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Virtualbox, cos'è e come funziona. Le novità della sesta versione

Author: IlSoftware.it

Una macchina virtuale è un ambiente virtuale creato utilizzando un apposito software che emula il comportamento di una macchina fisica (client o server). La creazione della macchina virtuale è possibile destinando temporaneamente ad essa una parte delle risorse hardware della macchina fisica (RAM, CPU, GPU, hard disk/SSD).
Ogni volta che una macchina virtuale (sistema “guest”) viene spenta, tutte le risorse vengono automaticamente liberate e restituite alla macchina ospitante (sistema “host”) fatta eccezione per la totalità o una parte dei dati memorizzati negli hard disk virtuali.
Le informazioni relative al sistema operativo e ai programmi installati installati nella macchina virtuale (così come i dati in essa salvati) vengono memorizzate e conservate sul disco fisso o sull’unità SSD del sistema host di solito in un unico file di grandi dimensioni.

Virtualbox è un programma che ormai non ha bisogno di presentazioni: nato a gennaio 2007 esso è un software open source distribuito (sotto licenza GPL – GNU General Public License – per quanto concerne il pacchetto base) e aggiornato da Oracle che permette di installare ed eseguire più sistemi operativi guest, anche completamente differenti l’uno dall’altro, sulla stessa macchina.
In questo caso non c’entrano dual boot o multi boot: Virtualbox consente di installare un hypervisor sul sistema in uso (sia esso Windows, macOS, Linux o Solaris) che si occupa di orchestrare il funzionamento delle macchine virtuali fungendo da intermediario tra l’hardware del sistema host e i sistemi operativi guest.

Mentre si sta ad esempio utilizzando Windows 10, per esempio, è possibile installare una precedente versione del sistema operativo Microsoft o addirittura una qualsiasi distribuzione Linux. Il sistema operativo guest lavorerà “in finestra” e si potrà passare da Windows a Linux come si passa dal browser a Word o a qualunque altra applicazione in esecuzione.
I principali vantaggi derivanti dall’uso di Windows è che è possibile installare ed eseguire contemporaneamente più sistemi operativi diversi (utile qualora si avesse la necessità di conservare applicazioni legacy); inoltre si possono installare e provare applicazioni senza intaccare in alcun modo la configurazione del sistema ospitante (“host”).
Nell’articolo Come usare Virtualbox e perché, cui vi invitiamo a fare riferimento, abbiamo presentato gli altri benefici di Virtualbox e spiegato come il programma può essere di grande aiuto in molteplici situazioni.
In calce allo stesso articolo abbiamo presentato una serie di guide pratiche per l’utilizzo di Virtualbox e la personalizzazione del suo comportamento.

Prima di installare e usare Virtualbox è bene controllare di aver attivato a livello BIOS/UEFI le estensioni per la virtualizzazione: solo così le macchine virtuali potranno lavorare con le massime prestazioni: Come attivare la virtualizzazione in Windows.

Virtualbox giunge alla sesta versione: ecco le principali novità

Il 18 dicembre 2018 gli sviluppatori Oracle hanno rilasciato Virtualbox 6.0.0, prima versione del software per la virtualizzazione che supporta esclusivamente le versioni a 64 bit dei sistemi operativi.
Chi avesse la necessità di eseguire Virtualbox su sistemi a 32 bit può continuare a installare la release 5.2 del programma che continuerà ad essere supportata fino al 2020.

Balza subito all’occhio come le dimensioni del file d’installazione di Virtualbox 6.0.0 siano raddoppiate rispetto alla precedente versione; nonostante questo, il sistema di gestione delle macchine virtuali occupa sostanzialmente lo stesso quantitativo di memoria RAM.

La nuova versione di Virtualbox può essere installata, come sempre, al di sopra delle precedenti release che verranno automaticamente aggiornate conservandone sia le impostazioni che le macchine virtuali configurate.

