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Quando la biomimesi sfama il pianeta

Quando la biomimesi sfama il pianeta

(Rinnovabili.it) – I trucchi più raffinati di piante e animali messi al servizio dell’agricoltura. È questo il tema che ha impegnato per 2 anni più di 86 team di designer e architetti provenienti da 18 paesi, che si sono sfidati al Biomimicry Global Design Challenge. Al centro della competizione stanno le potenzialità della biomimesi applicata all’intera catena del cibo, dai rifiuti al packaging, passando per le alternative ai pesticidi, la distribuzione lungo la catena logistica, l’energia impiegata in fase di produzione. Adesso i 50 giudici – tra cui biologi, imprenditori, agronomi – hanno decretato i progetti vincitori. Ecco i primi 3 classificati.

Le arguzie di Socotra

L’ispirazione arriva dai licheni, dagli scarafaggi e dalle meravigliose e stranianti rose del deserto di quest’isola al largo del Corno d’Africa. Il risultato è Stillæ, un dispositivo che cattura l’acqua e la stocca, pensato per quelle zone in cui siccità e carestie colpiscono maggiormente la popolazione. Il meccanismo del tronco rigonfio delle rose e l’abilità dei licheni nell’assorbire umidità dall’aria, anche in assenza di precipitazioni per lunghi periodi, hanno fornito la base per il dispositivo, che imita la capacità degli insetti locali per catturare l’acqua direttamente dall’aria, tramite delle specie di lame (alimentate da fotovoltaico).

Quando la biomimesi sfama il pianeta

Un’alveare per il compost

Al secondo posto una compostiera aerobica ad uso domestico ispirata alla struttura dell’alveare. Per mitigare gli effetti delle tonnellate di rifiuti urbani, il team dell’Università di Tunghai, Taiwan, ha creato questo dispositivo ispirandosi anche al sistema respiratorio delle blatte, alla circolazione dell’aria nei nidi di termiti e alla struttura dei bozzoli degli insetti.

La biomimesi tiene al fresco il pranzo

Mantiene fresco il pranzo e evita gli sprechi l’EcoFruitainer creato dal team dell’Università Panamericana di Città del Messico. La corteccia degli alberi è stata presa a modello per il sistema di raffreddamento interno e per garantire il ricircolo d’aria. La biomimesi è protagonista anche per l’esterno del contenitore: imita la capacità di riflettere la luce tipico delle ali delle farfalle. È interamente fatto di materiali riciclati e non ha bisogno di elettricità per funzionare.

Autore: Rinnovabili

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Potenza eolica e fotovoltaica pro-capite, quali paesi prevalgono?

Un altro modo di quantificare in un paese la diffusione di una fonte rinnovabile è utilizzare il parametro della potenza pro capite. Il SolarSuperState Ranking 2016 ci dice che per l’eolico capofila mondiale è la Danimarca. Per il fotovoltaico è il Liechtenstein; al secondo posto la Germania e al terzo l’Italia.

Un altro modo di quantificare quanto in un paese sia diffusa una fonte energetica rinnovabile è di utilizzare il parametro della potenza pro capite.

Allora vediamo che per l’eolico in testa a questa speciale classifica c’è la Danimarca con 880 watt per abitante, mentre per il fotovoltaico a primeggiare da quest’anno c’è il Liechtenstein con 530 watt pro capite, spinto dai suoi incentivi feed-in tariff attivi dal 2008. Sempre il solare FV, se andiamo a vedere paesi più rilevanti per dimensioni troviamo al secondo posto la Germania (486 W/ab.) e al terzo l’Italia (311 W/ab.).

Si tratta del SolarSuperState Ranking 2016 che è stato presentato alla quinta conferenza Internazionale su Energia e Sostenibilità di Colonia svoltasi a fine giugno. Nell’occasione l’associazione non-profit svizzera, SolarSuperState Association, che ha ideato ed elaborato tale classifica, ha assegnato i premi per le due categorie tecnologiche a rappresentanti istituzionali dei due paesi vincenti.

Per quanto riguarda l’eolico, oltre alla conferma Danimarca, si può vedere dalla tabella che dopo la Svezia, si posiziona terza la Germania e quarta l’Irlanda. Queste due nazioni hanno superato nell’ultimo anno la Spagna che è in una fase di stallo delle installazioni.

