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L’Onu bacchetta l’Europa sugli ambientalisti

Author: Wired

Le Nazioni Unite hanno intimato ai paesi europei di porre fine alla repressione e alla criminalizzazione delle proteste pacifiche degli ambientalisti, definendo le politiche attuate finora contro gli attivisti climatici una minaccia verso la democrazia e i diritti umani. Al contrario, gli stati dovrebbero lavorare per adottare urgentemente misure capaci di ridurre le emissioni inquinanti e limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi, in linea con gli Accordi di Parigi sul clima.

È in questo modo che Michel Forst, il relatore speciale delle Nazioni Unite sui difensori dell’ambiente, ha bacchettato le democrazie europee nel suo rapporto ufficiale, arrivato a conclusione di un’indagine durata un anno sulle repressioni di stato subite dagli ambientalisti in Regno Unito, Germania, Danimarca, Paesi Bassi, Spagna e Portogallo. Grazie alle testimonianze raccolte in questi paesi, Forst ha documentato molestie, brutalità e abusi di potere da parte delle forze dell’ordine, nei confronti degli attivisti e dei giornalisti inviati a raccontare le proteste.

Cosa dice il rapporto

In particolare, sottolinea l’uso di spray urticanti contro manifestanti, sia adulti che minorenni, l’uso di prese dolorose, sequestri di effetti personali, arresti sommari, raid mattutini da parte di unità antiterrorismo, agenti sotto copertura infiltrati tra i gruppi e, più in generale, l’impiego di tattiche usate contro la criminalità organizzata. Violazioni dei diritti civili che sono state accompagnate da un’azione legislativa volta a giustificarle, così come da etichette che mirano a screditare gli ambientalisti o ad associarli a organizzazioni pericolose, come la cosiddetta legge sugli eco-vandali in Italia o l’inserimento di Extinction Rebellion sotto la denominazione di terrorismo internazionale” in Spagna.

E tutto questo accade in nazioni che hanno ratificato la Convenzione di Aarhus, il trattato internazionale volto a garantire all’opinione pubblica il diritto alla trasparenza e alla partecipazione nei processi decisionali in materia ambientale, che comprende anche il diritto alla protesta pacifica. Tuttavia, il quadro generale tracciato da Forst indica come la risposta dei governi di tutta Europa sia andata nella direzione opposta, reprimendo la libera espressione del dissenso, invece che permetterlo e proteggerlo, arrivando addirittura alla criminalizzazione e alla denigrazione mediatica e politica degli ambientalisti.

L’emergenza ambientale che stiamo affrontando collettivamente, e che gli scienziati documentano da decenni, non può essere affrontata se coloro che lanciano l’allarme e chiedono azioni incisive vengono criminalizzati per questo. L’unica risposta legittima all’attivismo ambientale pacifico e alla disobbedienza civile è che le autorità, i media e il pubblico si rendano conto di quanto sia essenziale per tutti noi ascoltare ciò che hanno da dire i difensori dell’ambiente”, ha detto ancora Forst.

Il relatore ha poi sottolineato come, fino a questo momento, i governi abbiano continuato a “prendere decisioni che contraddicono direttamente le chiare raccomandazioni degli scienziati”, per affrontare la crisi del clima, e che il loro “fallimento” nel seguire politiche adeguate non farà altro che portare a sempre nuove e maggiori proteste e azioni dirette da parte degli attivisti.

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Meta e Google hanno messo nel mirino gli spyware made in Italy

Author: Wired

Prima Google, poi Meta. A distanza di pochi giorni l’industria di spyware e sistemi di sorveglianza è finita sotto la lente di due tra i colossi mondiali del digitale. Che raccontano di reti di account fasulli, trojan mascherati da app legittime, vulnerabilità sfruttate per infettare i dispositivi di giornalisti, attivisti, dissidenti e politici di opposizione. E puntano il dito contro alcune aziende italiane del settore. I nomi di Cy4Gate (che respinge gli addebiti), Negg Group e Ips Intelligence (che invece non hanno risposto alle domande di Wired), sono stati messi nero su bianco in due rapporti usciti a inizio febbraio e firmati dai reparti di cybersecurity di Big G e della holding di Facebook, Instagram e Whatsapp.

