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Green economy: di cosa parliamo

Author: Wired

Negli ultimi anni l’economia si sta pian piano impegnando a minimizzare il proprio impatto sul mondo, aumentando l’attenzione per l’ambiente e, più in generale, per il pianeta. È il fenomeno della cosiddetta green economy, ormai divenuta anche per l’opinione pubblica una strada maestra da seguire.

Le cose da sapere:

  1. Che cos’è la green economy
  2. Nuovo modello di sviluppo
  3. Nuovi lavori
  4. Gli obiettivi sostenibili dell’Onu

Pannelli solari in FranciaCome usare i parcheggi per produrre energia solare

In Francia il Senato ha approvato una proposta che prevede l’installazione di pannelli solari nei grandi parcheggi, che assicurerebbe più energia rinnovabile nelle aree urbane

Che cos’è la green economy

Come riportato in una comunicazione sul sito del dipartimento per le Politiche estere, secondo l’enciclopedia Treccani l’economia verde è il “modello teorico di sviluppo economico che prende in considerazione l’attività produttiva valutandone sia i benefici derivanti dalla crescita, sia l’impatto ambientale provocato dall’attività di trasformazione delle materie prime”.

In particolare – si legge ancora – l’economia verde è una forma economica in cui gli investimenti pubblici e privati ​​mirano a ridurre le emissioni di carbonio e l’inquinamento, ad aumentare l’efficienza energetica e delle risorse, a evitare la perdita di biodiversità e conservare l’ecosistema”. 

In buona sostanza, per questo nuovo modello di sviluppo, l’obiettivo finale non è soltanto quello legato alla produzione, ma anche al tipo di conseguenze che essa può avere sull’ambiente. La green economy rappresenta quindi un investimento sul futuro sia da parte dei privati, sia da parte dello Stato, che interviene con finanziamenti pubblici.

Il più grande giacimento di terre rare europeo è stato scoperto in SveziaIn Svezia è stato scoperto il più grande giacimento europeo di terre rare

L’annuncio arriva dal gruppo minerario scandinavo Lkab, secondo le cui stime i depositi conterrebbero più di un milione di tonnellate di questi preziosi minerali

Nuovo modello di sviluppo

Proprio questa sinergia, alimentata da politiche governative utili a favorire una maggiore attenzione all’ambiente con proposte adeguate al luogo fisico in cui un’azienda è ubicata, è la chiave per favorire una piena attuazione di questo processo: il governo non può limitarsi solo a mettere paletti alle imprese, ma deve anche stimolare e incentivare comportamenti virtuosi che possano davvero portare a una produttività e a una crescita sostenibili.

Da questo punto di vista, crescita economica e rispetto per l’ambiente sono tutt’altro che antitetici. Pensando per esempio alle materie prime, è facile immaginare come un loro utilizzo sconsiderato possa portare a un impoverimento delle risorse. Avere meno risorse a disposizione fa sì che il loro costo aumenti e generi, parallelamente a un danno ambientale, anche un danno economico.

fotovoltaicoDal Mit arriva il “foglio” che rende fotovoltaica qualsiasi superficie

I ricercatori del Massachusetts Institute of Technology hanno sviluppato un pannello solare spesso quanto un foglio di carta: basta “srotolarlo” su un tetto per renderlo fotovoltaico

Nuovi lavori

Uno dei vantaggi generati dall’economia verde è senza dubbio la creazione di nuovi particolari posti di lavoro, i green jobs. Si tratta, per esempio, di impieghi nei settori dell’agricoltura, della manifattura, della produzione di energie rinnovabili, nonché in campi come la bioarchitettura e il riciclo.

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Protocollo di Kyoto: perché è stato fondamentale, 25 anni dopo

Author: Wired

La Convenzione quadro, come anticipato, riconosceva le particolari necessità dei Paesi in via di sviluppo, con il senso di non ostacolarne la crescita economica. L’allegato 1 contiene un elenco di Paesi che, sulla base dell’articolo 12, sarebbero stati tenuti a trasmettere regolari report in cui elencare le misure adottate per la riduzione dei gas serra. Si tratta, essenzialmente, dei Paesi industrializzati (tra cui l’Italia) assieme a quelli dell’ex blocco sovietico (la neonata Federazione russa e i paesi del fu Patto di Varsavia), che ai tempi erano correntemente definiti “secondo mondo” per la presenza di un’industria in qualche modo avviata. Il principio cardine, che caratterizzerà tutti i negoziati climatici a seguire seppur con diverse gradazioni, è che i Paesi industrializzati sono riconosciuti come principali responsabili delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera. Importante rilevare come manchino – e sarà un fatto rilevante fino a oggi – grandi Stati come Cina, India e Brasile.

article imageComprare e vendere permessi per emettere CO2 rende sempre di più

Nel 2050 potrebbero generare mille miliardi di dollari all’anno. Per questo alla Cop27, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite in Egitto, gli Stati puntano a trovare un accordo per regolare i mercati internazionali. Le sfide aperte ai negoziati

Il protocollo di Kyoto

Nel 1995, i partecipanti all’Unfccc si incontrano a Berlino alla prima Conferenza delle parti sul clima (Cop1) allo scopo di definire i principali obiettivi riguardo alle emissioni serra. Arriviamo quindi al 1997, quando, l’11 dicembre a Kyoto, viene firmato il protocollo omonimo, che fissava piani di riduzione delle emissioni per 37 Paesi industrializzati e con economie in fase di transizione. Si tratta dei Paesi inclusi nell’allegato B, elenco che rispecchia sostanzialmente la lista della Convenzione del 1992. 