Entra nella top ten l’Uruguay, che supera gli Stati Uniti. Francia e Italia sono lontane dalle prime 12 posizioni. L’Italia a fine 2014 era al 17° posto con 141 watt eolici per abitante.

Per il fotovoltaico nella top10 prevalgono i piccoli Stati, come si può vedere dalla tabella. Il Giappone, primo paese extra europeo, con i suoi 260 W/abitante supera diverse nazioni europei che sono recentemente rimaste al palo, come Repubblica Ceca, Lussemburgo e Grecia.

Ancora fuori dalle prime posizioni del FV il Regno Unito e la Francia, quest’ultimo paese neanche tra le prime 20.

Qui le classifiche che fanno riferimento all’anno 2014 (pdf)

Autore: QualEnergia.it – Il portale dell’energia sostenibile che analizza mercati e scenari

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Glifosato, ecco come funziona il bluff di Monsanto

Glifosato, ecco come funziona il bluff di Monsanto

(Rinnovabili.it) – Quando si gioca a poker è lecito il bluff. Ma sarebbe davvero strano che alla fine uno dei giocatori si rifiutasse di mostrare le sue carte, reclamando di avere il diritto di intascarsi la vincita perché ha la mano migliore e bisogna credergli sulla fiducia. Invece, quando il tavolo da poker è la salute dei cittadini, in ballo c’è l’autorizzazione al glifosato e uno dei giocatori è Monsanto, che si rifiuta di rendere pubblici i suoi studi dove il pesticida non risulta affatto dannoso, questo è quello che succede e non si può replicare.

Lo scorso 30 giugno la Commissione europea ha rinnovato per altri 18 mesi l’autorizzazione all’uso del glifosato in tutto il continente, dopo mesi e mesi di temporeggiamenti, scaricabarile, pavidità degli Stati membri e la totale assenza di trasparenza. Doveva decidere la politica, ma in base alle evidenze scientifiche: invece la prima, sotto la pressione delle lobby, ha cercato di evitare di trovarsi col cerino in mano, mentre le seconde sono rimaste pressoché segrete.

Glifosato, ecco come funziona il bluff di MonsantoIl motivo del contendere erano i risultati contraddittori di due studi sugli effetti del pesticida della Monsanto. Il primo firmato IARC, quindi l’Organizzazione Mondiale della Sanità, iscriveva la sostanza nella lista di quelle potenzialmente cancerogene. Il secondo curato dall’EFSA, cioè UE, sosteneva l’esatto contrario. Non solo: in quello dell’EFSA sarebbero stati esaminati i risultati del primo, ma “nuove evidenze” li avrebbero sconfessati. Quali evidenze, che metodi siano stati usati, quali i dettagli tecnici, non è dato sapere.

Corporate Europe Observatory ha inoltrato mesi fa una richiesta di accesso allo studio. Che a ridosso della decisione dell’UE è stata rispedita al mittente: non può essere reso pubblico perché è più importante “proteggere gli investimenti”. In che senso? Nel senso che l’EFSA ha usato come base diversi studi, effettuati da quelle stesse multinazionali che commercializzano il glifosato. I dati sono loro proprietà, e mettono il veto: vietato pubblicarli.

Il ragionamento è questo: siccome dobbiamo produrre uno studio  quando chiediamo di riautorizzare un nostro prodotto, e questo studio è per noi un investimento, così come lo sono i profitti che avremmo da un esito positivo della richiesta, allora i contenuti di quegli studi sono cosa nostra, un segreto industriale al pari di altri. Così, nell’asservimento delle istituzioni europee ai giganti dell’agrochimica, si è consumato il balletto sul glifosato e la salute dei cittadini europei continua a essere minacciata.

Autore: Rinnovabili

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L’auto senza conducente cambierà in meglio le nostre città

Google e Tesla sono all’avanguardia nella sperimentazione della guida autonoma o semiautonoma. Con veicoli-robot completamente automatizzati, tra cui anche taxi elettrici, i centri urbani potrebbero risolvere molti problemi, dall’inquinamento al traffico, riqualificando interi spazi e quartieri.

