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Hogwarts Legacy non ha niente di buono

Author: Wired

Quando Hogwarts Legacy fu annunciato per la prima volta, mi sono tenuta alla larga dalle notizie. Non volevo vedere il gameplay, né tantomeno rimanere colpita dai trailer. Li ho evitati come la peste perché temevo che sarei stata combattuta, che avrei visto un gioco capace di cogliere la magia dei libri e che il mio cuore mi sarebbe balzato fuori dal petto. Avevo paura di vedere la sontuosa grafica dei film ricreata su un hardware da gaming moderno, in 4K e full Hdr. Temevo di dover dire alla me dodicenne che non poteva giocarci e di doverle spiegare il motivo. Così, quando ho ricevuto un codice per Hogwarts Legacy, mi sono preparata psicologicamente.

Quando casa non è più casa

Pensavo che in questa sezione avrei dedicato molto tempo a spaccare il capello in quattro, passando in rassegna tutte le mie rimostranze su come il gioco si discosti dal materiale di partenza, su quanto sembri datato e su come ogni personaggio ricordi un robot animatronico che aspetta solo che inseriate una monetina per poter pronunciare la sua unica riga di dialogo ed esibirsi in una lugubre e strampalata imitazione di un essere vivente. Ma non ci sono capelli da spaccare, perché nel gioco non c’è niente che si salvi.

Più tempo trascorrevo in questa versione di Hogwarts, più avvertivo un’assenza tangibile, la netta sensazione che mancasse qualcosa. Ho pensato che la colpa fosse della direzione artistica poco brillante, dei personaggi mono-dimensionali che sembrano versioni sottomarca di quelli che conosciamo e amiamo, o ancora della vistosa mancanza dell’iconica colonna sonora di John Williams. Ma c’è un’assenza ancora più grave.

Questo gioco ha un buco nel posto in cui dovrebbe esserci il cuore. All’inizio non si nota. Bisogna prima prendere confidenza, smettere di cercare le cose che ci sono e iniziare a prestare attenzione a quello che invece non c’è. Manca un senso di familiarità. Il mondo è inanimato. I modelli dei personaggi e le animazioni facciali sono lì ma allo stesso tempo, in qualche modo, sono assenti. I personaggi sono animati, ma di sicuro non sembrano vivi.

La storia, oltre a essere radicata nell’antisemitismo (una “cabala” globale cerca di porre fine alla schiavitù, ma questo è un male perché agli schiavi piace essere schiavi), non è nemmeno avvincente. È un’opera confusa, un campo minato di domande senza risposta e motivazioni che non vengono spiegate. E a questo proposito, i personaggi spesso dichiarano apertamente le motivazioni alla base delle loro azioni, ma non sembrano credibili e nemmeno particolarmente coerenti. Dice di essere Hogwarts, ma non sembra Hogwarts. Anche andando al di là delle polemiche che hanno coinvolto Rowling, il gioco dà l’impressione di essere stato messo insieme per sfruttare la smania nostalgica dei fan, senza che ci stata alcuna attenzione a renderlo effettivamente meritevole di essere giocato.

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Rocket League, c’è chi usa i bot per barare

Author: Wired

L’azienda dietro a Rocket League,Psyonix (che fa parte di Epic Games), permette ai giocatori di usare dei bot per allenarsi. Nel 2020 ha reso disponibile un’interfaccia di programmazione delle applicazioni (Api) per aiutare gli sviluppatori a creare bot più facilmente. Lo scorso aprile, un gruppo di appassionati del videogioco con competenze di programmazione ha presentato RlGym, una libreria open source per la costruzione di bot per Rocket League basati sull’apprendimento rinforzato. Il gruppo ha poi lanciato diversi bot Ai open source, tra cui un dribblatore particolarmente abile chiamato Nexto.

Rolv, un membro del collettivo che ha costruito Nexto, che ha fornito solo il nome di battesimo e ha dichiarato di lavorare nel campo dell’intelligenza artificiale, ha spiegato che i bot Ai non sono stati progettati per essere utilizzati nel gaming competitivo, ma solo come avversari per gli allenamenti. A quanto pare però qualcuno ha hackerato Nexto per farlo giocare al posto di un essere umano. Rolv racconta che il collettivo ha in cantiere diversi bot più avanzati, tra cui uno in grado di imparare osservando il gioco umano. Il gruppo ora sta prendendo in considerazione di non lanciare i nuovi e più potenti bot per evitare che qualcuno ne abusi per imbrogliare, come è successo con Nexto.

