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Contro Ilaria Salis monta un’ondata di odio

Author: Wired

I ceppi alle mani e alle caviglie e una sorta di guinzaglio in vita: le immagini di Ilaria Salis, l’attivista monzese di 39 anni detenuta da un anno in Ungheria con l’accusa di aggressione ai danni di due militanti neonazisti, poi dimessi dall’ospedale con una prognosi di pochi giorni, hanno fatto il giro di web e televisioni di tutta Europa. La potenza dei fotogrammi provenienti dalla corte magiara ha scosso l’Italia. Per qualche ora, parevano calate le divisioni tra destra e sinistra sul caso Salis, che rischia 11 anni di detenzione, a lungo disatteso dal governo e divenuto di interesse nelle ultime settimane. Prima con l’incontro tra la famiglia di Ilaria Salis e il ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Poi con la telefonata della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, all’omologo ungherese, Viktor Orbán, dopo le immagini sul trattamento della 39enne in aula a Budapest. La realtà, però, è diversa. C’è chi soffia sul fuoco. E il popolo degli odiatori ha risposto alla chiamata.

Ilaria Salis, la trentanovenne attivista monzese

La prima udienza sul caso Ilaria Salis

Si è chiusa senza grosse sorprese perché di tipo tecnico, mentre si lavora per riportare l’attivista detenuta da un anno in Ungheria in Italia. Presenti militanti neonazisti in tribunale

L’attacco della Lega

Nella mattinata di mercoledì 31 gennaio un comunicato della Lega per Salvini premier sul tema rievoca un vecchio caso che vede coinvolta Ilaria Salis. Il riferimento è alla contestazione di un banchetto del partito a Monza. “Il 18 febbraio 2017 – prosegue il testo – a Monza, un gazebo della Lega veniva assaltato da decine di violenti dei centri sociali, e le due ragazze presenti attaccate con insulti e sputi da un nutrito gruppo di facinorosi. Per quei fatti Ilaria Salis è finita a processo, riconosciuta dalle militanti della Lega. Le sue vicissitudini offrono l’opportunità di ribadire che il legittimo esercizio del dissenso non può mai sfociare in episodi di violenza, soprattutto come quelli messi in atto contro giovani indifese aggredite da un branco come successo a Monza”.

Tuttavia, come ha spiegato Eugenio Losco, legale della donna, Salis “è stata assolta per non aver commesso il fatto”. E ha aggiunto che “non è stata affatto individuata dalle due militanti della Lega ma solo individuata come partecipante al corteo che si svolgeva quel giorno a Monza da un video prodotto in atti. Il giudice nella sentenza ha specificato che risulta aver partecipato solo al corteo senza in alcun modo aver partecipato all’azione delittuosa di altre persone né di aver in qualche modo incoraggiato o supportato altri a farlo”. Peraltro, la Lega non si è costituita parte civile nel processo in cui lo stesso pubblico ministero ha chiesto l’assoluzione, decisa dal giudice per tutti gli imputati.

L’idea del Carroccio era di dirottare la narrazione di questi giorni. Ma mentre il governo, dopo mesi di totale assenza e distrazione, ha iniziato a muoversi, tra la telefonata di Meloni e le mediazioni di Nordio e del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, il segretario della Lega e ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha preso parola per criticare Salis: “Non è accettabile che vada in aula in catene. Ma vi pare normale che una maestra elementare vada in giro per l’Europa a picchiare e sputare alla gente?”.

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Chi si sta muovendo per chiedere la scarcerazione di Ilaria Salis

Il governo Meloni non ha fatto ancora nulla per aiutare l’italiana in detenzione preventiva a Budapest da ormai un anno. Al suo fianco della donna e della famiglia la senatrice Ilaria Cucchi e i garanti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale

Gli account social

Anche sui social monta l’odio contro Ilaria Salis. Il campionario, purtroppo, è vastissimo ed è X, l’ex Twitter, come spesso accade, a dare il peggio di sé, con una moderazione inefficace che ossequia le nuove linee guida di Elon Musk. Tra gli hashtag in tendenza ci sono #Ilariafattilagalera e #Ilariasalisingalera. A sfogare la violenza sono account ascrivibili all’area di destra e dei complottisti. Uno pubblica un video, probabilmente generato con l’intelligenza artificiale, che mostra una donna in ginocchio al guinzaglio, con tanto di medaglietta, condotta in un furgone da un accalappiacani. Hashtag: #ilariafattilagalera. In un altro caso si fanno commenti violenti sul fisico di Ilaria Salis, mettendo in dubbio le dure condizioni del carcere in Ungheria e accusandola di essersela cercata.

