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DefensYo, lo scatolotto che protegge da tutti i cyber attacchi

Author: Wired

Secondo l’ultimo rapporto Clusit, nel 44% delle PMI italiane non è presente una figura professionale che ci occupa dei temi legati alla sicurezza informatica. È come se in un campionato di calcio quasi la metà delle squadre giocasse senza il portiere. Bucare la rete, non solo in senso metaforico, diventa così estremamente semplice. Proprio a queste aziende si rivolge la soluzione DenfesYo, l’ultimo estremo difensore per la cyber security, che si comporta come una saracinesca quasi del tutto invalicabile.

Il prodotto, totalmente sviluppato, ingegnerizzato e realizzato in Italia grazie alla collaborazione delle aziende Corvallis e Yoroi, entrambe nell’ecosistema del Gruppo Tinexta, rappresenta una soluzione chiavi in mano pensata proprio per PMI, studi professionali e piccole amministrazioni pubbliche con poca possibilità di investire in sicurezza informatica.

“Nel 2021 abbiamo deciso di prendere i nostri grandi sistemi di sicurezza informatica e industrializzarli per renderli disponibili anche alle piccole aziende in modo semplice, facile da installare, dai costi contenuti ma in grado di offrire un livello di protezione molto elevato e tutto questo è stato condensato proprio nella nostra soluzione DefensYo”, ci dice Marco Ramilli, founder e Ceo Yoroi.

L’idea di ridurre in scala tutti i più evoluti sistemi di protezione informatica e inserirli in uno dispositivo poco più grande di un tradizionale router, ma facile da installare proprio come un gateway domestico per navigare in rete, è stata una scommessa non facile da vincere, il risultato finale dimostra tuttavia efficacia e lungimirante intuizione.

“Oggi la sicurezza informatica di livello elevato se la possono permettere solo grandi aziende capaci di investire molti soldi e disporre di competenze e risorse dedicate, le piccole realtà rimangono totalmente scoperte e questo rappresenta una via fin troppo facile per i cyber criminali per attaccarle e sfruttarle per compromettere poi prede più appetibili”, sottolinea ancora Ramilli.

I danni di questi attacchi sono sempre più onerosi. Secondo il rapporto Cost of a data Breach 2022, IBM ha stimato a 3,74 milioni di euro le ricadute medie di un attacco informatico in Italia, dato in crescita costante negli ultimi anni. Tuttavia, per rendere decisamente più complessa la vita ai cyber criminali basta poco.

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Economia Tecnologia

Fastweb investe su un supercomputer per l’AI

Author: Wired

Fastweb ha recentemente completato l’acquisizione di un supercomputer Nvidia. Il DGX H100 sarà il più potente in Italia per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Grazie a questo investimento, Fastweb prevede di utilizzare il supercomputer per fornire servizi di intelligenza artificiale su cloud a imprese, istituzioni accademiche e sviluppatori indipendenti in Italia che non potrebbero sostenere un tale investimento.

Tuttavia, la peculiarità di questo progetto – che mira ad essere operativo entro la prima metà del 2024 – risiede nella creazione del primo Large language model (Llm) italiano, un modello linguistico di ampie dimensioni, addestrato e potenziato appositamente per la lingua lingua italiana. Mentre altri modelli simili sono stati prevalentemente addestrati in lingua inglese, – fa sapere l’ufficio stampa a Wired – il Llm italiano sarà addestrato utilizzando set di dati in italiano provenienti da provider locali, garantendo così all’algoritmo la comprensione di maggiori sfumature della nostra lingua, della sua grammatica, del contesto e della specificità culturale nazionale.

L’obiettivo dell’azienda di telecomunicazioni è quello di creare un ecosistema in cui il supercomputer sarà accessibile a terzi. Questi attori potranno utilizzare il supercomputer per sviluppare i propri Large language models o sfruttare il modello italiano preesistente per creare nuove applicazioni e servizi basati sull’intelligenza artificiale.

Fastweb si impegna a garantire una governance trasparente e a condurre l’addestramento dei propri algoritmi utilizzando dati certificati, conformemente alle normative italiane ed europee sulla privacy. Le informazioni saranno conservate su server in Italia e soggette perciò alle regole comunitarie in materia.

Il data center di Fastweb in cui sarà installato il supercomputer, che si trova in Lombardia, è alimentato da energia rinnovabile. Certificato al massimo livello tier 4, garantisce continuità del servizio senza interruzioni, essenziale per applicazioni finanziarie e di pubblica amministrazione. Fastweb sta anche investendo notevolmente nella cybersecurity, che è diventato una priorità dopo l’acquisizione qualche anno fa di 7Layers, leader nel settore. Di recente le due aziende hanno lanciato DefenderAI, una piattaforma innovativa per la sicurezza informatica guidata dall’intelligenza artificiale e dedicata alle piccole e medie imprese. Il sistema mette a disposizione analista virtuale in grado di rilevare e analizzare i tentativi di attacco e di attivare in automatico tutte le misure necessarie per bloccarli.