Come sarà l’auto del futuro? Ibrida, totalmente elettrica, a idrogeno, con celle solari installate sulla carrozzeria? C’è da sbizarrirsi a indovinare quale strada seguiranno i principali costruttori, anche se oggi sembra chiaro che l’idrogeno è in difficoltà e l’ibrido è la tecnologia “ponte” della transizione energetica, mentre l’auto elettrica è l’obiettivo cui tendere per abbandonare i combustibili fossili. Tuttavia, c’è un’altra variabile da considerare, cioè lo sviluppo della guida autonoma.

Pilota automatico o semiautomatico?

Il pilota automatico sui veicoli privati, come vedremo, potrebbe rivoluzionare non poco le nostre abitudini e perfino avere delle ripercussioni sulla rigenerazione dei centri urbani. Ma andiamo con ordine: per prima cosa, cerchiamo di capire quali siano le “filosofie” che si contrappongono in questo particolarissimo settore della nuova mobilità a quattro ruote.

L’occhio, come spesso accade quando si parla d’innovazione tecnologica, è rivolto alla Silicon Valley e, in particolare, alle opposte scelte di Google e Tesla.

Come evidenzia un articolo del New York Times, l’approccio iniziale di Google è stato un po’ modificato negli anni. Le prime sperimentazioni, infatti, prevedevano un sistema autopilota coadiuvato dagli esseri umani: c’era sempre una persona dietro al volante, pronta a intervenire in caso di problemi imprevisti o malfunzionamenti.

Tuttavia, nel 2013 Google eseguì dei test che non diedero i risultati sperati dal colosso americano. Alcuni dipendenti della società utilizzarono questi veicoli e furono monitorati con telecamere di bordo, durante i loro spostamenti quotidiani.

Google cambia rotta

Ebbene, i tecnici di Google notarono molti comportamenti potenzialmente pericolosi: le persone erano distratte, addirittura si addormentavano in certi casi. In buona sostanza, i tecnici conclusero che il grado di attenzione del guidatore era direttamente proporzionale al suo coinvolgimento nella guida.

In parole povere, se l’automobile fa (o dovrebbe fare) tutto da sola, chi è seduto al volante finisce col distrarsi e, quindi, con l’essere impreparato a fronteggiare situazioni di rischio, perché i suoi tempi di reazione sono più lunghi di quelli di una persona che stringe saldamente il volante.

Così Google ha cambiato direzione, progettando un veicolo senza pedali e senza volante, pensato per muoversi in totale autonomia, come una sorta di taxi-robot per brevi tragitti cittadini, perché la sua velocità massima è pari a 25 miglia orarie.

Di contro, Tesla di recente ha molto pubblicizzato la sua berlina Model S con pilota semiautomatico concepito per assistere, anziché sostituire, il conducente umano. A bordo di una Tesla, quindi, chi è seduto al posto di guida deve rimanere sempre vigile e con le mani, se non proprio sul volante, almeno nelle sue immediate vicinanze.

Quando a maggio, in Florida, c’è stato il primo incidente mortale su una Tesla Model S a guida autonoma, in molti hanno cominciato a chiedersi se la funzione auto-pilot sia effettivamente un beneficio piuttosto che una miccia pronta a esplodere, anche se solo in determinate e rare occasioni. Ad esempio, quando il sistema confonde il colore bianco di un camion con il bianco del cielo molto luminoso, che è esattamente l’errore occorso in quella fatale circostanza.

L’auto del futuro e la città del futuro

La vera rivoluzione dell’auto a guida totalmente autonoma, come ha scritto Joel Budd sull’Economist, sarebbe la sua capacità di trasformare gli spazi urbani. Diventando, così, una straordinaria opportunità per diffondere la mobilità ecologica, a zero emissioni, silenziosa e molto versatile.

Ipotizziamo di eliminare dalle città le automobili così come le conosciamo oggi, sostituendole con mezzi elettrici senza conducente (nessun pedale né volante). Potremmo comandarle per farci portare in ufficio e poi riprenderci a fine giornata, dicendo però alla nostra auto di tornare a casa per parcheggiarsi. Potremmo sfruttare un servizio di car-to-go, cercando l’auto-robot più vicina attraverso un’applicazione sullo smartphone.

