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I più spaventosi videogiochi horror liminali

Author: Wired

Il mondo dei videogiochi horror è un universo a sé stante, in cui gli sviluppatori amano molto sperimentare. Grazie all’elemento interattivo il genere horror funziona davvero bene, facendo provare molta più paura e ansia rispetto a un semplice film.

Negli ultimi anni si è andata a creare una sorta di nuovo sottogenere nel campo degli horror basato sugli spazi liminali. Uno spazio liminale è solitamente inteso come un luogo di transizione, come potrebbe essere un corridoio o una strada, ma nella loro versione horror questi spazi vengono posti in un contesto dove appaiono in maniera surreale generando un senso d’inquietudine. Questo senso di tensione si genera quando un luogo normale della vita quotidiana viene presentato in un contesto che non gli appartiene, ad esempio un edificio pieno di uffici vuoti, magari con le luci che vanno a intermittenza. Gli horror liminali dunque si concentrano più sul senso d’inquietudine del luogo che su una creatura mostruosa, anche se queste non sono escluse dal contesto.

Il dilagare degli horror liminali è iniziato nel 2019 su internet, quando una creepypasta, ossia una leggenda metropolitana nata su internet (un po’ come il caso del famoso Slenderman), è stata postata sul popolare sito 4Chan mostrando un’inquietante immagine di un corridoio vuoto con tappeti gialli e carta da parati, con una descrizione che spiegava che se si fosse usato nella vita reale il noclipping (termine usato nei videogiochi: spesso indica un comando che permette di attraversare qualsiasi oggetto con la possibilità di finire fuori dallo spazio di gioco), si sarebbe finiti in una zona di corridoi e stanze vuote che coprono un’area di milioni di chilometri. Questo post ha portato alla creazione, su Reddit, di una comunità di oltre 500 mila utenti, che inviano quotidianamente foto di luoghi da horror liminale, e ha inoltre generato un altro fenomeno: quello delle Backrooms.

Le Backrooms si ispirano al creepypasta descritto poco fa e consistono più precisamente in un labirinto di grandezza indefinita di stanze tutte uguali simili a quelle di un hotel, con carta da parati ingiallita, un pavimento con una moquette umida e luci che ronzano continuamente. Ben presto questo concetto base è stato espanso dalla community, creando storie dell’orrore e inventando creature dell’incubo che abitano queste aree.

Ovviamente dei concept così interessanti hanno coinvolto anche il mondo dei videogiochi e ben presto sono nati diversi titoli horror liminali basati su queste idee, specialmente nel mondo degli indie. In realtà, nel mondo videoludico è da tanto che esiste il concept di un luogo all’apparenza normale, ma che pian piano si trasforma in qualcosa di inquietante; basti pensare alla saga di Silent Hill o anche al bellissimo P.T. di Hideo Kojima, demo giocabile che in realtà avrebbe dovuto essere un nuovo gioco di Silent Hill realizzato in collaborazione con Guillermo Del Toro, progetto poi abbandonato quando il game designer lasciò Konami.

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I migliori controller per Xbox e pc per videogiocare ovunque e a 360 gradi

Author: Wired

Ormai sono sempre più i controller per Xbox e pc compatibili per entrambe le piattaforme, cosa che rende i possessori della console Microsoft avvantaggiati dato che non hanno bisogno di spendere ulteriormente per un pad appositamente pensato per il proprio computer. Ovviamente questo è valido soprattutto se si è sotto sistema operativo Windows, che essendo sempre di Microsoft offre piena compatibilità con tutti i controller nativi di Xbox.

Non tutti però hanno una console della famiglia Xbox o un pc con sistema operativo Windows, oppure desiderano semplicemente un secondo controller per giocare insieme a un amico o a un membro della propria famiglia. Ci sono anche giocatori che esigono di più di un pad classico andando su quelli maggiormente personalizzabili. Sono infatti moltissimi sul mercato i controller per pc e Xbox disponibili, e sceglierne uno di buona qualità in base alle vostre esigenze potrebbe essere più complesso di quanto si possa pensare. Non basta infatti che abbia la forma di un tipico controller per le console Microsoft, ma bisogna anche essere sicuri che abbia le licenze ufficiali e che sia costruito con tutti i criteri e i materiali giusti. Per questo motivo abbiamo deciso di consigliarvi alcuni dei migliori controller per Xbox e pc per giocare in serenità su entrambe le piattaforme.

