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Economia Tecnologia

Il nuovo piano della Cina per l’autosufficienza tecnologica

Author: Wired

Taipei – Xīn zhí shēngchǎnlì. Ovvero, nuove forze produttive. La formula chiave delle “due sessioni” 2024 pare essere questa. Una formula dietro la quale si cela un cambio di prospettiva e di modello di sviluppo per la Cina. Se n’è parlato tantissimo durante le riunioni della Conferenza consultiva politica del popolo cinese e dell’Assemblea nazionale del popolo, che come ogni anno rappresentano il principale appuntamento politico e legislativo a livello statale. È qui, insieme al Plenum del Partito comunista (che nel 2023 non si è inusualmente svolto) che le proposte, le idee e le teorie trovano forma. Entrano nel lessico, nella liturgia e nell’ortodossia di Partito e Stato, due entità di cui i confini sono in realtà sempre meno definiti.

Per ogni concetto che assurge a linea guida, serve una “mitologia“. Ed ecco allora che i media statali cinesi spiegano che la formula di “nuove forze produttive” è stata introdotta dal presidente Xi Jinping lo scorso settembre, durante un’ispezione nell’Heilongjiang, una provincia nord orientale. Stavolta, il leader ne ha parlato in maniera specifica durante la seconda sessione dell’Assemblea nazionale del popolo durante una riunione con gli esponenti della provincia dello Jiangsu. Xi ha chiesto di concentrarsi sullo sviluppo di alta qualità come massima priorità, sollecitando sforzi per intensificare l’innovazione, promuovere le industrie emergenti, adottare piani lungimiranti per lo sviluppo di industrie orientate al futuro e migliorare il sistema industriale modernizzato.

Il discorso ha subito conquistato, come ovvio, il centro della ribalta. Ma che cosa significa esattamente il concetto di “nuove forze produttive”? Si intreccia con gli obiettivi strategici dell’autosufficienza tecnologica e quello di trasformazione del modello di sviluppo. La Cina di Xi non mira solo ad accelerare e persino completare la transizione da “fabbrica del mondo” a società di consumi, ma anche a creare un modello di crescita ad alta qualità, meno imponente dal punto di vista quantitativo ma più sicuro e privo di esagerate esposizioni a debito e turbolenze esterne.

Innovazione massima priorità strategica

Le due sessioni 2024 certificano che l’innovazione deve essere il cuore delle nuove forze produttive e che queste ultime sono il motore con cui la Cina può lasciare il modello di crescita tradizionale e percorrere un sentiero di sviluppo produttivo diverso, in cui l’high tech e l’alta qualità siano in grado di sprigionare un potere trasformativo di innovazione.

Sin qui, tante buone intenzioni. Ma per passare ai fatti concreti, servono secondo la leadership cinese due passaggi. Il primo è l’investimento nella ricerca per perfezionare tecnologie in grado di cambiare le “regole del gioco”. Il secondo è applicare queste innovazioni tecnologiche sul piano industriale. Il terzo è completare la riforma dei settori produttivi. In qualche caso, la Cina sente di esserci già riuscita. Non a caso, anche nel rapporto di lavoro del premier Li Qiang si menzionano i successi raccolti in alcuni settori ad alto valore innovativo e strategico: auto elettriche, batterie agli ioni di litio, fotovoltaico. Senza dimenticare il recente lancio internazionale dell’aereo C919 che si propone di sfidare Boeing e Airbus in alcuni mercati emergenti (soprattutto del Sud-Est asiatico), la ricerca sottomarina e il settore spaziale.

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Economia Tecnologia

Cosa sta succedendo a Tim

Author: Wired

Libera di correre” su un percorso che appare ricco di ostacoli da superare, magari sfruttando la vendita della rete fissa. Il consiglio di amministrazione di Tim ha approvato all’unanimità lo scorso 6 marzo il piano industriale per il triennio 2024-2026 presentato dall’ad Pietro Labriola e intitolato appunto Free to run.

Proprio la cessione dell’infrastruttura fissa, come si legge in una nota del gruppo, permetterà all’azienda di muoversi sul mercato con minori veicoli finanziari e regolatori e di operare concentrandosi di più sulle componenti industriali. In tale maniera, nonostante il contesto macroeconomico non dia certezze, Tim prevede “un significativo miglioramento di tutte le metriche economico finanziarie, mantenendo una solida struttura di capitale”.

Il piano industriale

In particolare, il gruppo prevede tra l’altro una crescita dei ricavi annua del 3% medio dai 14,4 miliardi di euro pro forma del 2023 e un aumento dell’8% annuo del margine operativo lordo after lease dai 3,5 miliardi di euro pro forma del 2023. Tim ha chiarito anche gli obiettivi delle singole unità aziendali. Tim Consumer lavorerà per aumentare i ricavi medi per utente dei settori fisso e mobile migliorando la convergenza dei clienti tra essi e per ottenerne di nuovi attraverso servizi per famiglie e piccole e medie imprese, anche attraverso partnership.

Tim Enterprise continuerà l’accelerazione dei ricavi da servizi, puntando in primis su un’ulteriore espansione nel mercato Ict, amplificata a sua volta da un posizionamento sui settori chiave per la crescita (cloud, IoT, cybersecurity). Per Tim Brasil è infine prevista un’ulteriore crescita dei ricavi e del margine operativo lordo, con una generazione di cassa in crescita in doppia cifra entro il 2026.

Il tonfo in Borsa

Gli ostacoli da superare e sono rappresentati però soprattutto dalle reazioni del mercato. Come sottolinea il Corriere della Sera, all’indomani del cda il gruppo delle telecomunicazioni è stato protagonista di una falsa partenza in Borsa. Sono state scambiate oltre 1,5 miliardi di azioni, pari a più del 7% del capitale della compagnia, e il titolo ha chiuso la giornata con un calo del 24%.

Le buone notizie per Tim, che si aspetta 14,2 miliardi di euro dalla vendita di NetCo e si pone un obiettivo di leva finanziaria per il 2026 di 1,6-1,7x, arrivano dal nord America. Come riporta l’agenzia Reuters, Canada Pension Plan Investments (Cpp) acquisirà una quota del 17,5% dello spin-off di Telecom Italia per un massimo di 2 miliardi di euro. L’investimento sarà effettuato attraverso il gruppo Optics Bidco, veicolo controllato da Kkr, il fondo che ha spuntato l’offerta per entrare nella società della rete della compagnia di telecomunicazioni.

Fondato da Henry Kravis e George Roberts nel 1976 a New York, Kkr gestisce oggi circa 510 miliardi di patrimonio in 27 città diverse in 17 paesi sparsi su quattro continenti. Al 31 dicembre 2022 erano 127 le aziende in portafoglio nei suoi fondi di private equity e generavano in totale circa 288 miliardi di dollari di ricavi annuali. Tra queste figurano ByteDance, Epic Games, GetYourGuide, Marelli e Wella. In Italia, oltre che in Fibercop, ha già investito nella umbra Cmc Solutions, attiva nel settore degli imballaggi.