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Usa “fuori dagli accordi di Parigi”, perché la partita è ancora tutta da giocare


Author: Luca Re QualEnergia.it

Ieri l’annuncio ufficiale, ma l’uscita non potrà avvenire prima del 4 novembre 2020, il giorno successivo alle prossime elezioni Usa.

Dentro, fuori, forse di nuovo dentro ma senza esserne mai usciti, fuori… il “balletto” americano sull’adesione agli obiettivi internazionali per il clima ha compiuto un altro passo con l’annuncio ufficiale del segretario di Stato Usa, Michael R. Pompeo (traduzione nostra dall’inglese con neretti): “Oggi [lunedì 4 novembre, ndr] gli Stati Uniti hanno iniziato il procedimento per uscire dagli accordi di Parigi”.

La Casa Bianca, infatti, si legge nella nota del segretario di Stato, ha inviato alle Nazioni Unite la lettera che notifica l’intenzione di abbandonare ufficialmente l’intesa siglata nella capitale francese nel 2015 e poi ratificata da Barack Obama nel 2016.

Nella nota, poi, si ricorda che Donald Trump aveva dichiarato per la prima volta di voler portare l’America fuori degli accordi parigini in un discorso del primo giugno 2017.

E gli argomenti che secondo l’amministrazione repubblicana sostengono questa decisione sono sempre gli stessi, in particolare “l’ingiusto carico economico” (unfair economic burden) imposto agli Stati Uniti dal patto climatico firmato in Francia.

Trump quindi finisce per battere sui soliti temi, tra cui le minacce alla competitività delle industrie americane qualora il paese dovesse seguire norme ambientali più severe per ridurre l’uso di carburanti fossili.

La nota poi precisa che gli Stati Uniti continueranno a collaborare con i loro partner globali per migliorare la capacità di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici e rispondere agli effetti dei disastri naturali.

Tuttavia, in base ai termini di preavviso dell’accordo parigino, l’uscita americana potrà avvenire non prima del 4 novembre 2020 cioè il giorno successivo alle prossime elezioni presidenziali Usa.

In sostanza, tutto è da vedere, in primo luogo se Trump otterrà un secondo mandato e quindi potrà davvero proseguire la sua campagna ideologica pro-fonti fossili.

Poi, negli Stati Uniti sta crescendo la consapevolezza che è necessario agire in fretta per combattere il surriscaldamento globale, sia a livello politico federale e locale, sia tra gli imprenditori e i cittadini, come confermano gli impegni già presi da molti Stati per arrivare al 100% di energie rinnovabili verso la metà del secolo e la campagna democratica per lanciare un Green New Deal, prima con la proposta avanzata dalla giovane socialista Alexandria Ocasio-Cortez (poi eletta alla Camera Usa) in coppia con il senatore Ed Markey, in seguito con quella presentata dal senatore Bernie Sanders.

Quest’ultima prevede, ad esempio, di eliminare tutti i sussidi ai combustibili fossili e di investire massicciamente nelle fonti rinnovabili, nell’accumulo energetico e nella creazione di una super-rete elettrica intelligente e digitalizzata, rifiutando altresì di ricorrere a soluzioni come il CCS (Carbon Capture and Storage, cioè il sequestro della CO2), il nucleare e la geo-ingegneria per rimuovere il carbonio dall’atmosfera.

Insomma il quadro è molto più dinamico e fluido di quanto sia disposto ad ammettere lo stesso Trump, nella sua anacronistica crociata per difendere il carbone e il gas da scisto con una girandola di fake news tipo quella sull’eolico che causa il cancro.

A quelle bufale aveva prontamente risposto anche l’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, annunciando l’iniziativa Beyond Carbon per investire centinaia di milioni di dollari nelle energie pulite.

La partita del dentro-fuori Parigi, in definitiva, resta tutta da giocare.