Come conferma il changelog, Virtualbox 6.0.0 utilizza innanzi tutto un’interfaccia utente completamente rivista e aggiornata così da risultare di più immediato e semplice utilizzo, facilitando anche la procedura guidata per la creazione delle macchine virtuali (al debutto la nuova Modalità esperta).

La nuova versione di Virtualbox migliora il supporto HiDPI ed effettua in maniera migliore lo scaling della risoluzione video; abbraccia completamente il supporto 3D per i sistemi operativi Windows guest oltre all’emulazione VMSVGA 3D su Linux e Solaris installati all’interno di macchine virtuali; aggiunto anche il supporto per le configurazioni che prevedono l’utilizzo di speaker surround.

Virtualbox 6.0.0 introduce anche un nuovo file manager affinché l’utente possa controllare più efficacemente le operazioni di copia tra sistemi host e guest oltre che agire in modo più semplice sul file system.

L’utilità vboximg-mount è stata aggiunta nella versione di Virtualbox installabile sui sistemi macOS: essa permette di montare e accedere al contenuto delle macchine virtuali dal sistema host.

Infine, gli sviluppatori hanno inserito il supporto di Microsoft Hyper-V come fallback sugli host Windows (in questo modo è possibile evitare l’impossibilità di eseguire alcune macchine virtuali) e previsto la possibilità di esportare le macchine virtuali verso la Oracle Cloud Infrastructure.

Per approfondire, suggeriamo anche la lettura dell’articolo Macchina virtuale, cos’è e come velocizzarla.

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Sony A7 III e A7R III: il firmware 2.10 risolve il bug del 2.0

Author: Le news di Hardware Upgrade

Poco più di una settimana fa era stato rilasciato un avviso da parte della società nipponica circa una problematica che affliggeva il firmware 2.0 su Sony A7 III e Sony A7R III. Ora, il produttore ha annunciato il rilascio della versione aggiornata che corregge il bug mettendo al sicuro i dati degli utenti che utilizzano i due modelli di fotocamera.

Sony A7R III

Con il firmware 2.10 disponibile sul sito del produttore per Sony A7 III e Sony A7R III è quindi possibile mettersi al riparo dalla perdita di parte degli scatti catturati in RAW. La problematica era presente quando si utilizzavano schede SD già impiegate per altri scatti selezionando il formato RAW.

Questo, in alcuni rari casi, poteva portare al blocco delle fotocamere Sony A7 III e Sony A7R III durante la scrittura con conseguente perdita della fotografia appena scattata. Le immagini salvate sulla SD non subivano alterazioni (possibile la corruzione del database delle immagini, comunque recuperabile).

Ora grazie al firmware 2.10 non si presenterà più questo problema ed è caldamente consigliato l’aggiornamento a tutti i possessori. Altra modifica è il miglior supporto per schede SD di terze parti che non venivano riconosciute in precedenza. I link per il download sono i seguenti:

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Le prime leggi UE sulla robotica, ecco la prima bozza

Author: Valerio Porcu Tom's Hardware

Il gruppo di 52 esperti nominato dalla Commissione Europea ha pubblicato la prima bozza di linee guida per la sicurezza dell’Intelligenza Artificiale. È il primo passo verso un documento che dovrà stabilire le regole da seguire nello sviluppo degli algoritmi in territorio europeo.

L’iniziativa nasce nell’ambito del progetto Digital Single Market, che abbraccia una moltitudine di tematiche, inclusi il copyright, il blocco geografico dei contenuti, la privacy e molto altro – e almeno su alcuni temi le critiche non sono mancate.

Limitandosi al tema dell’Intelligenza Artificiale i nodi riguardano da una parte i diritti del cittadino, la sicurezza delle operazioni (individuale e di massa) e i possibili abusi. Dall’altra la possibilità per le aziende di operare sfruttando al massimo le capacità offerte dalle nuove tecnologie. Le linee guida cercano dunque di fondare e guidare un dibattito che non è tecnologico, ma etico, sociologico e politico.

