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Il controllo parentale di Apple ha un problema

Author: Wired

Apple ha un serio problema con una funzione di controllo parentale. Secondo quanto riferito dal Wall Street Journal, un bug che interessa iPhone, iPad e iPod Touch ha impedito il corretto funzionamento dell’opzione “Tempo di utilizzo”, che permette ai genitori di gestire il modo in cui i figli utilizzano i propri dispositivi Apple, impostando i limiti di tempo entro cui possono farne l’uso che vogliono. Di conseguenza, moltissimi bambini hanno interagito con app e giochi per un tempo indefinito, in alcuni casi entrando in contatto con contenuti riservati agli adulti a causa della mancata adozione delle giuste restrizioni.

Pensavo che mio figlio avesse trovato un modo per indovinare ogni volta il pin che ho inserito”, ha raccontato un genitore al WSJ, lamentando il fatto che suo figlio riuscisse ad avere accesso al suo iPad a proprio piacimento. Con il bug in corso, infatti, moltissimi genitori non sono riusciti a utilizzare al meglio l’opzione, fallendo completamente nel tentare di impostare i limiti d’uso dei dispositivi per i più piccoli. Un problema che, stando alle segnalazioni presenti sui forum Apple, risale addirittura al dicembre 2022. E che persiste tuttora, nonostante la compagnia abbia cercato di risolvere il problema con il rilascio di iOS 16.5 , pensato per risolvere “un problema in cui le impostazioni del ‘Tempo di utilizzo’ potrebbero essere ripristinate o non sincronizzate su tutti i dispositivi”.

Di tutta risposta, Apple ha già fatto sapere di essere a lavoro per riuscire a trovare una soluzione definitiva al bug che affligge le sue funzioni di controllo parentale. “Abbiamo preso nota del fatto che alcuni utenti potrebbero riscontrare un problema in cui le impostazioni del ‘Tempo di utilizzo’ vengono reimpostate in modo imprevisto – ha dichiarato un portavoce della compagnia -. Prestiamo molta attenzione a questi report e abbiamo fatto e continueremo a fare aggiornamenti per migliorare la situazione”.

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Call of Duty finisce nel mirino dei cybercriminali

Author: Wired

Call of Duty: Modern Warfare 2 è nel mirino degli hacker, che da settimane attaccano i giocatori con un worm – ossia un malware in grado di autoreplicarsi -, che si sta diffondendo rapidamente tra le lobby (cioè le schermate di menu di gioco) online. A segnalarlo è stato proprio un giocatore, che lo scorso 26 giugno ha pubblicato su un forum di Steam un post in cui avvertiva chiaramente che gli hacker “attaccano usando lobby compromesse”, suggerendo agli altri giocatori di utilizzare un antivirus per difendersi dal malware in questione.

A confermare la segnalazione del giocatore, a cui ne sono seguite molte altre, è arrivato un messaggio condiviso dall’account Twitter ufficiale degli aggiornamenti del titolo di Activision: “Il multiplayer di Call of Duty: Modern Warfare 2 (2009) su Steam è offline mentre indaghiamo sulle segnalazioni di un problema”. E sebbene non vi sia alcun riferimento chiaro agli attacchi degli hacker, è abbastanza evidente che le due cose siano collegate tra loro. Al di là di questo, quello che risulta essere davvero preoccupante è che gli hacker hanno scelto di attaccare il gioco con un worm, ossia un malware che passa rapidamente da un giocatore “infetto” all’altro, finendo con il diffondersi ovunque in pochissimo tempo.

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A un’analisi più attenta, sembrerebbe proprio che gli hacker abbiano trovato una o più vulnerabilità all’interno del gioco, che stanno sfruttando per eseguire un codice dannoso sui dispositivi dei giocatori. Il perché abbiano scelto di colpire proprio Call of Duty: Modern Warface 2, però, non è ancora chiaro. Soprattutto considerando che il titolo vanta una community alquanto ridotta di giocatori – in questo preciso momento, per esempio, ci sono 300 persone impegnate nel gioco -. In ogni caso, i giocatori sono in attesa di ricevere notizie al riguardo, così da capire se il titolo è stato messo in sicurezza o meno. In fondo, è piuttosto raro che gli hacker riescano a insidiarsi in un videogioco in questo modo. E questo potrebbe richiedere un po’ di tempo prima che tutto torni in ordine.

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Economia Tecnologia

Gli Stati Uniti regolano l’intelligenza artificiale in Borsa

Author: Wired

Le società di investimento statunitensi quotate in borsa dovranno identificare eventuali conflitti di interesse relativi al loro uso dell’intelligenza artificiale ed eliminarli, nonché mettere in campo politiche e procedure utile a prevenire qualsiasi violazione. È questa, come riporta il Washington Post, l’ultima proposta normativa della Commissione per i titoli e gli scambi (Sec), l’ente federale preposto alla vigilanza delle borse valori.