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Green economy, Italia tra alti e bassi

Author: redattore2 Rinnovabili

Green Economy

Credit: NeedPix

Pubblicata la Relazione sullo Stato della Green Economy 2019 rileva alcune criticità emergenti

(Rinnovabili.it) – Brutte notizie, in Italia, per quanto concerne la cosiddetta Green economy: le emissioni di gas serra non calano da 5 anni e, di contro, i consumi di energia sono tornati a crescere, l’aumento delle rinnovabili si è quasi fermato, l’ecoinnovazione non decolla ed il parco auto italiano resta con 644 veicoli ogni 1.000 abitanti, il più “denso” d’Europa. Impietosa, la Relazione presentata in apertura degli Stati Generali della Green Economy – summit verde dedicato quest’anno a “Green New Deal e sfida climatica: obiettivi e percorso al 2030” – dipinge un quadro e ne pronostica uno sviluppo tutt’altro che positivo.

Il documento affronta 9 differenti tematiche strategiche: emissioni di gas serra, risparmio ed efficienza energetica, fonti rinnovabili, economia circolare ed uso efficiente delle risorse, eco-innovazione, agricoltura, territorio e capitale naturale, mobilità sostenibile e green city.

>>leggi anche Autoconsumo fotovoltaico, come capire se ne vale la pena<<


Uno degli elementi più preoccupanti è quello inerente le emissioni di gas serra, che non accennano a diminuire: nel 2017 si attestavano a 428 MtCO2eq – un valore addirittura superiore a quello registrato nel 2014 – e, nel 2018, intorno alle 426 MtCO2eq. Il calo è stato insignificante ed il principale responsabile il settore dei trasporti. In fatto di mobilità sostenibile, d’altra parte, l’Italia non brilla di certo: il nostro paese è quello, tra i partner europei, col tasso più alto di automobili, tra l’altro ulteriormente aumentato dal 2017 al 2018. Ma ad essere aumentate sono state anche le emissioni medie specifiche delle nuove auto immatricolate nei primi otto mesi del 2019, che, passate a  quota 120 gCO2/km, segnano un bel 5,5% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Le auto elettriche non vanno – meno di 10.000 auto vendute contro le 68.000 in Germania –  e la maggior parte dei bus pubblici va ancora a diesel.

Niente di buono anche per quanto riguarda risparmio ed efficienza energetica: tra il 2014 e il 2017 il consumo lordo di energia è tornato a crescere da 166 a oltre 170Mtep e nel 2018 è aumentato del 2%. Nello stesso anno, analogamente, sono aumentati anche i consumi finali, che hanno registrato un +1,5%. Le uniche a non crescere, quasi, sono state le rinnovabili, la cui quota è salita solo di un punto percentuale in 5 anni. Ciononostante – e, visti i dati non è una buona notizia – l’Italia rimane comunque prima fra i grandi Paesi europei per fonti rinnovabili: le circa 22 Mtep prodotte hanno soddisfatto il 18,3% del fabbisogno energetico interno, contro il 17,5% della media europea, il 17,5% della Spagna, il 16,3% della Francia, il 15,5% della Germania e il 10,2% del Regno Unito.
Peggiorato anche il tasso di circolarità, che in Italia si classifica al terzo posto dopo Francia e UK. Per il riciclo dei rifiuti, invece, ci collochiamo al secondo posto dietro alla Germania, che e supera di due punti percentuali la media UE.
Molto bene invece per quanto riguarda il settore agricolo: con un valore aggiunto dell’agricoltura pari a 32,2 miliardi di euro, l’Italia si trova infatti al vertice della classifica europea 2018, mentre in termini di valore della produzione è seconda solo alla Francia. Le superfici coltivate col metodo biologico ammontavano nel 2017 a quasi 12,6 milioni di ettari, con un incremento di circa il 25% rispetto al 2012.
Male il consumo del suolo, con ulteriori 51 chilometri quadrati di territorio consumati nel 2018: la media è di 14 ettari al giorno. Molto male se si considera che l’Italia è uno dei Paesi europei più ricchi di biodiversità. 

“Sono registrate alcune eccellenze italiane nel campo della green economy – ha commentato Edo Ronchi del Consiglio Nazionale della Green Economy – ma emergono anche molte criticità: sostenere le eccellenze e recuperare le difficoltà è la via da perseguire per lanciare un concreto Green New Deal in Italia. Nulla ha potenzialità di sviluppo comparabili con quelle della Green Economy che se adeguatamente promosse ed estese, potranno trascinare investimenti e nuova occupazione”. 

>>Leggi anche Key Energy 2019, l’energia incontra il futuro<<

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PNIEC, la decarbonizzazione in bilico


Author: Leonardo Berlen QualEnergia.it

Lo sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica tracciato dal Pniec è elevato, ma ci sono dubbi sulla road map.

