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Meta testa il crossposting da Instagram a Threads

Author: Wired

Meta continua a incrementare il coinvolgimento del pubblico su Threads, il social competitor di X, attraverso Instagram. Secondo quanto segnalato da alcuni utenti in rete, e poi confermato dalla compagnia a TechCrunch, al momento è in fase di test un’opzione per il crossposting da Instagram a Threads. A partire dalla mattinata di ieri, infatti, un gruppo selezionato di persone ha cominciato a vedere un interruttore che consente di condividere le foto in pubblicazione su Instagram anche su Threads a loro discrezione, con la possibilità di scegliere se abilitare o meno la pubblicazione automatica dei contenuti sulle due piattaforme.

Questo significa che, almeno per il momento, l’opzione di crossposting non riguarderà i Reels, che rimarranno un’esclusiva del social più longevo tra i due. Per quanto possa sembrare insolita, la mossa di Meta non stupisce affatto: considerando che Instagram sta diventando sempre di più una piattaforma dedicata ai contenuti video, la compagnia sta cercando di rendere Threads il “luogo” destinato a ospitare le foto dei suoi utenti – un po’ come lo era Instagram all’inizio della sua carriera -. Allo stesso tempo, è innegabile che Meta stia cercando di fare tutto quello che le è possibile per ampliare il pubblico del nuovo social, che lo scorso mese ha superato il record dei 150 milioni di utenti attivi mensili.

Un traguardo importante, reso possibile dal supporto dato a Threads dalle altre piattaforme di proprietà della compagnia: già a partire dallo scorso anno, infatti, Meta ha cominciato a promuovere alcuni dei post di Threads su Instagram e Facebook. Poi, appena qualche mese fa, ha avviato un test per l’opzione di crossposting da Facebook a Threads. E, come se non bastasse, la società ha lanciato un programma di bonus per i creator attivi su Threads, al fine di incentivare gli account con un alto numero di follower a pubblicare sul social network. Insomma, Meta ce la sta mettendo tutta per fare decollare la sua nuova app. E sembra proprio che ci stia riuscendo.

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Instagram lancia quattro nuove funzioni per le Stories

Author: Wired

Instagram rilascia ancora nuove funzionalità. Nella giornata di oggi, infatti, la piattaforma ha annunciato il lancio di quattro nuovi sticker per le Stories. Tra questi, il più interessante sembra essere il “Tocca a te musicale”, che “consente di condividere una canzone che si adatta al vostro stato d’animo con i vostri follower”, che a loro volta possono rispondervi utilizzando il loro brano preferito del momento, piuttosto che ricorrere alle tradizionali foto o video. Un’opzione che ha creato entusiasmo tra il pubblico, considerando che la piattaforma ha scelto di presentarla in collaborazione con Dua Lipa, proprio a ridosso dell’uscita del suo nuovo album Radical Optimism.

Per i nostalgici delle foto istantanee, invece, Instagram annuncia lo sticker “Cornice”, in grado di trasformare qualunque scatto in una Polaroid. In ogni senso. Per riuscire a visualizzare l’immagine, infatti, i vostri follower dovranno scuotere lo smartphone, proprio come si faceva quando si utilizzavano le vecchie macchinette fotografiche. Ma non è tutto. Se avete un animo creativo, apprezzerete sicuramente anche la nuova funzione “Ritagli”, pensata per trasformare “una parte di un qualsiasi video o foto presente nel rullino fotografico in un adesivo personalizzato da aggiungere alla propria storia o al proprio Reel”. Utilizzando poche e semplici mosse, la piattaforma vi consente così di creare stickers nuovi, perfetti da condividere con gli amici, soprattutto nelle situazioni più imbarazzanti.

Infine, ecco un adesivo pensato anche per i più timidi sulla piattaforma, “Rivela”. Grazie a questa nuova opzione, infatti, gli utenti avranno la possibilità di “pubblicare una storia nascosta da far scoprire ai propri amici e follower”. Come? Basterà inviarvi un messaggio privato per scoprire cosa avete pubblicato nelle vostre Instagram Stories. Insomma, tante nuove funzioni in arrivo sulla piattaforma, che vuole così incentivare la creatività dei suoi creator. Piccoli o grandi che siano.

