avere accesso alla corretta cronologia degli eventi, ma anche per capire la prospettiva di chi viveva gli ultimi giorni dell’Urss. A volte le emozioni che accompagnano una storia e le circostanze in cui avviene possono essere in contrasto tra loro. A un certo punto del film, ad esempio, Henk viene invitato da Nintendo a visionare un nuovo prodotto: il Game Boy, la console portatile che avrebbe cambiato per sempre il mondo dei videogiochi. Nel film, il prototipo del dispositivo viene celato con un lenzuolo e poi svelato con grande teatralità. Per i fan della console originale la rivelazione sarà un momento importante, ma è improbabile che si sia svolta nel modo in cui è stata rappresentata nella pellicola: “Presumibilmente è avvenuta in un ufficio in modo più modesto – spiega Pink –, ma è una piccola modifica in grado di suscitare una grande emozione per un oggetto che tutti riconosciamo“.

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Serie tv: i migliori personaggi del 2022

Author: Wired

Tra i personaggi memorabili delle serie tv recenti non ci sono eroi immacolati, né paladini della società, o caratteri inequivocabilmente positivi e nessuna figura che possiamo far rientrare nei ranghi del cittadino esemplare conforme al limitato decoro della maggioranza. Sono tutti outsider, tipi bizzarri, ribelli, pieni di idiosincrasie e “diversi” che si stagliano visibilmente dalla massa eppure sono stati in grado di sedurre il pubblico mainstream, ovvero quelli che nella realtà li disprezzano, ghettizzano o addirittura bullizzano quotidianamente. Con l’eccezione di uno, sono tutte figure inedite delle serie tv che hanno debuttato sulle piattaforme di streaming quest’anno in produzioni nuove o show “ritornanti”. Ecco chi sono, secondo noi, i personaggi migliori delle serie tv del 2022.