Nel 2018 si conferma il trend positivo della potenza installata di nuovi impianti alimentati da fonti rinnovabili in Italia, con nuove installazioni per circa 1.162 MW, rispetto ai 900 MW installati nel 2017 e i 778 del 2016, dopo il rallentamento del biennio 2014-15 e ciò è sintomo di un mercato che mostra una certa “vitalità”, con un trend di crescita maggiore anche rispetto al biennio 2016-17.

Osservando la ripartizione della nuova potenza installata per tecnologia, emerge come per il primo anno la fonte eolica abbia superato quella solare fotovoltaica. In particolare, la potenza installata nel 2018 è, rispetto al 2017, suddivisa tra:

  • 511 MW di eolico, +42%
  • 437 MW di fotovoltaico, +6,5%
  • 140 MW di idroelettrico, +47%
  • 74 MW di biomasse, +48%.

Nonostante i numeri “incoraggianti” registrati nell’ultimo anno, il tasso di crescita è ancora insufficiente per poter adempiere agli obiettivi del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e Clima (Pniec) che è un aggiornamento rispetto alla Strategia Energetica Nazionale (Sen).

A differenza di quest’ultima, il Pniec è vincolante. Gli obiettivi di potenza installata per le diverse fonti rinnovabili al 2025 e 2030, riportati in Tabella 1, sono particolarmente sfidanti.

Si può osservare chiaramente come si punti fortemente su eolico (il doppio rispetto al 2017) e fotovoltaico (2,5 volte l’installato attuale). Ciò comporta un aumento della potenza da fonti rinnovabili installata pari al 75%. Sostanzialmente invariata risulta la potenza idroelettrica (+ 2%), mentre si prevede una rilevante crescita “relativa” della fonte geotermica (+ 17%, ma con numeri assoluti modesti), mentre la biomassa è l’unica fonte rinnovabile prevista in calo (- 9%).

Infine, per quanto riguarda la generazione elettrica, si prevede che aumenti del 65% rispetto ai valori attuali, arrivando a coprire oltre il 55% dei consumi nazionali (stimati in 337 TWh al 2030).

È interessante notare come, sia per l’eolico sia per il fotovoltaico, si preveda un aumento maggiore della generazione rispetto alla potenza installata. Differenza dovuta alla maggior efficienza attesa per i prossimi anni, conseguenza sia dell’innovazione tecnologica sia dagli interventi di revamping.

La Figura 1 mostra la traiettoria prevista della generazione elettrica da fonti rinnovabili da qui al 2030, suddivisa per fonte.

Sole in crescita

Per la generazione da fonte solare è previsto un tasso medio annuo di crescita, nel medio termine (al 2025), pari a 1,5 TWh/anno, accompagnato da 900 MW di nuove installazioni ogni anno, circa il doppio delle installazioni realizzate nell’ultimo anno.

Ancora più accentuato è l’incremento previsto tra il 2025 e il 2030, dove il tasso medio annuo di crescita delle installazioni dovrà essere pari a 4,8 GW (10 volte maggiore del tasso odierno), mentre la generazione dovrà crescere, in media, di 7,6 TWh/anno.

Differente la situazione per l’eolico, dove invece è previsto un deciso incremento già nel periodo 2019-2025, con un tasso medio annuo dell’energia prodotta pari a 1,7 TWh, accompagnato da un aumento della potenza installata pari a 740 MW/anno (+45% rispetto al 2018). Crescita delle nuove installazioni che invece rallenta nel quinquennio 2025-2030, periodo in cui si prevede un tasso medio di crescita pari a 560 MW/anno, accompagnato da una generazione media di 1,8 TWh/anno.

Si tratta di obiettivi particolarmente ambiziosi, specie se “letti” alla luce delle dinamiche di mercato attuali. Obiettivi, tuttavia, il cui conseguimento è necessario per raggiungere il taglio delle emissioni stabilito a livello internazionale.

Nell’ottica di confrontare gli obiettivi del Pniec rispetto alle reali potenzialità del nostro Paese, l’Energy&Strategy Group, attraverso un ampio dibattito con gli operatori di settore, ha condotto una serie di simulazioni quantitative in cui si analizza l’evoluzione attesa della produzione da fotovoltaico ed eolico, in assenza di strumenti normativi addizionali rispetto a quanto oggi indicato nel Pniec.