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Tecnologia

I 4 clan che comandano sull’intelligenza artificiale

Author: Wired

Da allora, Elon Musk è diventato il capofila dei doomers e della teoria del “rischio esistenziale”, secondo la quale lo sviluppo dell’intelligenza artificiale porterà inevitabilmente a una superintelligenza, che a sua volta potrebbe sfuggire al controllo dell’essere umano e ribellarsi a esso. Una visione che portò comunque Musk a fondare l’allora no-profit OpenAI, nata proprio allo scopo di sviluppare l’intelligenza artificiale in modo “sicuro e responsabile”. Con gli anni, la teoria del “rischio esistenziale” posto dall’intelligenza artificiale si è fatta largo tra i membri più radicali di numerosi think tank, tra cui il Future of life institute, che qualche mese fa ha lanciato la lettera aperta per interrompere lo sviluppo di questi strumenti.

Visioni fantascientifiche, estreme e a tratti molto pericolose, ma che si stanno facendo largo nel mondo delle istituzioni. Infatti, la teoria del “rischio esistenziale” è stata anche alla base del recente AI summit voluto dal premier britannico Rishi Sunak.

AI Safety: i cauti dell’intelligenza artificiale

È il gruppo che, prima di ogni altra considerazione, desidera che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale avvenga in sicurezza. È il cosiddetto “AI Alignment”, che viene considerata la strada più promettente per evitare che un’intelligenza artificiale sfugga al nostro controllo e si ribelli all’essere umano, anche senza rendersene conto. Immaginate il seguente, e ormai noto, scenario (che dobbiamo sempre a Bostrom): un’intelligenza artificiale particolarmente evoluta riceve il comando di massimizzare la produzione di graffette. Interpretando alla lettera l’obiettivo che le è stato dato, questa intelligenza artificiale consuma tutte le risorse del pianeta Terra al fine di produrre quante più graffette possibili, causando involontariamente anche l’estinzione dell’essere umano.

Come ha scritto Melanie Mitchell, docente di Complessità all’Università di Santa Fe, “vogliamo che le macchine facciano ciò che intendiamo, non necessariamente ciò che abbiamo detto”. È possibile raggiungere questo obiettivo e fare in modo che le intelligenze artificiali siano in grado di contestualizzare e bilanciare i nostri comandi, interpretandoli come faremmo noi umani?Secondo questa tesi, fornire i nostri valori alle macchine permetterebbe loro di interpretare i comandi correttamente, non limitandosi a “massimizzare la funzione obiettivo” (ovvero portare a termine il compito che gli è stato dato nel modo più efficiente possibile), ma comprendendo autonomamente cosa davvero vogliamo e quali sono i limiti e i vincoli da rispettare (per esempio, evitare di distruggere il pianeta per produrre un numero esorbitante di graffette). Resta comunque aperto, e assai lontano da essere risolto, il problema di come trasmettere effettivamente i nostri valori alle macchine. Attualmente sono in corso alcuni esperimenti, che non hanno ancora portato a risultati rilevanti.

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Hackerato il sito di Federprivacy, l’associazione dei professionisti della protezione dei dati

Author: Wired

Anche Federprivacy, l’associazione che riunisce i professionisti della protezione dei dati, è caduta vittima dei cybercriminali di Alpha Team – la cybergang che in queste settimane sta facendo parlare di sé per aver preso di mira non poche aziende italiane. Dalla mattinata di oggi, infatti, il sito ufficiale dell’organizzazione risulta irraggiungibile e l’account Instagram @federprivacy sembrerebbe essere stato hackerato. Non a caso, l’ultimo post condiviso sul social riporta una schermata del sito compromesso, accompagnato da una frase che recita “Sostiene di far sentire gli altri al sicuro e tiene corsi di sicurezza informatica. Anche lui è stato hackerato”.

Con lo stesso piglio ironico con cui hanno colpito – e deriso – Federprivacy, i criminali informatici hanno preso d’assalto anche l’account LinkedIn di Nicola Bernardi, presidente dell’organizzazione. Dalle prime ore di questa mattina, infatti, il suo profilo continua a pubblicare messaggi a nome di Z0RG, leader dell’Alpha Team. “Noi dimostriamo che chi si occupa di vendere o promuovere beni o servizi per la sicurezza dei dati non protegge a sua volta i dati che ha in custodia da altri. E questo è grave, perché un associazione come Federprivacy raccoglie molte decine di migliaia di euro ogni anno dagli iscritti e non può non proteggere i loro dati investendo un po’ di quel denaro nella sicurezza che tanto declamano proponendo i loro servizi”, si legge in uno dei post condivisi dalla cybergang sul profilo di Bernardi.