Come scegliere un buon controller per Xbox e pc

Molti giocatori scelgono di giocare su pc con un controller per comodità, dato che sono ormai molti i titoli pensati appositamente per questo sistema di controlli rispetto ai vecchi mouse e tastiera. Se questa accoppiata resta imbattibile negli sparatutto o negli strategici, quando si tratta di un gioco d’azione o uno sportivo il controller è la scelta migliore. Ci sono però diverse caratteristiche da tenere a mente quando si seleziona un pad, queste valgono sia per Xbox che per pc.

  • Innanzitutto, la compatibilità è fondamentale. Se si intende utilizzare il controller su entrambi i sistemi, sia su pc che su Xbox, è importante optare per un modello che sia compatibile con entrambi. Generalmente è ormai facile trovare un controller che vada bene per entrambe le piattaforme, i più indicati sono quelli prodotti da Microsoft stessa, ma esistono molti altri modelli adatti a tutte e due i sistemi. Solitamente se un controller funziona su Xbox allora funzionerà anche su pc.
  • Un’altra caratteristica importante è la qualità dei materiali e dell’ergonomia del controller. Ciò è particolarmente importante per coloro che giocano per lunghe sessioni, poiché un controller poco ergonomico può provocare affaticamento e disagio alle mani. Tenete dunque sempre presenti le dimensioni e la forma delle impugnature per capire se è adatto a voi. Inoltre, una buona qualità dei materiali può garantire una lunga durata del controller, che potrebbe resistere a cadute e urti.
  • I giocatori più esperti potrebbero inoltre tenere conto della personalizzazione di un controller. Esistono infatti controller modificabili a seconda delle esigenze dell’utente, magari cambiando gli stick analogici, i grilletti dorsali oppure aggiungendo pulsanti extra. Solitamente queste opzioni servono soprattutto a chi gioca titoli competitivi e ha bisogno di esigenze particolari per dare il massimo.
  • Anche la tipologia di connessione del controller è molto importante. Questi possono essere infatti cablati o wireless, funzionanti tramite batteria o bluetooth. I cablati sono più adatti a chi non vuole spendere per le batterie e anche per chi gioca in titoli competitivi, data la miglior risposta dei comandi (si tratta comunque di centesimi di secondo). Chi invece non vuole avere cavi che possono dare fastidio potrebbe optare per un controller wireless. Se si sceglie uno con la batteria bisognerà verificare quanto questa durerà per evitare di rimanere a secco nel punto cruciale del proprio videogioco preferito. Se è possibile è sicuramente meglio optare per una soluzione bluetooth, anche se solitamente è più costosa.

Come li abbiamo scelti

Abbiamo selezionato alcuni dei controller maggiormente affidabili, puntando a marche che garantiscono una buona qualità. Abbiamo poi tenuto conto delle varie tipologie e delle fasce di prezzo, così da inserire prodotti che si adattino a vari tipi di utente.

Per gli appassionati di videogiochi in cerca di accessori, abbiamo inoltre radunato tanti altri gadget, come ad esempio le migliori cuffie con cavo da gaming oppure le migliori soundbar da gaming da utilizzare con console e pc.


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Videogiochi, lo streaming sta uccidendo le fiere

Author: Wired

Ma grazie a piattaforme di streaming come Twitch e YouTube, le aziende di videogiochi ora hanno la possibilità di offrire ai consumatori notizie dal vivo e online in contemporanea, senza bisogno dell’intermediazione di società di pubbliche relazioni o giornalisti. Nintendo, per esempio, ha perfezionato questa modalità con Nintendo Direct, una serie di eventi di marketing pre-registrati e molto controllati. Allo stesso modo, lo show estivo di Keighley, costruito in un periodo in cui non era possibile far incontrare le persone in sicurezza, è concepito come un evento digitale che può svolgersi senza la necessità della presenza fisica. Con le società di videogiochi che organizzano i propri eventi e la crescente presa di Keighley sul settore dello streaming, frutto della popolarità dei Game Awards, l’E3 è diventato un appuntamento perlopiù superfluo.

Perdita di centralità

Anche prima che gli organizzatori dell’E3 iniziassero cancellare le prime edizioni dell’evento a causa dei timori per il Covid-19, la partecipazione alla fiera era in calo. Negli anni precedenti, celebrità come Keanu Reeves, Aisha Tyler e Pelè erano intervenuti per raccontare il loro coinvolgimento in diversi giochi. In un’occasione, il leggendario creatore di videogiochi Shigeru Miyamoto aveva brandito una Master Sword di The Legend of Zelda: Twilight Princess. Addirittura registi acclamati come Steven Spielberg e James Cameron avevano fatto brevi apparizioni sul palco. Ma niente di tutto questo sembrava possibile per l’edizione del 2023, dato che Sony, Xbox, Nintendo, Ubsifot, Sega e Tencent avevano tutte rinunciato a prendere parte all’E3 nelle settimane precedenti all’evento di quest’anno, scegliendo di concentrarsi su presentazioni tenute altrove.