Tale scenario “inerziale” è declinato in due sotto-casi, uno in cui non si prevede un apporto significativo (sia in generazione, sia in potenza) delle attività di manutenzione, revamping e repowering e un altro in cui viene considerato questo effetto su parte del parco installato.

Per quanto concerne il fotovoltaico (Figura 2), gli scenari considerati portano, al 2025, a una produzione in linea con quella prevista dal Pniec e anzi superiore di circa 2 TWh nel caso di maggior attenzione verso la gestione degli impianti installati (ipotizzando manutenzione, revamping e repowering sul 25% degli impianti).

Viceversa, nel lungo termine si può vedere come emerga una forte differenza tra gli scenari di sviluppo previsti dal Pniec e quelli “inerziali” (anche includendo l’effetto di manutenzione, revamping e repowering), che si fermano nel migliore dei casi a 50 TWh di produzione, ben 25 TWh in meno di quanto ipotizzato al 2030 dal Pniec.

Vento lento

Contrariamente a quanto visto per il fotovoltaico, l’eolico ha una crescita iniziale molto lenta, che comporta un ritardo di circa 5 TWh già nel 2025 anche nel caso di repowering, comunque limitato, nel primo periodo (si veda Figura 3).

Nel lungo termine, si può vedere come si preveda una forte differenza non solo tra gli scenari di sviluppo previsti dal Pniec e quelli “inerziali” ma anche tra gli scenari “inerziali” stessi, in quanto si ipotizza un maggiore apporto del repowering.

In ogni caso, anche nell’ipotesi migliore, si riscontra una differenza di oltre 6 TWh al 2030. Il quadro che emerge non è particolarmente positivo, con lo scenario “inerziale” che si discosta in maniera significativa dagli obiettivi del Pniec, in particolare nel lungo periodo (2025-2030), nel quale il Pniec prevede un forte sviluppo soprattutto per quanto riguarda il fotovoltaico, sviluppo che però non appare adeguatamente supportato dall’attuale contesto regolatorio.

Non si tratta di una “bocciatura” tout court, dal momento che gli operatori di settore sono convinti che l’Italia abbia le potenzialità per installare la potenza necessaria per raggiungere i suddetti obiettivi.

Esso richiede però provvedimenti normativi e regolatori di accompagnamento, che siano coerenti rispetto agli obiettivi e che affrontino le due principali “criticità” che caratterizzano lo scenario inerziale: la sostenibilità economica degli investimenti, tenendo in conto anche la rischiosità legata all’andamento dei prezzi di mercato dell’energia, e la disponibilità di suolo necessaria a garantire l’installazione della potenza prevista dal Pniec.

Per quanto riguarda la sostenibilità economica, le analisi condotte mostrano come l’andamento del Levelized Cost Of Electricity (LCOE) per gli impianti fotovoltaici utility scale, al variare della produzione annua, varia dai 61,5 €/MWh per 1.600 ore equivalenti ai 44 €/MWh per circa 2.000 ore equivalenti, considerando un impianto da 30 MW di potenza.

LCOE che tende ad aumentare per impianti di taglia più piccola: per un impianto di potenza pari a 5 MW, esso risulta mediamente superiore di 5,5-6 €/MWh a causa dei maggiori costi di investimento e manutenzione unitari. I valori di Lcoe per un impianto eolico risultano mediamente superiori a quelli ottenuti per gli impianti fotovoltaici, oscillando tra i 77,4 €/MWh ai 45,8 €/MWh per un impianto da 30 MW.

Pertanto, solo a elevate ore equivalenti di produzione, oltre le 2.400 ore equivalenti, il costo di generazione da fonte eolica può risultare competitivo con quello da fonte fotovoltaica.

Anche per gli impianti eolici, si riscontra un incremento dell’LCOE a fronte di una riduzione della taglia dell’impianto. Per un parco eolico con una potenza di 10 MW, esso risulta mediamente superiore di circa 10 €/MWh, aumento ancora una volta dettato dai maggiori costi di investimento e manutenzione unitari.