La decisione dell’organo, che è la prima in questo senso di un’agenzia federale e nasce di fatto sull’onda lunga della mania delle azioni meme del gennaio 2021, va nella direzione di vietare alle realtà di Wall Street di utilizzare la tecnologia per aumentare i propri guadagni a discapito degli interessi dei propri clienti.

Se due anni e mezzo fa a preoccupare le autorità rispetto all’operato di broker online come Robinhood era stato il fatto che esse stessero rendendo l’esperienza di trading simile a un gioco con l’intento di incoraggiare operazioni rischiose, oggi la Sec vuole evitare che le aziende del comparto possano utilizzare i dati delle persone per cercare di indirizzare il loro comportamento e sollecitare la loro volontà di investire denaro.

I consulenti saranno dunque ora chiamati obbligatoriamente non soltanto a lavorare per suggerire ai propri clienti scelte che sposino unicamente i loro interessi ma anche, qualora operino online, a intendere estese le normative che riguardano il conflitto di interessi alle nuove tecnologie.

L’intelligenza artificiale – ha affermato il presidente della Sec Gary Genslerpresenta delle complessità. Ma c’è una domanda strategica al contempo elementare e di alto livello: stai ottimizzando solo per gli investitori o stai ottimizzando anche per i robo advisor? Questo sarebbe un conflitto diretto“.

Già da diverso tempo Gensler sta esprimendo pubblicamente le proprie preoccupazioni rispetto ai potenziali pericoli che l’intelligenza artificiale potrebbe presentare per la stabilità finanziaria, rendendo sistema la raccolta di dati degli investitori con il fine di sfruttarli per effettuare operazioni destabilizzanti per il mercato.

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Tecnologia

Google Bard ha qualche problema di sicurezza

Author: Wired

Non è passata neppure una settimana dal lancio di Google Bard in Italia, ed ecco che il sistema comincia già a mostrare le prime criticità, che gli esperti di sicurezza etichettano come pericolose se sfruttate al meglio dai cybercriminali. Nonostante il colosso tecnologico abbia definito il suo chatbot come uno strumento in grado di “dare la carica alla vostra immaginazione, esaltare la vostra produttività e aiutarvi a dare vita alle vostre idee”, i ricercatori di Check Point hanno scoperto anche un lato oscuro dell’AI di Google. Attraverso una serie di analisi attentamente condotte, infatti, questi sono riusciti a dimostrare che Bard può essere utilizzato per creare email di phishing, ammesso che la richiesta non gli venga palesata in maniera esplicita.

Chiedendo al chatbot di avere un esempio di un’email di phishing, però, i ricercatori sono riusciti ad aggirare il sistema e a ottenere un messaggio che simula alla perfezione la proposta di un servizio finanziario da utilizzare in un ipotetico attacco di phishing. Una richiesta che è stata esaudita da Bard, ma non da ChatGpt, che risulta essere ben più moderato quando si tratta di contenuti malevoli. Lo stesso atteggiamento, infatti, è stato assunto dai due chatbot quando i ricercatori hanno chiesto loro di produrre un esempio di un codice malware. Mentre ChatGpt ha fornito una spiegazione alquanto dettagliata del perché non fosse possibile rispondere a una richiesta di questo tipo, Bard è stato più generico. E non è tutto, perché alla richiesta di produrre un codice per un keylogger generico, il chatbot di Google non ha fatto alcuna obiezione, mentre ChatGpt ha subito riconosciuto la domanda come potenzialmente illecita.

Infine, entrambi i chatbot sembrano aver risposto in modo positivo quando i ricercatori di Check Poin hanno richiesto “un key logger volto a registrare gli input provenienti dalla tastiera allo scopo di registrare la sequenza di tasti digitata dall’utente”. A quanto pare, però, questo si tratta del solo caso in cui è stato possibile utilizzare ChatGpt per scopi malevoli nel corso dell’indagine. In linea di massima, infatti, Google Bard non sembrerebbe avere restrizioni particolari di sicurezza, il che permette a chiunque di utilizzarlo per organizzare truffe in rete.

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Tecnologia

Il carcere di Guantánamo è un buco nero ormai dimenticato

Author: Wired

Per la prima volta dopo oltre 21 anni dalla sua apertura, avvenuta l’11 gennaio 2002 all’interno della base navale americana situata nella zona sud dell’isola di Cuba, il governo degli Stati Uniti ha concesso alle Nazioni Unite l’accesso al campo di prigionia di Guantánamo. Una “visita tecnica” che si è conclusa il 26 giugno scorso e che ha avuto come primo risultato un fitto report di 23 pagine, nel quale la rappresentante Onu Fionnuala Ní Aoláin detta come priorità la definitiva chiusura del luogo simbolo della “lotta al terrorismo, inaugurato dall’amministrazione guidata da George W. Bush a seguito dell’attacco alle Torri Gemelle. La special rapporteur ha avuto colloqui in forma privata con gli attuali 30 detenuti, con il personale militare e medico della base e, precedentemente alla visita, con i familiari e con l’associazione Cage, fondata da ex detenuti di Guantánamo.