La bozza elenca dunque alcuni principi etici fondamentali su cui si dovrebbe costruire il dibattito, e cerca di stabilire poi quali siano i “requisiti per un’AI di cui ci si possa fidare“. La bozza propone dieci punti fondamentali.

  1. Responsabilità: l’uso di questi strumenti deve sempre permettere di individuare responsabilità in caso di errori o abusi, e prevedere un sistema sanzionatorio. Se un algoritmo provoca un problema, per esempio non riconoscendo il diritto a un rimborso medico, o provocando un incidente stradale, deve esserci un sistema compensatorio.
  2. Controllo dei dati. Gli algoritmi di machine learning si nutrono di dati, e i dataset possono contenere elementi critici – famosi sono gli esempi di algoritmi che amplificano le discriminazioni, proprio in virtù dei dati usati. La bozza suggerisce l’adozione di sistemi che permettano il controllo e la pulitura dei dati prima che vengano usati. Similmente, si sottolinea l’importanza del controllo sui dati per misurare le prestazioni AI e garantire la piena anonimizzazione degli utenti. Si suggeriscono inoltre sistemi di registrazione dei dati per i sistemi ad apprendimento continuo, per prevenire possibili manipolazioni.
  3. Design democratico. “I sistemi dovrebbero essere progettati in un modo che permettano a tutti i cittadini di usare i prodotti e i servizi, senza discriminazioni di età, disabilità o stato sociale”. In altre parole, si auspica lo sviluppo di sistemi largamente accessibili a tutti i cittadini europei, secondo i principi di equità che costituiscono l’ossatura stessa della UE.
  4. Controllo umano dell’autonomia AI. I sistemi AI sono progettati per funzionare in modo del tutto autonomo, dopo il periodo di training. Valgano come esempio le automobili a guida autonoma, che potranno muoversi per le strade senza un guidatore. La bozza suggerisce estesi periodi di test per questi sistemi, e che i sistemi di controllo e monitoraggio si facciano più rigidi al crescere del livello di autonomia. Sarà necessaria, almeno in alcuni casi, la supervisione umana. “Ciò è rilevante per molte applicazioni AI, in particolare per quelle AI che suggeriscono o prendono decisioni sugli individui o le comunità”.
  5. Non Discriminazione. Negli ultimi anni sono stati molti gli esempi di discriminazione “implicita” nei sistemi AI, un problema legato sempre al dataset usato per l’addestramento (vedi punto 2). Il gruppo di esperti riconosce che le AI possono rendere i problemi di discriminazione ancora più gravi di quanto siano oggi, e che è possibile anche una manipolazione volontaria in questo senso – per quanto nella maggior parte dei casi si tratti di errori da correggere.
  6. Rispetto (e miglioramento) dell’autonomia umana. I sistemi AI dovrebbe essere progettati “anche per proteggere i cittadini nella loro diversità dagli abusi, governativi e privati, resi possibili dalle tecnologie AI”. In altre parole, questi sistemi rendono possibili abusi molto gravi, e dovrebbero contenere in sé stessi le contromisure. È uno dei principi non rispettati dall’Art. 13 della normativa europea sul copyright, per esempio.

“I sistemi con il compito di aiutare gli utenti, devono offrire un supporto esplicito alla promozione delle preferenze personali, e definire i limiti all’intervento del sistema, assicurando che il benessere dell’utente, definito dall’utente stesso, sia centrale per la funzionalità del sistema”.

  1. Rispetto della privacy. I sistemi AI dovranno naturalmente rispettare il recente GDPR e garantire il rispetto della privacy in ogni fase del funzionamento. Vanno tutelati i dati forniti dall’utente all’inizio, ma anche quelli che genera nel corso del tempo (per esempio la cronologia di ricerca).

“I registri digitali sul comportamento umano possono svelare dati molto sensibili, non solo in termini di preferenze ma anche riguardo l’orientamento sessuale, l’età, il sesso, le preferenze religiose e politiche. La persona con il controllo di queste informazioni potrebbe usarle a proprio vantaggio”.