L’auto del futuro è anche la città del futuro, con più verde e parchi urbani, meno traffico, aria più pulita, meno tempo sprecato in code interminabili o ricerche estenuanti di parcheggi, grazie ai taxi elettrici senza autista.

E, quindi, con molte più possibilità di riqualificare interi quartieri e riprogettare la mobilità, integrando i veicoli a guida autonoma con le reti di trasporto pubblico locale. Sembra fantascienza, ma è molto probabile che non lo sarà affatto.

Autore: QualEnergia.it – Il portale dell’energia sostenibile che analizza mercati e scenari

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L’ok di Strasburgo: nuova etichetta energetica, vecchia scala A-G

L'ok di Strasburgo: nuova etichetta energetica, vecchia scala A-G

(Rinnovabili.it) – La nuova normativa comunitaria sull’etichetta energetica ha ora l’appoggio dell’Parlamento europeo. Dopo il voto positivo raccolto dagli eurodeputati della Commissione Industria (ITRE), la proposta è stata approvata ieri in plenaria a Strasburgo con 580 voti favorevoli, 52 contrari e 79 astensioni. Il testo, tornato nelle mani dell’ITRE per raccogliere nuove considerazioni sugli emendamenti approvati, riporta qualche piccola modifica rispetto alla bozza originale, ma la sostanza rimane invariata: l’etichetta energetica tornerà alla vecchia scala di classi dell’efficienza, da A a G, abbandonando definitivamente tutti i plus (A+, A++, A+++) proliferati negli ultimi 5 anni.

Le novità dell’etichetta energetica

Nella proposta modificata da Strasburgo, si afferma anche che le etichette “riscalate” dovrebbero essere introdotte tra i 21 mesi e i 6 anni (in relazione al tipo di prodotto) dall’entrata in vigore della normativa, in modo da “garantire una scala A-G omogenea”.

Inoltre qualsiasi futura revisione della scala dovrebbe avere una validità di almeno 10 anni ed essere applicata quando il 25% dei prodotti venduti sul mercato comunitario rientrano nella classe di efficienza energetica  o quando il 50% rientra nella parte superiore delle due classi di efficienza energetica A e B.

Per ogni nuova revisione dell’etichettatura energetica, la classe A deve essere inizialmente vuota per accogliere i nuovi prodotti energeticamente migliorati e più efficienti, tenendo conto delle specificità dei singoli settori (dal momento che alcuni, come il riscaldamento, non vivono il sovrappopolamento delle classi più elevate).

Informazione sui consumi e test più reali

Il testo contempla anche la necessità di introdurre nell’etichettatura informazioni sui consumi espressi in kWh l’anno o su un altro periodo di tempo considerato rilevante. I venditori e distributori, dal canto loro, dovranno far riferimento alla classe degli elettrodomestici in ogni pubblicità riferita a uno specifico prodotto.

Pochi invece i progressi raggiunti sulle modalità di test dei prodotti, la distorsione introdotta dal “fattore di tolleranza” ha permesso a molti produttori di ‘barare legalmente‘ nella certificazione del rendimento energetico. Gli eurodeputati si sono limitati ad affermare che i test energetici, sia dei fornitori sia delle autorità di vigilanza del mercato, dovrebbero riflettere il più possibile l’utilizzo effettivo di un determinato prodotto da parte del consumatore medio. Nel testo, chiedono alla Commissione di pubblicare nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea metodi provvisori di misurazione e calcolo in relazione ai requisiti specifici di prodotto.

“Il voto di oggi ha dato nuova linfa alle etichette dell’efficienza energetica, rendendo il sistema di labeling più forte, più sicuro, più chiaro e orientato al futuro”, ha commentato al termine del voto il relatore Dario Tamburrano (EFDD, IT). “Sono sicuro che i negoziati con il Consiglio miglioreranno ulteriormente la capacità di servire al meglio gli interessi dei cittadini europei, trasformando l’etichetta energetica in uno dei più potenti strumenti per raggiungere gli obiettivi di efficienza energetica nell’UE”.

Infine i deputati sostengono la necessità di creare una “banca dati dei prodotti” con un sito web contenente le informazioni su ogni bene e un’interfaccia “sulla conformità”, ossia una piattaforma elettronica che sostenga il lavoro delle autorità nazionali di sorveglianza del mercato.

Autore: Rinnovabili