La relatrice speciale Onu vede come un “segnale positivo” la disponibilità dell’amministrazione Biden a concedere l’acceso a una zona militare extraterritoriale da sempre interdetta a qualsiasi controllo e nella quale ai 780 detenuti, tutti uomini di religione musulmana catturati nel corso dei due decenni precedenti in Afghanistan, Pakistan e Yemen con l’accusa di terrorismo, è stato negato qualsiasi diritto fondamentale. Persone che “non hanno alcun tipo di relazione con quanto avvenuto l’11 settembre 2001” e che, tuttavia, hanno vissuto o vivono tuttora l’esperienza di continui traumi fisici e psicologici. Per molti detenuti “la linea di separazione tra il passato e il presente è straordinariamente sottile, se non inesistente: le passate esperienze di tortura, costantemente rivissute nel presente, non hanno possibilità di risolversi in ragione del fatto che i detenuti non hanno ricevuto dal governo americano alcun tipo di terapia riabilitativa in grado di sanare il trauma subìto”.

Prigioniero

PrigionieroSabri al-Qurashi, per gentile concessione

Problemi cronici

Se le condizioni materiali a Guantánamo sono “nettamente migliorate rispetto al periodo nel quale sono arrivati i primi prigionieri e agli anni successivi, in cui il luogo “era caratterizzato da brutalità sistematiche e istituzionalizzate”, vi sono tuttora aspetti estremamente critici. Sebbene sia garantita un’assistenza medica di base, gli specialisti e le facilities che dovrebbero occuparsi della riabilitazione dei traumi dovuti alla tortura “non sono strutturate per affrontare disabilità permanenti, traumi cerebrali, dolore cronico e tutte le manifestazioni connesse, così come l’assenza per 21 anni del supporto emotivo dato dalla famiglia e dalla comunità di appartenenza”. Grazie al costante impegno dei legali e della Croce rossa internazionale è stata gradualmente implementata la possibilità di comunicare con familiari, che tuttavia, in alcuni casi, “hanno appreso dopo oltre 15 anni della detenzione a Guantánamo di un loro congiunto”. Alcuni detenuti hanno preferito evitare le chiamate per “paura di ritorsioni verso i familiari da parte del governo degli Stati Uniti o del Paese di origine” e in un caso “solo la madre del detenuto è riuscita a identificare in una video call il figlio, ormai irriconoscibile a causa del rapido processo di invecchiamento”.

Dopo oltre vent’anni, la realtà di Guantánamo corre il rischio di venire dimenticata secondo l’ultimo rapporto della Seton Hall Law School di Newark, firmato da Mark Denbeaux, che in American Torturers: Fbi and Cia Abuses at Dark Sites and Guantánamo denuncia come gli Stati Uniti abbiano distrutto o nascosto tutte le prove video delle sistematiche torture inflitte ai detenuti. L’unica testimonianza visiva di quanto accaduto sono i disegni dell’artista yemenita Abu Zubaydah, assistito da Denbeaux, e prima vittima delle “enhanced interrogation techniques”, sottoposto 83 volte alla “simulazione di annegamento” (waterboarding). I 40 disegni sono stati pubblicati da The Guardian e, prima ancora, esposti nella mostra Remaking the Exceptional. Tea, Torture, and Reparations. Chicago to Guantánamo al DePaul Art Museum di Chicago.

Una mostra per denunciare

Guantánamo non è un caso eccezionale ma costituisce l’ordinaria modalità di funzionamento del sistema carcerario statale”, affermano i due curatori, Aaron Huges, artista e veterano della guerra in Iraq, e Amber Ginsburg, docente di arti visive all’università di Chicago. Ed è qui, nella terza più grande città degli Stati Uniti che, tra gli anni Settanta e Ottanta, oltre un centinaio di persone di colore sono state vittime delle torture del capo del Dipartimento di Polizia, Jon Burge. Tra le modalità di tortura più “efficaci”, le scariche elettriche generate da un dispositivo, in gergo detto “black box”, nato dall’adattamento di una invenzione dello scienziato serbo Nikola Tesla, utilizzato anche dai soldati americani durante la guerra in Vietnam.

Nel lavoro di ricostruzione fatto dai curatori, nel recupero di opere d’arte e nel raffronto tra i racconti dei detenuti rinchiusi a Guantánamo e quelli delle vittime di Burge, oltre che da inchieste giornalistiche, è emerso un filo rosso che lega le due esperienze. Anche il report delle Nazioni Unite conclude che l’eccezionalità, la discriminazione e la narrazione in chiave “anti-terroristica” per giustificare le violenze perpetrate a Guantánamo “hanno avuto effetti che vanno ben oltre i suoi confini con enormi conseguenze sui diritti umani in più Paesi”.

Crediamo, e sogniamo, che l’arte rappresenti una forma di giustizia riparativa, di affermazione di libertà e di guarigione – affermano Hughes e Ginsburg -. La giustizia è una pratica. Come diciamo in Remaking the Exceptional, le riparazioni sono un modo per rimediare i torti, un percorso verso la guarigione, un passo verso la giustizia”.