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La storia della Striscia di Gaza

Author: Wired

In quella zona si erano insediati i profughi palestinesi scappati a causa della guerra arabo-israeliana del 1948. Il Cairo è stato responsabile della Striscia fino al 1967, quando durante la cosiddetta Guerra dei sei giorni Israele è riuscito a occuparla. Il conflitto vedeva contrapposti Egitto e Siria contro Israele, che in quell’occasione si è rivelato capace di respingere i nemici fino a conquistare nuovi territori, tra cui anche una parte della Cisgiordania.

Gli accordi di Oslo

La presenza israeliana nella Striscia di Gaza è durata fino al 2005 quando, sotto la pressione della comunità internazionale, il premier israeliano Ariel Sharon ha ritirato le forze militari e gli insediamenti coloniali sviluppati nei quarant’anni di occupazione. Come stabilito dagli accordi di Oslo del 1993, Gaza avrebbe dovuto essere controllata dall’Autorità nazionale palestinese (Anp), con la quale Tel Aviv aveva stretto il patto. Nel 2006, però, a vincere le elezioni nella Striscia è stato il partito armato islamista Hamas. Questo evento ha portato Israele a imporre, nel 2007, l’embargo dei cieli e del mare palestinesi e il controllo di persone e beni in entrata e in uscita. In questo modo, Tel Aviv ha ottenuto un forte impoverimento della zona e un deterioramento dei servizi essenziali.

Come spiega oggi la Nbc, la Croce rossa internazionale ha dichiarato illegale l’embargo in quanto “punizione collettiva per le persone che vivono nella Striscia di Gaza”. Ciò costituisce una violazione della quarta Convenzione di Ginevra, che ha lo scopo di proteggere i civili che si trovano in mano nemica o in territorio occupato. Se i civili della Striscia sono messi in difficoltà dai blocchi israeliani, anche l’Egitto fa la sua parte: il Cairo ha più volte chiuso i suoi confini ai gazawi. Una piccola parte di loro esce dall’enclave palestinese ogni giorno per andare a lavorare in Israele, ma una volta finito il turno il rientro è obbligatorio. Agli altri cittadini della Striscia non è permesso varcare i confini se non in casi estremi, come ad esempio il bisogno di cure. Lo scorso anno l’organizzazione non governativa Human rights watch ha definito Gaza “una prigione a cielo aperto”.

Con le sue restrizioni sulla Striscia, Israele voleva indebolire Hamas. Tuttavia, il provvedimento ha sortito l’effetto contrario: la rabbia sociale è cresciuta sempre più, inducendo un’ampia parte della popolazione gazawa (mediamente molto giovane) a vedere nell’organizzazione terroristica l’unica alternativa alla violenza israeliana e all’incapacità politica dell’Anp.

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Tutti i paesi che corteggiano Tesla

Author: Wired

L’Arabia saudita e Tesla hanno avviato una trattativa per aprire una fabbrica di auto elettriche nel regno. A dare la notizia sono alcune fonti informate del Wall Street Journal, per le quali l’avvicinamento saudita all’azienda fondata da Elon Musk è parte dell’ambizioso piano di Riyadh di diversificare il suo modello economico, troppo “schiacciato” sulla produzione e sulla vendita del petrolio.

L’Arabia saudita, tuttavia, non è l’unico paese a voler ospitare gli impianti di produzione delle auto elettriche Tesla. Oggi le fabbriche di Tesla nel mondo sono sei. La settima è in fase di costruzione in Messico e, stando alle parole di Musk, l’azienda vorrebbe individuare entro la fine dell’anno il luogo adatto per realizzare un nuovo sito di produzione.

Arabia saudita, Turchia e India

Il Sole 24 Ore spiega che i colloqui appena iniziati potrebbero però concludersi anche con un nulla di fatto dato che, in Arabia Saudita, Tesla si ritroverebbe a competere direttamente con l’azienda rivale Lucid Group, con la quale il regno intrattiene una partnership commerciale.

Poche ore prima della diffusione di questa notizia da parte del Wall street journal, inoltre, il fondatore di Tesla Elon Musk ha incontrato il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan. I due si sono visti alla Turkish House di New York, situata a poca distanza dal Palazzo di vetro delle Nazioni Unite, dove Erdogan è atteso per partecipare alla 78esima sessione dell’Assemblea generale Onu. Stando ai primi dettagli emersi, durante l’incontro Erdogan avrebbe chiesto a Musk di aprire una fabbrica di Tesla in Turchia.

Se da una parte l’Arabia saudita ha offerto a Tesla l’accesso al rame e al cobalto della Repubblica democratica del Congo (con cui il regno ha avviato alcune trattative per assicurarsi queste materie prime); dall’altra Ankara ha provato a corteggiare Musk mostrandosi interessata anche a una cooperazione nel campo dell’intelligenza artificiale e alla cessione delle licenze per far funzionare il sistema satellitare Starlink in Turchia.

Per ora, sembra che a spuntarla sia proprio Ankara. Al termine dell’incontro con Erdogan, Elon Musk ha infatti affermato che la Turchia “è tra i maggiori candidati per la costruzione del nuovo sito di produzione di Tesla. Ad agosto, tuttavia, Reuters riportava il fatto che Tesla volesse costruire una fabbrica di auto elettriche low cost in India. Musk ha in agenda anche un incontro in California con il presidente israeliano Benjamin Netanyahu. I due dovrebbero discutere prevalentemente di intelligenza artificiale.