L’analisi va integrata con opportune considerazioni sui prezzi percepiti sul mercato spot, diretta conseguenza della distribuzione oraria della produzione. Mentre la produzione da solare avviene durante le ore centrali della giornata, la generazione eolica, seppur con significative differenze in base alle caratteristiche locali del sito d’installazione, mostra buoni valori di produzione durante le ore serali e notturne a fronte di una decrescita della produzione durante le ore centrali della giornata.

Rapportando la distribuzione della produzione al profilo medio orario dei prezzi, si riscontra come la generazione eolica sia potenzialmente in grado di catturare i prezzi delle ore serali, spesso più elevati tra quelli registrati nel corso della giornata.

Confrontando invece i valori dell’Lcoe con i prezzi zonali del fotovoltaico, emerge come i prezzi registrati negli ultimi anni sul Mercato del Giorno Prima (Mgp) siano insufficienti a garantire un buon ritorno degli investimenti per impianti fotovoltaici in market parity agli attuali costi della tecnologia.

Inoltre, anche immaginando che si raggiunga la market parity al momento dell’installazione, si pone un tema legato al rischio dell’investimento, conseguenza di una remunerazione che dipende unicamente dal mercato spot dell’energia. Infatti, dal momento che l’andamento dei prezzi nel lungo periodo resta fonte di forte incertezza, soprattutto in uno scenario caratterizzato dall’installazione di grandi quantità di nuova potenza fotovoltaica come quella indicata dal Pniec, la riduzione dei prezzi dell’energia renderebbe ancora più difficile il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Riduzione dei prezzi che risulterebbe particolarmente accentuata nel Sud Italia, data la maggior predisposizione allo sviluppo di impianti fotovoltaici. Gli elevati valori di irraggiamento che caratterizzano le regioni dell’area meridionale del paese durante i mesi primaverili ed estivi, infatti, comportano una forte immissione di energia in rete nelle ore centrali della giornata, non sempre bilanciata da altrettanto elevati valori dei consumi.

In quest’ottica, l’utilizzo dei Power Purchase Agreement, ovvero un contratto tra un produttore di energia e un acquirente per l’acquisto dell’elettricità a un prezzo definito per un predeterminato periodo di tempo, potrebbe ridurre il rischio di volatilità dei prezzi scaricandolo in parte sul compratore di energia. Ad oggi, tuttavia, il ridotto ricorso a questo strumento pone non pochi dubbi agli operatori.

Oltre alla sostenibilità economica, l’altra grande tematica da considerare negli scenari di sviluppo delle rinnovabili in Italia è il consumo di suolo, in particolare in uno scenario di sviluppo che prevede una forte crescita di impianti di grande taglia, i quali vengono nella maggior parte dei casi installati a terra.

Tematica già affrontata nel Decreto Fer 1, dove veniva incentivata la realizzazione di impianti su discariche e lotti di discarica chiusi e cave non suscettibili di ulteriore sfruttamento estrattivo.

Tuttavia, si stima che il potenziale “reale” delle aree dismesse possa garantire complessivamente tra i 5,3 GW e gli 8,4 GW per il fotovoltaico e meno di 1 GW per l’eolico, che rappresentano rispettivamente tra il 20 e il 30% della nuova potenza fotovoltaica prevista e tra il 7 e il 12% di quella eolica.

Data quindi la necessità di identificare nuove aree da destinare alla generazione di elettricità da fonte rinnovabile, le più adatte potrebbero essere le Superfici Agricole Non Utilizzate (Sanu), dichiarate non ammissibili per la richiesta di incentivazione nel Decreto Fer 1, le quali hanno un’estensione di 12.224 km2 (dati Istat).

Considerando di utilizzare mediamente il 10% della Sanu, la superficie considerata sarebbe ampiamente sufficiente a coprire le nuove installazioni di fotovoltaico (oltre 60 GW potenziali rispetto ai 30 previsti), mentre per l’eolico, considerando che nel Nord Italia difficilmente ci sarebbero siti disponibili, anche l’utilizzo delle Sanu potrebbe non garantire il raggiungimento degli obiettivi (circa 6 GW contro i 9 GW previsti).