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Il carcere di Guantánamo è un buco nero ormai dimenticato

Author: Wired

Per la prima volta dopo oltre 21 anni dalla sua apertura, avvenuta l’11 gennaio 2002 all’interno della base navale americana situata nella zona sud dell’isola di Cuba, il governo degli Stati Uniti ha concesso alle Nazioni Unite l’accesso al campo di prigionia di Guantánamo. Una “visita tecnica” che si è conclusa il 26 giugno scorso e che ha avuto come primo risultato un fitto report di 23 pagine, nel quale la rappresentante Onu Fionnuala Ní Aoláin detta come priorità la definitiva chiusura del luogo simbolo della “lotta al terrorismo, inaugurato dall’amministrazione guidata da George W. Bush a seguito dell’attacco alle Torri Gemelle. La special rapporteur ha avuto colloqui in forma privata con gli attuali 30 detenuti, con il personale militare e medico della base e, precedentemente alla visita, con i familiari e con l’associazione Cage, fondata da ex detenuti di Guantánamo.

La relatrice speciale Onu vede come un “segnale positivo” la disponibilità dell’amministrazione Biden a concedere l’acceso a una zona militare extraterritoriale da sempre interdetta a qualsiasi controllo e nella quale ai 780 detenuti, tutti uomini di religione musulmana catturati nel corso dei due decenni precedenti in Afghanistan, Pakistan e Yemen con l’accusa di terrorismo, è stato negato qualsiasi diritto fondamentale. Persone che “non hanno alcun tipo di relazione con quanto avvenuto l’11 settembre 2001” e che, tuttavia, hanno vissuto o vivono tuttora l’esperienza di continui traumi fisici e psicologici. Per molti detenuti “la linea di separazione tra il passato e il presente è straordinariamente sottile, se non inesistente: le passate esperienze di tortura, costantemente rivissute nel presente, non hanno possibilità di risolversi in ragione del fatto che i detenuti non hanno ricevuto dal governo americano alcun tipo di terapia riabilitativa in grado di sanare il trauma subìto”.

Prigioniero

PrigionieroSabri al-Qurashi, per gentile concessione

Problemi cronici

Se le condizioni materiali a Guantánamo sono “nettamente migliorate rispetto al periodo nel quale sono arrivati i primi prigionieri e agli anni successivi, in cui il luogo “era caratterizzato da brutalità sistematiche e istituzionalizzate”, vi sono tuttora aspetti estremamente critici. Sebbene sia garantita un’assistenza medica di base, gli specialisti e le facilities che dovrebbero occuparsi della riabilitazione dei traumi dovuti alla tortura “non sono strutturate per affrontare disabilità permanenti, traumi cerebrali, dolore cronico e tutte le manifestazioni connesse, così come l’assenza per 21 anni del supporto emotivo dato dalla famiglia e dalla comunità di appartenenza”. Grazie al costante impegno dei legali e della Croce rossa internazionale è stata gradualmente implementata la possibilità di comunicare con familiari, che tuttavia, in alcuni casi, “hanno appreso dopo oltre 15 anni della detenzione a Guantánamo di un loro congiunto”. Alcuni detenuti hanno preferito evitare le chiamate per “paura di ritorsioni verso i familiari da parte del governo degli Stati Uniti o del Paese di origine” e in un caso “solo la madre del detenuto è riuscita a identificare in una video call il figlio, ormai irriconoscibile a causa del rapido processo di invecchiamento”.

Dopo oltre vent’anni, la realtà di Guantánamo corre il rischio di venire dimenticata secondo l’ultimo rapporto della Seton Hall Law School di Newark, firmato da Mark Denbeaux, che in American Torturers: Fbi and Cia Abuses at Dark Sites and Guantánamo denuncia come gli Stati Uniti abbiano distrutto o nascosto tutte le prove video delle sistematiche torture inflitte ai detenuti. L’unica testimonianza visiva di quanto accaduto sono i disegni dell’artista yemenita Abu Zubaydah, assistito da Denbeaux, e prima vittima delle “enhanced interrogation techniques”, sottoposto 83 volte alla “simulazione di annegamento” (waterboarding). I 40 disegni sono stati pubblicati da The Guardian e, prima ancora, esposti nella mostra Remaking the Exceptional. Tea, Torture, and Reparations. Chicago to Guantánamo al DePaul Art Museum di Chicago.