Il tempismo non è casuale. Lo scorso 6 febbraio a Londra, alla Lancaster House, 27 tra Stati e unioni internazionali, tra cui Italia, Francia, Stati Uniti e Regno Unito, 14 aziende del settore digitale (come Meta e Microsoft) e 12 tra organizzazioni non governative e università hanno sottoscritto il Pall Mall Process, un’iniziativa internazionale per mettere a freno l’uso indiscriminato di spyware e altri strumenti di sorveglianza online. “Il danno non è ipotetico”, scrive Google nell’attacco del suo rapporto: sebbene i fornitori rivendichino “l’uso legittimo dei loro strumenti da parte delle forze dell’ordine e dell’antiterrorismo”, si riscontra l’uso contro “giornalisti, attivisti per i diritti umani, dissidenti e politici di partiti di opposizione” (utenti ad alto rischio, secondo la definizione del colosso informatico). Secondo Meta, solo “un approccio comprensivo al blocco di questa minaccia nel nostro settore e nella società può porre un freno significativo ai gruppi spyware”.

Le italiane nel mirino

Entrambe le aziende fanno i nomi di alcune aziende italiane del settore. La prima è Cy4Gate. Partecipata da Elettronica e quotata in Borsa, l’azienda con sede a Roma si occupa di intelligenza artificiale e cybersecurity e a settembre 2023 iscriveva a bilancio ricavi per 44,9 milioni per i primi nove mesi dell’anno. Nel suo rapporto Meta dichiara di aver rimosso una rete di account falsi su Facebook e Instagram che sarebbero collegati a Cy4Gate, con immagini generate con l’intelligenza artificiale, usati per raccogliere informazioni pubbliche sui loro obiettivi.

Sulla stessa scia avrebbe agito, secondo Menlo Park, anche Rcs Lab, società controllata di Cy4Gate nata nel 1993 e specializzata in software dedicati alle attività investigative delle forze dell’ordine. Meta dice di aver abbattuto una rete di profili falsi, operativa da Italia, Kazakhstan e Mongolia. Tra le tecniche attribuite a Rcs Lab, vi sono account fake di dimostranti, giornalisti o giovane donne, sfruttati per ingannare le persone sorvegliate sui social (compreso LinkedIn), inviare link malevoli (usati per tracciare gli indirizzi Ip degli obiettivi) o spingerli a condividere email o numeri di telefoni o, ancora, per trasmettere documenti Word infettati (per esempio, volantini di petizioni governative). Con questi strumenti Rcs Lab avrebbe consentito di spiare giornalisti e dissidenti in Mongolia, Kazakhstan e Azerbaijan. A ottobre un’inchiesta di Irpi Media ha svelato l’esistenza di un prodotto di Gy4Gate, Gens.AI, pensato per creare avatar virtuale da destinare alle forze dell’ordine per attività di indagine. Google invece menziona il ricorso a spyware, come Epeius di Cy4Gate o Hermit di Rcs Lab, per colpire dispositivi con sistemi operativi iOs o Android.

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Chi specula sulle proteste in Francia

Author: Wired

Dopo migliaia di arresti, 5mila veicoli incendiati e 45mila poliziotti schierati, le proteste in Francia per l’assassinio di un giovane da parte di un agente di polizia si sono attenuate. Ciò che però resta sono le storiche fratture presenti nella società francese, dovute al passato coloniale del paese e acuite da una retorica che vuole trovare il problema nell’etnia delle persone e non nelle diseguaglianze sociali.

La situazione:

  1. Le ronde della destra
  2. Le manipolazioni politiche

I disordini in FranciaI disordini in Francia dopo che la polizia ha ucciso un 17enne

Un agente ha sparato al cuore di un ragazzo, a distanza ravvicinata, per aver fatto ripartire l’auto dopo essere stato fermato

Le ronde della destra

A soffiare sul fuoco del problema, negli ultimi giorni, si sono aggiunte le ronde di alcuni militanti di estrema destra contro le persone francesi apparentemente non europee, per il loro colore della pelle, e una raccolta fondi a sostegno della famiglia dell’agente che ha sparato e ucciso il giovane, durante un controllo stradale di routine.