Si sottolinea quindi a maggior ragione l’importanza del repowering, soprattutto per l’eolico, anche dal punto di vista dell’utilizzo suolo. L’analisi della situazione odierna mostra come il potenziale per uno sviluppo delle rinnovabili in Italia in modo da adempiere agli obiettivi fissati dal Pniec sia elevato: pochi Paesi infatti possono contare su un apporto così bilanciato di fotovoltaico, eolico ed idroelettrico come il nostro.

La “palla” passa quindi al legislatore, soprattutto, e agli operatori, i quali hanno la responsabilità di garantire lo sviluppo futuro delle rinnovabili in Italia.

Seppure con un’enfasi minore rispetto alla generazione da energie rinnovabili, all’interno del Pniec vengono delineati gli obiettivi riguardanti l’efficienza energetica (continua sulla rivista online).

 L’articolo è stato pubblicato sul n.4/2019 della rivista bimestrale QualEnergia

Il rapporto descritto in questo articolo verrà presentato nell’evento di apertura:

Rinnovabili, efficienza, mobilità alla luce del Piano Energia Clima

RiminiFiera (Key Energy), 5 novembre 2019 (ore 14-17)

Agorà Energy 1 – Pad. B7

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Rinnovabili tedesche al 43% del mix, ma il record non basta

Author: stefania Rinnovabili

Le rinnovabili tedesche hanno superato il carbone

(Rinnovabili.it) – Nuovo record per le fonti rinnovabili tedesche: da gennaio a settembre 2019 gli impianti verdi sono riusciti a coprire il 42,9 per cento dei consumi lordi di elettricità a livello nazionale. Si tratta, a conti fatti, di un aumento di quasi cinque punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (38,1 per cento) e, a tutti gli effetti, di un’ottima performance per un Paese ancora solo all’inizio del phase out del carbone. A renderlo noto è una  ricerca (testo in tedesco) prodotta dal Centro per l’energia solare e la ricerca sull’idrogeno del Baden-Württemberg (Z SW) e dall’Associazione tedesca per la gestione dell’energia e delle acque (BDEW).

Tale analisi mostra che, solo nei primi tre trimestri dell’anno, l’energia solare, eolica e altre fonti rinnovabili hanno prodotto circa 183 miliardi di kWh di energia, eclissando i 125 miliardi di kWh generati da lignite e antracite. Al punto da toccare un vero e proprio primato nel mese di marzo, quando le rinnovabili tedesche sono riuscite a coprire il 52 per cento della domanda elettrica.Fa davvero piacere sapere che le energie rinnovabili sono aumentate così tanto e che l’uso di fonti energetiche convenzionali sia in costante calo”, ha dichiarato Stefan Kapferer, presidente del consiglio di amministrazione di BDEW. 

“Tuttavia, le cifre record sono in netto contrasto con la drammatica situazione per quanto riguarda l’espansione dell’energia eolica: a causa della mancanza di spazio e delle normative sulla distanza sempre più restrittive, stiamo scivolando in una vera e propria recessione”.

>>Leggi anche Germania: fonti rinnovabili generano più elettricità di carbone e nucleare<<

Per l’associazione, nonostante le ottime performance del comparto green, in mancanza di nuove politiche di supporto il Paese potrebbe mancare l’obiettivo 2030, che prevede di portare la percentuale di rinnovabili sui consumi elettrici lordi al 65 per cento. Il target, fissato da Berlino all’inizio di quest’anno, può contare oggi su un nuovo Pacchetto clima per il suo sviluppo. Il piano stabilisce infatti  un deciso incremento della capacità pulita, con il solare che da solo dovrebbe raggiungere i 98 GW installati entro il 2030. Ma per le due associazioni tra il dire e il fare c’è in mezzo un mare di difficoltà. “Se alla fine la politica non allenterà i freni per l’espansione delle turbine eoliche, mancheremo l’obiettivo”, ha spiegato Kapferer. Gli fa eco Frithjof Staiß, amministratore delegato della ZSW “Per raggiungere l’obiettivo del 65 percento, non abbiamo solo bisogno di più energia eolica, ma del fotovoltaico come secondo pilastro”.

>>Leggi anche Il piano per il clima da 100 mld varato dalla Germania<<

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Is the Data Center Industry Ready to Respond to the Climate Change Emergency?