  1. Robustezza. Un sistema di Intelligenza Artificiale affidabile deve essere resistente agli errori, sia in fase di sviluppo che di produzione. E deve essere in grado di gestire risultati errati. I risultati devono dunque essere sempre riproducibili in modo indipendente, una condizione che oggi non è possibile soddisfare con la maggior parte dei sistemi; che sono opachi (da qui il concetto di black-box).
    Devono essere precisi nel classificare le informazioni, nel fare previsioni e valutazioni.
    E devono naturalmente essere resistenti agli attacchi informatici.
  2. Sicurezza. I sistemi AI dovranno garantire l’incolumità degli esseri umani, il che è molto importante in contesti industriali e lavorativi in genere, delle risorse e dell’ambiente. E minimizzare eventuali effetti collaterali negativi, integrando dunque sistemi per la gestione degli incidenti.
  3. Trasparenza. Oggigiorno i sistemi AI sono poco o per nulla trasparenti. Una volta terminato l’addestramento, è spesso impossibile sapere che cosa ha portato a un certo risultato. I 52 esperti, in armonia con il GDPR, suggeriscono di cambiare questa realtà con sistemi AI che possano spiegare sé stessi e il proprio agire. Non è semplice, ma si può fare.

Il lungo documento integra diversi passaggi sui ragionamenti che hanno portato a questi dieci punti, insieme a suggerimenti per la loro realizzazione. Ancora più importante, i commenti sono aperti a tutti fino al prossimo 18 gennaio. Il gruppo di esperti presenterà la versione finale del documento a marzo 2019, e sarà poi il turno della Commissione analizzarlo e proporre come proseguire i lavori.

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JEDEC spinge sulle memorie HBM: chip fino a 24 GB e più banda disponibile

Author: IlSoftware.it

Le memorie HBM (High Bandwidth Memory) non hanno riscosso il successo che AMD si aspettava quando la società di Sunnyvale ha collaborato con Samsung e SK Hynix per il loro sviluppo.
Solo un ristretto numero di dispositivi utilizza oggi memorie HBM tra cui le schede video basate su architettura Vega e i processori Intel Kaby Lake G. Il motivo è essenzialmente legato ai costi: le memorie GDDR hanno infatti proseguito il loro processo evolutivo e le nuove GDDR6 offrono prestazioni davvero interessanti (fino a 20 Gbps nei modelli più evoluti) a costi inferiori (ne abbiamo parlato nell’articolo Scheda video, come sceglierla con una breve guida alle sue caratteristiche).

Lo JEDEC, organismo di standardizzazione dei semiconduttori che vanta oltre 300 membri, ha tuttavia approvato una revisione di HBM per venire incontro alle esigenze dei produttori e dare maggiore impulso alla diffusione di questo tipo di memorie.
I chip di memoria sono creati impilando uno sull’altro più layer: JEDEC ha standardizzato il numero di livelli utilizzabili per produrre memorie HBM, fino a 12. Una scelta che consentirà di realizzare memorie più capienti e di dimensioni minori riducendo allo stesso tempo i costi di produzione.
Le interconnessioni saranno realizzate usando l’integrazione TSV (Through-Silicon-Vias) ovvero condotti verticali inseriti nel wafer di silicio, riempiti con materiale conduttore che consente appunto le comunicazioni tra i circuiti integrati disposti verticalmente l’uno sull’altro.
A seconda delle caratteristiche di ciascun layer si potranno quindi avere fino a 24 GB di capacità per singolo chip di memoria.Migliorata anche la velocità di comunicazione che giunge, secondo quanto ufficialmente stabilito dal JEDEC, a 2,4 Gbps per pin. Ciò significa che nei chip basati su bus a 1024 bit si potranno muovere 307 GB/s di dati. In un’unità grafica Vega dotata di due chip, la banda massima diverrebbe di 614 GB/s; un bel balzo in avanti rispetto agli attuali 484 GB/s.