Una mostra per denunciare

Guantánamo non è un caso eccezionale ma costituisce l’ordinaria modalità di funzionamento del sistema carcerario statale”, affermano i due curatori, Aaron Huges, artista e veterano della guerra in Iraq, e Amber Ginsburg, docente di arti visive all’università di Chicago. Ed è qui, nella terza più grande città degli Stati Uniti che, tra gli anni Settanta e Ottanta, oltre un centinaio di persone di colore sono state vittime delle torture del capo del Dipartimento di Polizia, Jon Burge. Tra le modalità di tortura più “efficaci”, le scariche elettriche generate da un dispositivo, in gergo detto “black box”, nato dall’adattamento di una invenzione dello scienziato serbo Nikola Tesla, utilizzato anche dai soldati americani durante la guerra in Vietnam.

Nel lavoro di ricostruzione fatto dai curatori, nel recupero di opere d’arte e nel raffronto tra i racconti dei detenuti rinchiusi a Guantánamo e quelli delle vittime di Burge, oltre che da inchieste giornalistiche, è emerso un filo rosso che lega le due esperienze. Anche il report delle Nazioni Unite conclude che l’eccezionalità, la discriminazione e la narrazione in chiave “anti-terroristica” per giustificare le violenze perpetrate a Guantánamo “hanno avuto effetti che vanno ben oltre i suoi confini con enormi conseguenze sui diritti umani in più Paesi”.

Crediamo, e sogniamo, che l’arte rappresenti una forma di giustizia riparativa, di affermazione di libertà e di guarigione – affermano Hughes e Ginsburg -. La giustizia è una pratica. Come diciamo in Remaking the Exceptional, le riparazioni sono un modo per rimediare i torti, un percorso verso la guarigione, un passo verso la giustizia”.

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Detenute madri, la questione in Italia

Author: Wired

Il caso delle borseggiatrici responsabili dei furti nella metropolitana a Milano ha riacceso i riflettori sulla questione delle detenute madri e dei figli minori. Sono infatti 23 a oggi le madri detenute con i loro 26 i bambini, secondo i dati forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Numeri in crescita, se si considera che solo al 28 di febbraio le detenute madri erano 21 con 24 figli al seguito. 

Cosa dice la legge italiana

Oggi la questione delle detenute madri e dei minori è regolata, tra gli altri, dall’articolo 146 del codice penale sul rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena. L’articolo in questione prevede che l’esecuzione di una pena che non sia pecuniaria debba essere differita per le donne incinte, per le madri che hanno un figlio di età inferiore a un anno e per coloro che sono affetti da Aids conclamata o da un’altra malattia grave. Nel caso di interruzione della gravidanza o che la donna venga dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale sul figlio, il differimento non opera o viene revocato.

L’articolo 11 comma 9 della legge n. 354 del 26 luglio 1975, la legge sull’ordinamento penitenziario, prevede che le detenute madri possano tenere con loro i figli fino ai tre anni. La legge in questione, insieme ad alcuni articoli del codice di procedura penale, è stata modificata con l’introduzione della legge n. 62 del 21 aprile 2011. Modificando il comma 4 dell’articolo 275 del codice di procedura penale, infatti, la suddetta legge stabilisce che per le madri con figli di età non superiore a 6 anni conviventi non venga applicata la custodia cautelare in carcere salvo esigenze di eccezionale rilevanza. Inoltre, la legge aggiunge l’articolo 285 bis nel codice di procedura penale, che prevede che per le donne in gravidanza e per le madri con figli di età inferiore ai 6 anni, il giudice possa disporre la custodia presso un istituto a custodia attenuata, un Icam in caso di esigenze di particolare rilevanza. Con un’integrazione dell’articolo 284, invece, la legge n.62 del 21 aprile 2011 aggiunge che gli arresti domiciliari vengano disposti in una casa famiglia protetta

Secondo l’articolo 2 della legge, la madre condannata, imputata o internata con provvedimento del direttore o del magistrato, ha inoltre diritto a visitare il figlio minore se in gravi condizioni di salute o in pericolo di vita. Inoltre per le madri di figli di età inferiore ai 10 anni anche non conviventi che siano internate, condannate o imputate, hanno la possibilità di assisterlo durante le visite specialistiche se sussistono gravi motivi di salute. 

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Alfredo Cospito: chi è l’anarchico al 41-bis

Author: Wired

La storia dello sciopero della fame di Alfredo Cospito, l’unica persona detenuta al 41-bis per motivi politici, ha riportato al centro del dibattito pubblico l’uso del regime di carcere duro, al quale è stato condannato per una strage che non ha causato alcun morto o ferito. È una discussione che riguarda la proporzionalità della pena e la possibilità che la sua condanna si trasformi in ergastolo ostativo, con cui perderebbe ogni possibilità di accedere ai benefici penitenziari.