Il trattato prevedeva l’obbligo di ridurre le emissioni di sei gas serra (anidride carbonica, metano, ossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo). La caratteristica principale del protocollo di Kyoto è che stabilisce obiettivi vincolanti e qualificati: ridurre le emissioni di almeno il 5% rispetto a quelle del 1990 nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012. 

Il protocollo di Kyoto sarebbe enetrato in vigore il 16 febbraio 2005: perché il meccanismo scattasse, si richiedeva la ratifica da parte di non meno di 55 stati firmatari e che gli Stati che lo avessero ratificato producessero almeno il 55% delle emissioni inquinanti globali. Condizione, quest’ultima, raggiunta solo nel novembre del 2004, con il perfezionamento dell’adesione da parte della Russia. 

Il protocollo di Kyoto prescrive che la riduzione debba avvenire essenzialmente tramite misure nazionali, ma prevede anche una serie di  meccanismi basati sul mercato, i cosiddetti “meccanismi flessibili. Si può dire che nella città giapponese sia stato “inventato” il mercato del carbonio che sarebbe poi stato perfezionato a Marrakech nel 2001 e da lì fino a Glasgow. I “meccanismi flessibili” sono tre: meccanismo di sviluppo pulito, implementazione congiunta e scambio delle emissioni.

Attivisti chiedono fondi per il loss and damage tra i padiglioni di Cop27A Cop27 arriva l’accordo per risarcire i danni della crisi del clima

Unione europea e blocco africano fanno la differenza ai tavoli negoziali. Storico via libera al fondo sui loss and damage. Per il resto si fanno pochi passi in avanti e si rimane fermi a un anno fa. Pesa il ruolo della lobby delle fonti fossili

Successi e critiche

Sicuramente il protocollo di Kyoto ha rappresentato un passaggio fondamentale per la politica climatica – afferma Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano e membro fondatore del centro studi Italian Climate Network -. Di fatto, è stato il primo momento in cui i grandi emettitori si sono assunti impegni di riduzione delle emissioni“. 

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Plastica, un trattato internazionale per bloccare la piaga

Ecco perché il trattato dovrà comprendere un limite alla produzione di plastica, come ha sottolineato un gruppo internazionale di scienziati sulla rivista Science dopo la pubblicazione della bozza di risoluzione dell’Onu. “Faremo pressioni per un tetto obbligatorio e vincolante alla produzione – dice Jane Patton, responsabile delle campagne su plastica e prodotti petrolchimici del Center for international environmental law, che prenderà parte ai colloqui –, e per cambiare il modo in cui la plastica viene prodotta, per eliminare le sostanze chimiche tossiche dalla produzione e dalla catena di approvvigionamento“.

In effetti, la bozza di risoluzione chiede di intervenire sull'”intero ciclo di vita” della plastica, dalla produzione allo smaltimento. Ma sarà il tempo a dirci se i negoziatori riusciranno a raggiungere un accordo su un tetto massimo. L’ideale sarebbe concordare un limite vincolante internazionale, ma è anche possibile che i singoli paesi decidano di assumersi impegni a livello locale.

Anche l’introduzione di un limite ridotto potrebbe gettare le basi per vincoli sempre più ambiziosi. Melanie Bergmann, ricercatrice sulle microplastiche presso l’Alfred Wegener institute e coautrice dell’articolo pubblicato su Science, sostiene che una diminuzione dell’offerta di plastica potrebbe finalmente rendere il riciclaggio più sostenibile. “Una riduzione della produzione di nuove materie plastiche dovrebbe far aumentare anche il prezzo e la domanda di plastica riciclata, in modo che il riciclo diventi davvero economico – spiega Bergmann, che parteciperà ai colloqui dell’Onu–, perché al momento è più conveniente produrre plastica da materie prime fossili che da fonti riciclate“.

I pericoli per la salute

Altri scienziati chiedono che al centro delle trattative vengano messi i componenti chimici della plastica, allo scopo di negoziare un divieto di alcuni composti o polimeri particolarmente tossici. Secondo uno studio, delle oltre 10mila sostanze chimiche che sono utilizzate in varie forme di plastica, come il pvc o il polistirene, un quarto è costituito da sostanze pericolose, vale a dire agenti tossici già conosciuti o materiali che si accumulano e rimangono negli organismi e nell’ambiente. Dal punto di vista umano, tra gli elementi più nocivi ci sono le sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino, o Edc, che sono piuttosto comuni. Anche a dosi molto basse, possono causare gravi problemi di salute e sono stati associati a tumori e problemi ormonali. Uno studio condotto all’inizio di quest’anno riporta che i ftalati, sostanze chimiche contenute nella plastica, sono collegati a 100mila morti precoci all’anno negli Stati Uniti, una stima peraltro molto conservativa.

Source: wired.it