Naturalmente, l’Esa ha cercato di raddrizzare le sorti dell’evento. Nel 2022 l’organizzazione ha annunciato che ReedPop, una società che gestisce eventi come lo Star Wars Celebration e il New York Comic Con, avrebbe rinnovato l’E3 in tempo per l’edizione di quest’anno. A quanto pare, però, era già troppo tardi. Il vicepresidente globale del settore giochi di ReedPop, Kyle Marsden-Kish, ha dichiarato a Wired US che gli organizzatori “hanno dovuto fare ciò che è giusto per l’industria e per l’E3“.

Anche se ufficialmente l’Esa non ha comunicato la fine definitiva dell’E3, la cancellazione a soli due mesi dall’inizio dell’evento, che non avrà nemmeno una componente digitale, non è un un buon segno. Forse però l’evento ha fatto il suo tempo. Gli incontri fisici in cui le persone del settore possono fare rete e parlare della creazione dei videogiochi avranno sempre un valore. Ma questo non è mai stato il punto di forza dell’E3, un evento di marketing che da anni lotta contro la sindrome di Peter Pan. La fiera ha sempre dato la sensazione di essere un parco giochi per adulti, in cui la parte “seria” era relegata alle sale interviste.

In un momento in cui l’industria sta diventando sempre più critica nei confronti del modo in cui i giochi vengono realizzati – chi li produce, chi è autorizzato a farlo e a quali condizioni – la sua tolleranza nei confronti di un hype fuori dal proprio controllo si sta riducendo. Gli editori hanno acquisito dimestichezza con gli strumenti che consentono loro di raggiungere il pubblico senza interferenze. Ormai la forza dell’E3 non è più rappresentata dall’evento in sé, ma piuttosto da quello che gli organizzatori riusciranno a ottenere dalla sua eredità sfruttando il potere del suo nome.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.

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Netflix, i videogiochi rischiano di essere un buco nell’acqua

Author: Wired

Netflix vuole soddisfare le esigenze di ogni tipo di gamer. La società di streaming, anzi, ha fissato l’ambizioso obiettivo di “diventare la piattaforma con cui gli sviluppatori di tutto il mondo vogliono lavorare”, come spiega Leanne Loombe, responsabile della sezione External Games, che ha appena un anno di vita. Finora Netflix ha pubblicato cinquantacinque giochi, tutti per dispositivi mobili, tra cui titoli basati su serie popolari come Stranger Things o il dating show Too Hot to Handle o quelli basati su serie consolidate come Tomb Raider e Kentucky Route Zero.

L’azienda ha anche acquisito sviluppatori come il creatore di Oxenfree, Night School Studios, e ha aperto una divisione interna per lo creazione di videogiochi. “I giochi sono una delle più grandi forme di intrattenimento esistenti. È davvero un’estensione naturale della nostra piattaforma, da includere nei piani dei nostri abbonati”, ha dichiarato Loombe in occasione di un recente incontro con la stampa. Tuttavia, le grandi aziende tech che si sono interessate al gaming negli ultimi anni, tra cui Google e Amazon, hanno imparato a loro spese che non basta investire a rotta di collo per raccogliere immediatamente i frutti. I videogiochi riusciti richiedono investimenti in termini di tempo e talento. Microsoft, Sony e Nintendo poi esercitano controllano da oltre dieci anni un mercato che probabilmente è già saturo. Ad agosto dello scorso anno, un misero un per cento degli abbonati a Netflix si è cimentato con i suoi giochi.

I videogiochi sono più difficili da vendere rispetto alle serie o ai film, dal momento non permettono di rilassarsi e essere fruiti in modo passivo: è necessario impegnarsi e interagire. Accedere ai titoli sulla piattaforma non è semplicissimo e alcuni giochi non possono essere apprezzati senza dover affrontare prima un processo di apprendimento. Netflix sta lavorando a una propria tecnologia di streaming su cloud (simile alla  ormai defunta Stadia di Google e a GeForce Now di Nvidia), ma per il momento rimane concentrata su una nicchia specifica del mercato: quella mobile.