Author: Dave Johnson Schneider Electric Blog

On November 5, I will join senior executive leaders from Uptime Institute, Microsoft, Lancaster University, and Green Peace for a Data Center Dynamics (DCD) London panel to discuss the data center industry’s response to the global climate emergency. This will be an important conversation for our industry. Data centers and the overall IT industry account for 5-10% of total electricity consumption, roughly the same amount of electricity used by the United Kingdom. Of this percentage of electricity used, data centers contribute approximately 0.3% to overall carbon emissions1. At Schneider Electric, we believe the global climate emergency is solvable. We understand that progress for all doesn’t need to come at the expense of a sustainable future for our planet. This paradox can be reconciled if we take advantage of this unique opportunity to drive a real step change in efficiency.

The green case must align to the business case

Green should be and can be good for business. Effectively incorporating energy efficiency into a business strategy can drive down operational expenses and drive up revenues through new customer acquisition and customer retention – a positive for pricing and margins.  It should also strengthen the business’ brand driving increased opportunities in new markets, and it can certainly help to attract new talent to the company.

At Schneider, our commitment to sustainability is at the heart of everything we do. It extends across our technologies, value chain, business model, culture and is deeply rooted in our strategy. We are committed to maximizing the efficiency of large and small data centers through ongoing innovation and collaboration with our customers and partners. Our core offer, EcoStruxure, is helping thousands of our customers drastically reduce their energy usage. In fact, through our current technologies we are helping our customers save 120 million tons of CO2 by 2020. This is the equivalent of four years of emissions for a city like Barcelona, where we recently hosted our Global Innovation Summit. We are empowering our customers to operate more sustainably and are walking the talk ourselves. Schneider is committed to go carbon neutral by 2025.

Acting in the face of (climate) change

woman and man with ipad

woman and man with ipad

As an industry, it’s crucial that we work together and take an integrated approach to combat our current climate challenges. We know that data centers require large amounts of energy to operate and sustain reliable uptime. The data center industry has a proven track record of driving efficiency in operations. If we think back to 2006, data centers had a typical PUE of ~1.8, which was highly inefficient. Through advancements in technology, ongoing innovations, more efficient designs, and standard best practices (UPS improvements, containment, economization), the data center infrastructure industry is producing data center equipment and systems that enable more efficient and reliable data center operations. Today, data centers can achieve and retain a PUE of 1.17. That’s an 80% reduction in energy loss over a little more than a decade.

As the next wave of digital transformation drives more IT to the edge of the network, it’s imperative that we ensure data centers at the edge are as efficient as hyperscale data centers. At Schneider, we see the proliferation of edge data centers and the need for energy efficiency in this space as another pivotal moment for our industry. We know the shortcomings of edge environments: poor resiliency, lack of remote monitoring and management, lack of standardization and integration, large number of sites with limited IT staff. These are many of the same challenges we faced as an industry 10-15 years ago with enterprise and colocation data centers. We have the industry knowledge and expertise to continue driving efficiencies in the industry.

A new age of energy efficiency

As the leader in the data center infrastructure market, Schneider’s commitment to energy efficiency is unwavering. But we know we can’t work in isolation to drive continued efficiency in data centers and introduce efficiency at the edge. As an industry, we’ll need to renew (and in some cases develop) partnerships, be transparent, and hold each other accountable.

We’ll also need to broaden our thinking and our view of the ecosystem, considering the overall performance of a data center. Continuing to integrate renewables into the value chain will be important, but it won’t be the all-encompassing Hail Mary that many data center operators rely on to demonstrate their commitment to energy efficiency. We’ll need to push ourselves further into new territory. For instance, utility companies and data center operators, such as hyperscalers, will need to commit to energy purchase agreements. We’ve reached a point where we need to look beyond incorporating renewables into the energy mix and focus more on making the most of our current energy.

Is the data center industry ready to respond to the climate emergency? Yes. The mobilization and response of our industry to the climate emergency will take a great deal of effort and collaboration. There will likely be hurdles and surprises along the way. My colleague, Steven Carlini, Vice President of Innovation & Data Center, is set to publish a blog post that explores some surprising sources of energy consumption in the data center space.

The data center industry has successfully tackled energy challenges in the past. I’m confident we can continue this positive momentum. If you’d like to hear more on this topic, I encourage you to join me on November 5 for the DCD London plenary panel, ‘How should the data center industry now respond to the global climate emergency?