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L’Europol dichiara guerra alla crittografia end-to-end

Author: Wired

L’Ufficio di polizia europeo (Europol) ha diffuso una dichiarazione per chiedere la rimozione della crittografia end-to-end dalle app di messaggistica istantanea come WhatsApp e Messenger, in quanto la tecnologia starebbe minando la capacità dell’ente di garantire la sicurezza dei cittadini europei. “Le nostre case stanno diventando più pericolose delle strade perché il crimine si è spostato online. Le aziende tecnologiche hanno la responsabilità sociale di sviluppare un ambiente più sicuro in cui le forze dell’ordine e la giustizia possano svolgere il loro lavoro“, ha detto Catherine De Bolle, direttore esecutivo di Europol.

L’appello dell’Europol

Il documento sottolinea che l’Europol è a favore dello sviluppo di innovazioni che rafforzino la privacy dei cittadini online. “Tuttavia, non accettiamo che sia necessario fare una scelta tra sicurezza informatica e sicurezza pubblica”. L’organizzazione ha invitato le aziende tecnologiche a incorporare strumenti di sicurezza nella progettazione delle proprie applicazioni in modo da “garantire la capacità di identificare e segnalare attività dannose e illegali”, e ha esortato i governi europei a definire quadri normativi che “forniscano le informazioni necessarie per mantenere la sicurezza dei cittadini“.

Per stessa ammissione dell’Europol, l’allarme è stato innescato dalla decisione da parte di Meta, all’inizio di quest’anno, di implementare la crittografia end-to-end nel suo ecosistema di comunicazione. Il colosso di Mark Zuckerberg ha adottato un protocollo Signal chiamato “perfect forward secrecy” che nel caso di una compromissione di una chiave a lungo termine assicura che le chiavi di sessione rimangono riservate. La mossa dell’azienda risponde in parte alla necessità di conformarsi ai requisiti del Digital markets act, la normativa europea che prevede che i principali servizi di messaggistica siano interoperabili. La stessa direzione in cui va lo standard di Signal, che consente agli utenti di comunicare tra le varie piattaforme con lo stesso livello di sicurezza e privacy.

Quando un’app di messaggistica viene installata su uno smartphone, la maggior parte dei sistemi di crittografia genera una coppia di chiavi: una pubblica e una privata. La chiave pubblica viene inviata al server della piattaforma di comunicazione e utilizzata per identificare l’utente, mentre quella privata rimane sul dispositivo dell’utente per convalidare l’autenticità. Se la chiave privata viene compromessa, tutti i messaggi possono essere esposti alla decrittazione. Anche se l’utente ha cancellato le informazioni dal dispositivo, il codice può comunque rivelare qualsiasi messaggio. Il protocollo Signal, invece, utilizza un sistema che genera password private temporanee per ogni messaggio e utente. Il meccanismo garantisce che solo le persone coinvolte in una conversazione conoscano il contenuto della stessa. Le informazioni sono inaccessibili anche alle società che gestiscono i servizi.

Attacco alla crittografia end-to-end

Le misure di privacy attualmente in fase di implementazione, come la crittografia end-to-end, impediranno alle aziende tecnologiche di rilevare eventuali illeciti sulle loro piattaforme. Inoltre, ostacoleranno la capacità delle forze dell’ordine di ottenere e utilizzare queste prove nelle indagini per prevenire e perseguire i reati più gravi, come gli abusi sessuali sui minori, il traffico di esseri umani, il contrabbando di droga, gli omicidi, la criminalità economica e il terrorismo“, ha avvertito Europol.

La dichiarazione dell’ufficio di polizia dell’Unione europea è una delle più esplicite prese di posizione pubbliche contro la crittografia. Nell’aprile dello scorso anno, la Virtual global taskforce, l’agenzia internazionale di polizia che si occupa di contrastare gli abusi sessuali sui minori online, si è scagliata contro le big tech per la massiccia implementazione della crittografia al fine di garantire il massimo livello di privacy per gli utenti. Secondo l’associazione le funzioni che garantiscono la privacy “mettono a rischio la sicurezza dei bambini“, rendendo molto più complesso per la polizia identificare i colpevoli di abusi.