La società, inoltre, non deve solo affrontare la concorrenza da parte di servizi come TikTok o Twitter, ma ha anche il problema della visibilità dei suoi giochi, che sono disponibili solo tramite l’app mobile. Per cimentarsi con un titolo, gli abbonati devono prima lasciare la piattaforma, andare su App Store o su Play Store e scaricare il gioco. Secondo Loombe, questo processo non verrà snellito in tempi brevi: “Non abbiamo ancora dei piani che possiamo condividere al momento ma, come si può immaginare, vogliamo che i giochi di Netflix siano accessibili su tutti i dispositivi”. Durante l’incontro con la stampa, Loombe non ha risposto a domande specifiche circa numero di utenti che usano la piattaforma per giocare: “Siamo molto soddisfatti dei dati riscontrati finora, ma non siamo al punto di poterci aspettare che il 100 per cento dei nostri abbonati giochi”.

Netflix prevede di pubblicare altri quaranta giochi nel 2023 e Loombe aggiunge che l’azienda ne ha altri settanta in fase di sviluppo con i suoi partner e che gli sviluppatori interni stanno lavorando ad altri sedici. L’azienda continua a puntare anche su giochi già affermati, tra cui l’acclamato Monument Valley di Uswo, e il suo sequel, che dovrebbero essere lanciati nel 2024. In ogni caso, è significativo che uno dei titoli più importanti in arrivo sulla piattaforma sia un vecchio di quasi dieci anni. Nel mondo dei videogiochi il successo non si basa sulla quantità ma sulla qualità: se non fa attenzione, Netflix potrebbe finire per saturare la sua stessa piattaforma.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.

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Final Fantasy XVI è la svolta dark del videogioco

Author: Wired

Secondo il produttore, il franchise è sempre stato incentrato sul conflitto “tra chi ha il potere e chi viene usato e/o sfruttato da quei pochi privilegiati […]. Può essere difficile assegnare particolari etnie all’antagonista o al protagonista senza scatenare i preconcetti del pubblico, sollecitare speculazioni ingiustificate e, in definitiva, alimentare le polemiche“.

A minare quest’ultimo punto sono però soprattutto le parole dello stesso Yoshida, secondo cui il team che ha lavorato al titolo voleva che i giocatori si concentrassero “meno sull’aspetto esteriore dei personaggi” e li vedessero più come “persone complesse e diverse per natura, background, credenze, personalità e motivazioni”. È bizzarro sostenere che in un mondo creato da Square Enix i personaggi di colore non possano essere ritratti con la stessa complessità e ricchezza di sfumature con cui sono realizzati quelli bianchi. E nonostante Final Fantasy abbia già incluso in passato personaggi di colore nella serie, per il momento non hanno ancora preso parte alle storie più complesse che l’azienda spera di realizzare.

La questione della classificazione

Final Fantasy XVI non è l’unico titolo della serie ad aver ricevuto il rating Mature dall’Entertainment software rating board, l’organo che classifica i videogiochi che escono in Nordamerica, ma è il primo nel filone principale. Anche in Europa, dove il sistema in vigore è il Pan European Game Information (Pegi), il gioco è indicato come adatto ai soli maggiorenni. In passato Yoshida ha dichiarato che la classificazione ha dato al team una maggiore libertà creativa, permettendogli di esplorare i temi complicati a cui era interessato. Non vogliamo creare qualcosa di violento – spiega –, vogliamo creare qualcosa che sembri reale.

Ma non si tratta solo di violenza. Uno dei personaggi, Cid – tra i preferiti dai fan della serie, di solito presentato come un ingegnere smanettone – è un fumatore accanito, un particolare che per l’Esrb non permetterebbe comunque di valutare il gioco come adatto a tutti. Persino una festa sarebbe sottoposta a controlli. Immaginate questa scena, dice Yoshida: i personaggi stanno festeggiando dopo una vittoria e sollevano i boccali colmi di vino; per ottenere una classificazione Teen, sarebbe necessario dire all’ente regolatore che “quello non è vino: è succo d’uva che tutti bevono dopo la battaglia“.

L’obiettivo però non è quello di creare un gioco che si crogioli nella cupezza o nello squallore morale. Anche se nelle presentazioni Square Enix ha puntato molto sull’immagine fosca del nuovo titolo, Yoshida dice che Final Fantasy XVI è pieno di speranza. Dalla demo, però, questo aspetto è difficile da cogliere. Combattere di notte in un castello pieno di nemici, per poi unirsi a una battaglia spietata giunta al suo culmine, non trasmette certo ottimismo. Ma a sentire Yoshida, è una promessa di crescita personale, che non si discosta molto da quello che vorrebbe che i futuri sviluppatori facessero della serie: “Chiunque sia a fare Final Fantasy XVII, probabilmente non saremo noi“, puntualizza. Il gioco, quindi, è una lezione per i futuri creatori. “Più ancora di mostrare ai giocatori che la serie può avere un potenziale maggiore, si tratta di mostrare ai futuri sviluppatori che possono fare quello che vogliono”, chiosa Yoshida.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.