Le ronde di estrema destra hanno avuto luogo a Lione, centro storicamente legato alle formazioni politiche come il Rassemblemant national di Marine Le Pen, ad Angers, dove sono scesi in piazza i militanti del gruppo Alvarium, sciolto per violenze e razzismo nel 2021 ma tornato in vita con il nome Red Angers, a Lorient e a Chambery.

In tutto, si è trattato di poche decine di esaltati, armati però di mazze e spranghe, che hanno cominciato ad attaccare i manifestanti presenti nelle strade e nelle piazze al grido la Francia ai francesi o inneggiando all’autodifesa. La polizia ha provveduto a disperdere anche queste formazioni.

Le manipolazioni politiche

Più grave, sia secondo le forze di sinistra francese, sia secondo molti esponenti del governo Macron, come il ministro della Giustizia, Eric Dupond-Moretti, o il deputato Eric Bothorel, è la raccolta fondi lanciata per la famiglia dell’agente responsabile dell’omicidio che ha scatenato le proteste. L’iniziativa è stata lanciata da Jean Messiha, ex portavoce di Eric Zemmour, candidato di estrema destra alle ultime elezioni presidenziali, e ha raccolto oltre 900 mila euro in poche ore.

Come riporta il quotidiano francese Le Figaro, Dupond-Moretti ha accusato Messiha di voler strumentalizzare a fini politici l’evento, mentre Bothorel lo ha accusato di voler soffiare sul fuoco delle proteste. Olivier Faure, segretario del Partito socialista, l’ha invece descritta come vergognosa e ha chiesto alle autorità di bloccarla, com’era stato fatto durante le proteste dei gilet gialli, quando era stata attivata una raccolta fondi per un ragazzo che aveva picchiato un poliziotto.

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Twitter è fondamentale per le proteste in Iran

Anche se in Iran Twitter non è il social network più usato – WhatsApp, Instagram e Telegram sono tutti più popolari – come in molti altri paesi anche qui la piattaforma è usata per condividere ultime notizie e aggiornamenti in tempo reale. Twitter fa sì che l’Iran non diventi un buco nero dell’informazione. “È uno spazio fondamentale per la libera espressione, i contatti con amici e familiari, la mobilitazione in occasione di manifestazioni e anche per far rispondere i governi delle proprie azioni“, dice Grothe. “Stiamo vedendo come Twitter viene usato dalle persone che sono sul campo“, racconta invece Alimardani.

I video e le immagini condivisi dai manifestanti sono stati utilizzati per far luce sugli abusi commessi dalle forze di polizia e dalle autorità iraniane. Un’inchiesta della Bbc ha utilizzato i dati dei social media per aiutare a identificare giovani e bambini uccisi durante le proteste nel paese. Non esiste un registro ufficiale delle persone morte durante le manifestazioni e l’Hrana stima che siano state identificate solo 3400 persone tra quelle detenute dai funzionari, a fronte di oltre 18mila arresti.

Diversi account di alto profilo sia all’interno che all’esterno dell’Iran, appartenenti a persone che si trovano sul campo, membri della diaspora iraniana e ricercatori, stanno condividendo centinaia di video che riportano quello che sta accadendo nel paese. Il collettivo di attivisti 1500tasvir, per esempio, ha visto crescere i follower del suo profilo Twitter in farsi da 55mila a settembre ai circa 382mila attuali (negli ultimi due mesi anche l’account Instagram del gruppo è cresciuto sensibilmente, passando da 450mila follower a 1,7 milioni).

Non è possibile trovare notizie normali o accurate sulla tv iraniana, perché all’interno del paese non esiste una piattaforma indipendente“, racconta Saeed Bagheri, docente di diritto internazionale presso la University of Reading. Secondo Bagheri, le persone che utilizzano Twitter in Iran sono state “davvero efficaci nel condividere notizie di prima mano sulle violazioni dei diritti umani e sulla brutalità delle repubbliche islamiche contro le proteste pacifiche“. Il 24 novembre, le Nazioni unite(Onu) hanno aperto un’indagine sulle “violenze mortali contro i manifestanti“, citando le immagini di coloro che hanno subito abusi. Una rappresentante iraniana, invece, ha dichiarato che le autorità del paese hanno adottato le “misure necessarie“.

Source: wired.it