Le reazioni

Sergey Levine, professore della UC Berkeley che studia l’apprendimento per rinforzo, sostiene che la vicenda che oggi sta turbando i più importanti giocatori di Rocket League riflette la rapidità con cui gli strumenti di intelligenza artificiale diventano più accessibili. Levine aggiunge che si potrebbe utilizzare l’apprendimento automatico per individuare bot come Nexto, ma che si tratta ancora di una scienza emergente.

Un altro sviluppatore di bot per Rocket League, che conosce gli sviluppatori di Nexto, sottolinea che il gioco rappresenta una sfida affascinante dal punto di vista dell’Ai. Per avere una possibilità di vittoria contro gli esseri umani, i bot devono prevedere il risultato delle azioni con molti secondi di anticipo. “Nexto ha già capacità sovrumane in alcune situazioni – dice lo sviluppatore, che ha rifiutato di comunicare il suo vero nome ma che su Discord si fa chiamare Zealan –. Credetemi, tra un paio d’anni su Rocket Leagueci saranno bot di altissimo livello“.

Epic Games ha rifiutato di fornire un commento a Wired US, ma ha dichiarato a PC Gamer che l’azienda è al lavoro per individuare e bloccare i bot come Nexto. Questo potrebbe però dare il via a un circolo vizioso, in cui chi cerca di barare inizierà a utilizzare bot più avanzati e metodi più complessi per evitare il rilevamento, e l’azienda risponderà a sua volta con nuove contromisure. Psyonix ha diffuso un comunicato in cui afferma di aver espulso diversi account che avevano utilizzato il bot e di aver introdotto una nuova modalità che permette agli utenti di segnalare sospetti imbrogli, oltre a nuove contromisure.

Wilen sostiene che il problema potrebbe diventare più urgente nel caso in cui il bot impari a lanciarsi in aria con la palla: “Ho sentito dire che succederà presto, e quando questo accadrà non sarà divertente per gli altri giocatori di Rocket League“.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.

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Riot Games: da League of Legends ad Arcane, come si è evoluta la compagnia

Author: Wired

La storia di Riot Games è quella di un incredibile successo nel mondo videoludico. Partendo da un singolo, semplice gioco, quest’azienda americana ha costruito un impero oggi in grado di rivaleggiare con le più grandi compagnie del settore. Tutto è partito dall’idea di League of Legends nel 2006, quando Marc Merril e Brandon Beck fondarono la compagnia. Oggi League of Legends (abbreviato in LoL) è uno dei titoli multiplayer più giocati al mondo, con oltre 180 milioni di utenti attivi secondo le statistiche di settembre 2022, e indubbiamente è il re dei titoli dedicati agli eSports, le competizioni professionistiche tra videogiocatori. 

Riot Games avrebbe potuto tranquillamente proseguire su questa via dedicandosi soltanto a curare la sua gallina dalle uova d’oro, ma ha scelto invece di espandersi e ampliare la sua offerta, proponendo ad esempio un nuovo sparatutto a squadre, Valorant, e persino dei giochi dedicati puramente al single player come Ruined King, un gioco di ruolo basato sulla storia di League of Legends, a cui faranno presto seguito molti altri titoli simili. 

Ma Riot non si è fermata solo al mondo dei videogiochi, colonizzando anche quello della musica, con il suo gruppo virtuale K/DA, formato da quattro protagoniste di LoL che suonano l’ormai popolare genere del K-pop (il gioco è famosissimo in Corea del Sud), nonché il mondo dell’animazione, con la splendida serie Arcane, che è uscita lo scorso anno su Netflix e ha saputo conquistare anche il pubblico dei non giocatori, grazie a delle animazioni incredibili e una storia appassionante. Di tutto questo abbiamo avuto il piacere di parlare con Marc Merrill, uno dei due fondatori di Riot Games e oggi presidente della compagnia.

Dagli inizi al successo negli esports

La nascita di Riot Games risale al 2006, quando Marc Merrill e Brandon Beck decisero che avrebbero fondato una compagnia di videogiochi diversa dal solito. In quell’epoca il modello di business delle aziende che si occupavano di videogiochi era pensato per confezionare il prodotto e poi darlo in mano ai distributori, senza una diretta connessione tra chi creava il gioco e chi lo acquistava. Marc e Brandon lavoravano già nell’industria dei videogiochi, oltre a essere anche degli avidi videogiocatori. Da tempo pensavano di buttarsi nell’industria con un proprio progetto che sostenesse un modello in grado di parlare direttamente agli utenti e, dopo molto lavoro, finalmente iniziò a concretizzarsi un business plan, quello che sarebbe poi diventato Riot Games.