Le vicende che portano Cospito in carcere hanno inizio nel 2012. Erano gli anni delle politiche di austerità di Mario Monti dopo il record dello spread. Anni di picco dei licenziamenti individuali e collettivi, quando dal 2011 al 2012 sono stati lasciati a casa poco meno di 2 milioni di lavoratori e lavoratrici, come riporta Confindustria.

Manifesto a sostegno della scarcerazione di Alfredo Cospito dal 41-bisCon Alfredo Cospito lo Stato italiano sta trasformando il carcere duro in pena di morte

Il militante anarchico, detenuto in 41 bis per una strage mai avvenuta, è in fin di vita per lo sciopero della fame. Ma lo Stato non interviene e anzi vieta di parlare del caso

Le condanne

Ed è proprio nel 2012, il 7 maggio, che Cospito aggredisce Roberto Adinolfi, l’amministratore delegato di Ansaldo nucleare dal 2007, sparandogli un colpo di pistola al polpaccio. Per quell’agguato, l’anarchico è condannato a dieci anni e otto mesi di carcere nel 2013. Ma mentre è già in prigione, viene accusato di aver piazzato, nella notte tra il 2 e il 3 giugno 2006, due bombe artigianali a basso potenziale in un cassonetto vicino alla scuola per carabinieri di Fossano, in provincia di Cuneo. La loro esplosione non ha causato né morti né feriti.

Per questa nuova accusa, Cospito è stato condannato ad altri 20 anni di carcere per strage comune, venendo inserito nel circuito penitenziario ad alta sicurezza previsto per reati associativi, con una sorveglianza molto stretta ma la garanzia di alcuni diritti, come la possibilità di scrivere pubblicazioni. Tuttavia, nel 2022, dopo sei anni di detenzione, sotto richiesta del procuratore generale, cioè l’accusa, la Corte di Cassazione ha deciso che Cospito deve essere giudicato per il reato di “strage politica”.

Matteo Messina DenaroMatteo Messina Denaro andrà all’Aquila al 41-bis: che cos’è il carcere duro

Il regime penitenziario che istituisce il cosiddetto “carcere duro” è nato come una misura temporanea prima delle stragi di mafia del 1992 e del 1993

Al 41-bis

Un reato molto più grave che chiama in causa la sicurezza dello Stato, sulla base dell’articolo 285 del codice penale, che prevede l’ergastolo anche se l’attentato non ha provocato alcun morto o ferito e prevede la possibilità che questo si trasformi in ergastolo ostativo. Una scelta durissima e poco utilizzata, dato che l’articolo 285 non è stato applicato né per le stragi di Capaci e via d’Amelio, né per quella della stazione di Bologna, dove furono assassinate 80 persone.

Per questo, senza aver provocato alcun morto, per un’esplosione avvenuta in piena notte e in un luogo deserto, Cospito viene condannato direttamente al 41-bis e rischia che la sua pena venga tramutata in ergastolo ostativo. Questo perché, nonostante lo stesso Cospito si definisca un anarchico individualista e faccia parte della Federazione anarchica informale-Fronte rivoluzionario internazionale (Fai-Fri), organizzazione orizzontale composta da cellule che agiscono in maniera del tutto autonoma in vari paesi, i giudici hanno equiparato la Fai-Fri a una struttura verticale e gerarchica come la criminalità organizzata di stampo mafioso, con a capo proprio Cospito.

Un’equiparazione in contrasto diretto con la definizione stessa di organizzazione anarchica, ma che era la sola in grado di giustificare il regime di 41-bis, previsto per i reati di tipo mafioso in modo tale da impedire ai capimafia di comunicare con i loro sottoposti e costringerli a collaborare con la giustizia per uscirne.

Così, a 55 anni, lo scorso 19 ottobre, Cospito ha incominciato un lungo sciopero della fame che dura ancora oggi. Una protesta contro l’uso del 41-bis e l’ergastolo ostativo, accompagnata da un ricorso presentato alla Corte di Cassazione. L’udienza è stata inizialmente prevista per il prossimo 20 aprile, ma anticipata al 7 marzo, dopo che, come riporta Ansa, la dottoressa Angelica Milia, che segue l’anarchico, ha spiegato che Cospito potrebbe morire prima del 20 aprile se dovesse continuare con il suo sciopero della fame.