Nel 2022 la Commissione europea ha presentato una bozza che mirava a eliminare di fatto la crittografia end-to-end sulle piattaforme di messaggistica istantanea. Il regolamento sugli abusi sessuali sui minori (Csar) è stato valutato e votato dal Parlamento in ottobre, ma i legislatori hanno respinto la proposta della commissaria europea per gli Affari interni Ylva Johansson.

Questo articolo è apparso precedentemente su Wired en español.

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Meta e Google hanno messo nel mirino gli spyware made in Italy

Author: Wired

Prima Google, poi Meta. A distanza di pochi giorni l’industria di spyware e sistemi di sorveglianza è finita sotto la lente di due tra i colossi mondiali del digitale. Che raccontano di reti di account fasulli, trojan mascherati da app legittime, vulnerabilità sfruttate per infettare i dispositivi di giornalisti, attivisti, dissidenti e politici di opposizione. E puntano il dito contro alcune aziende italiane del settore. I nomi di Cy4Gate (che respinge gli addebiti), Negg Group e Ips Intelligence (che invece non hanno risposto alle domande di Wired), sono stati messi nero su bianco in due rapporti usciti a inizio febbraio e firmati dai reparti di cybersecurity di Big G e della holding di Facebook, Instagram e Whatsapp.

Il tempismo non è casuale. Lo scorso 6 febbraio a Londra, alla Lancaster House, 27 tra Stati e unioni internazionali, tra cui Italia, Francia, Stati Uniti e Regno Unito, 14 aziende del settore digitale (come Meta e Microsoft) e 12 tra organizzazioni non governative e università hanno sottoscritto il Pall Mall Process, un’iniziativa internazionale per mettere a freno l’uso indiscriminato di spyware e altri strumenti di sorveglianza online. “Il danno non è ipotetico”, scrive Google nell’attacco del suo rapporto: sebbene i fornitori rivendichino “l’uso legittimo dei loro strumenti da parte delle forze dell’ordine e dell’antiterrorismo”, si riscontra l’uso contro “giornalisti, attivisti per i diritti umani, dissidenti e politici di partiti di opposizione” (utenti ad alto rischio, secondo la definizione del colosso informatico). Secondo Meta, solo “un approccio comprensivo al blocco di questa minaccia nel nostro settore e nella società può porre un freno significativo ai gruppi spyware”.

Le italiane nel mirino

Entrambe le aziende fanno i nomi di alcune aziende italiane del settore. La prima è Cy4Gate. Partecipata da Elettronica e quotata in Borsa, l’azienda con sede a Roma si occupa di intelligenza artificiale e cybersecurity e a settembre 2023 iscriveva a bilancio ricavi per 44,9 milioni per i primi nove mesi dell’anno. Nel suo rapporto Meta dichiara di aver rimosso una rete di account falsi su Facebook e Instagram che sarebbero collegati a Cy4Gate, con immagini generate con l’intelligenza artificiale, usati per raccogliere informazioni pubbliche sui loro obiettivi.

Sulla stessa scia avrebbe agito, secondo Menlo Park, anche Rcs Lab, società controllata di Cy4Gate nata nel 1993 e specializzata in software dedicati alle attività investigative delle forze dell’ordine. Meta dice di aver abbattuto una rete di profili falsi, operativa da Italia, Kazakhstan e Mongolia. Tra le tecniche attribuite a Rcs Lab, vi sono account fake di dimostranti, giornalisti o giovane donne, sfruttati per ingannare le persone sorvegliate sui social (compreso LinkedIn), inviare link malevoli (usati per tracciare gli indirizzi Ip degli obiettivi) o spingerli a condividere email o numeri di telefoni o, ancora, per trasmettere documenti Word infettati (per esempio, volantini di petizioni governative). Con questi strumenti Rcs Lab avrebbe consentito di spiare giornalisti e dissidenti in Mongolia, Kazakhstan e Azerbaijan. A ottobre un’inchiesta di Irpi Media ha svelato l’esistenza di un prodotto di Gy4Gate, Gens.AI, pensato per creare avatar virtuale da destinare alle forze dell’ordine per attività di indagine. Google invece menziona il ricorso a spyware, come Epeius di Cy4Gate o Hermit di Rcs Lab, per colpire dispositivi con sistemi operativi iOs o Android.