Secondo quanto riferito da Z0RG, i criminali sono riusciti a sfruttare le vulnerabilità di Federprivacy.org e a mettere le mani su tutti i dati presenti all’interno dei sistemi dell’organizzazione. Una quantità imponente di informazioni, che Alpha Team non sembra intenzionata a vendere o rendere di pubblico dominio, ma che pare voglia utilizzare come forma di ricatto per trovare un accordo utile con la società di Bernardi. Di cosa si tratti nello specifico, però, non è chiaro. “Non vogliamo davvero rivelare tutto e dare una cattiva immagine di voi in Italia. Perché sarà difficile per i vostri clienti fidarsi di nuovo di voi”, dichiarano i criminali, prendendosi ancora una volta gioco dell’organizzazione che si è ripromessa di proteggere i dati altrui, ma che ha finito con il perderli definitivamente – o quasi.

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In Cina è sempre più difficile aggirare la censura su internet

Author: Wired

C’è già chi lo definisce un grande, immenso intranet. Ma presto l’internet in Cina potrebbe diventare uno spazio ancora più controllato. O, almeno, questa è la sensazione derivante da due episodi delle ultime settimane. Il primo: un programmatore della Cina settentrionale è stato condannato a pagare più di 1 milione di yuan (circa 128 mila euro) alle autorità per aver utilizzato una rete privata virtuale (Vpn). Si tratta della più severa sanzione pecuniaria individuale mai emessa per aver aggirato quella che è stata ribattezzata Grande muraglia digitale. L’uomo ha ricevuto una notifica di sanzione dall’ufficio di pubblica sicurezza di Chengde, una città della provincia dello Hebei.

A chiunque sia capitato di trascorrere un certo periodo di tempo in Cina utilizzando una sim locale per navigare in rete lo sa: le Vpn sono l’unico strumento possibile per aggirare la Great Firewall e accedere a una serie di siti e applicazioni bloccati in Cina. Nonostante non sia ufficialmente consentito il loro utilizzo, non accade sovente che le autorità cinesi comminino grandi multe e sanzioni agli utenti cinesi.

Anche perché c’è da tenere presente che, seppure possa sembrare strano a un osservatore occidentale abituato a utilizzare Google, Facebook o X, in Cina esiste un altro ecosistema digitale persino più sofisticato di quello a cui si è abituati altrove. E non tutti, anzi in pochi, sentono la mancanza di quello che si può trovare al di fuori della Great Firewall. Anche per questo il governo non ha mai bloccato del tutto il loro utilizzo e ha spesso evitato di punirne l’utilizzo. Anche se già nel 2021 il massimo organo di controllo del cyberspazio cinese ha redatto un nuovo regolamento che prevedeva punizioni più severe per individui e istituzioni attive nell’aiutare gli utenti a bypassare il Grande Firewall. Una mossa che aveva destato qualche preoccupazione alle imprese internazionali, anche se poi la sua applicazione era rimasta sin qui piuttosto morbida.

Che cosa c’è dietro la maxi multa sull’uso della Vpn

La maxi multa comminata al programmatore di Chengde è stata accompagnata dalla specifica che l’uomo ha usato “canali non autorizzati” per connettersi a reti internazionali per lavorare per una società turca. La polizia ha confiscato gli 1,058 milioni di yuan (120.651 sterline) che l’uomo aveva guadagnato come sviluppatore di software tra il settembre 2019 e il novembre 2022, definendoli “reddito illegale”. Il Guardian suggerisce che in realtà dietro l’iniziativa sanzionatoria possa esserci il desiderio dei governi locali di rimpinguare le casse sempre più vuote e spesso esposte alla crisi del settore immobiliare. Un problema serio, quello del cosiddetto “debito nascosto” delle province.

Il programmatore ha dichiarato a China digital times che la polizia avrebbe sequestrato il suo telefono, il suo computer portatile e diversi dischi rigidi dopo aver appreso che lavorava per una società estera, trattenendoli per un mese. In seguito gli sarebbe stato chiesto di fornire dettagli sul suo lavoro, le sue coordinate bancarie, il suo contratto di lavoro e altre informazioni, prima che gli venisse comminata la sanzione, contro cui si è appellato. Lui si difende dicendo che ha utilizzato costantemente Vpn solo per accedere a Zoom per motivi di lavoro ma che per la maggior parte del tempo non ha bisogno di aggirare il Great Firewall.

L’identità degli influencer e creator diventa pubblica sui social cinesi

La seconda novità in materia di Rete è più ampia perché abbraccia la sfera normativa. Le principali piattaforme di social media cinesi, tra cui Weibo, WeChat, Douyin e Kuaishou, hanno infatti imposto ad alcuni dei loro più popolari influencer di mostrare la loro vera identità. Il tutto poche settimane dopo che si era diffusa la voce secondo cui il governo stava per emanare una nuova normativa su internet che richiederà alle piattaforme di social media di mostrare i nomi reali di influencer, commentatori e altri account di self media con oltre un milione di follower. Gli utenti non autorizzati, non verificati o sanzionati non possono vedere i nomi reali visualizzati, hanno provato a rassicurare le società digitali.