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Buon compleanno Facebook, in 20 anni hai rovinato il mondo

Author: Wired

Alla fine del 2007, quando il mondo era così recente che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito, un amico del liceo mi parlava con fare appassionato di un sito a cui alcune sue conoscenze americane l’avevano fatto iscrivere. “È un social network, dove puoi parlare con la gente che conosci e guardare cosa fa”, mi spiegava, incontrando la mia incapacità di comprendere di cosa stesse parlando ma convincendomi, nel giro di poche settimane, a iscrivermi a mia volta.

Non sapevamo – né io, né lui – che nel giro di pochi anni quel sito, Facebook, sarebbe diventato un sinonimo intercambiabile del concetto di “social network” nelle menti di miliardi di persone, e il protagonista assoluto della prassi, della cultura e dell’immaginario di un’intera epoca.

Come è iniziata

In The Social Network, il film premiato con l’Oscar di David Fincher che mette in scena il mito della fondazione di Facebook, il protagonista Jesse Eisenberg delinea il target di espansione del prodotto: “È gente che conosce gente, e mi servono le loro email”. Ma il personaggio interpretato da Eisenberg, Mark Elliot Zuckerberg, nato il 14 maggio 1984 a White Plains, New York, è tutt’altro che un aspirante socialite in cerca di rivalsa: “Il mio obiettivo non è mai stato quello di rendere Facebook figo. Non sono una persona cool e non ho mai cercato di esserlo”, commenterà a distanza di qualche anno, già seduto su un impero digitale su cui non tramonta mai il profitto, aggiungendo anche di essersi sentito “ferito” da alcune rese del lungometraggio.

In ogni caso, gli annali dicono che il 4 febbraio del 2004 Mark Zuckerberg, uno studente al secondo anno di Harvard, presenta TheFacebook, una piattaforma rudimentale che ha costruito in due settimane grazie alle sue capacità informatiche. Il giorno successivo duemila studenti di Harvard avevano già il loro profilo sul sito. Alla fine dell’anno il network aveva conquistato gli altri atenei dell’Ivy League, l’investitore Peter Thiel ci aveva scommesso i primi 500mila dollari e c’era ormai un milione di profili. Tolto l’articolo dal nome, ad agosto del 2005 l’impresa diventava semplicemente “Facebook”. Avvolgi veloce e nel 2023, quando ormai Facebook è considerato – e da tempo – un social network considerato quasi morente, lontano dai giovani e certamente non cool, quasi in ossequio del volere del suo fondatore, tre miliardi di persone si loggano sulla piattaforma almeno una volta al mese. Fa più di un terzo della popolazione del pianeta.

Come è andata a finire

A ottobre del 2003, il giovane nerd che sarebbe diventato re aveva già tentato una prima ascesa alla vetta del successo presentando FaceMash, un sito che accostava le foto di due ragazze random del campus – ottenute dal giovane Zuckerberg hackerando gli archivi dell’ateneo, in barba a qualsiasi norma sulla privacy – per far votare la più carina. Alle donne di Harvard, mirabile dictu, l’idea non era piaciuta; agli studenti maschi, moltissimo. Senonché dopo qualche giorno l’università ha chiuso per decreto il sito, che aveva già iniziato ad attirare migliaia di visitatori.

Qualche anno fa, nel 2018, nei giorni della prima grande audizione di “Zuck” davanti al Congresso americano per lo scandalo Cambridge Analytica, un tweet beffardo e virale aveva accostato il volto madido di sudore e lo sguardo atterrito del fondatore di Facebook, incalzato dai senatori, alla didascalia: “La faccia di quando volevi solo un modo più veloce per classificare le ragazze in base all’aspetto e hai finito per instaurare un governo fascista nel paese più potente del pianeta”.