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X è invasa dalla fake news sull’attacco dell’Iran a Israele

Author: Wired

Nelle ore successive all’attacco con droni e missili sferrato dall’Iran contro Israele il 13 aprile, su X sono circolati molto diversi post falsi o fuorvianti, che sono diventati quasi subito virali. L’Institute for strategic dialogue (Isd), un think tank senza scopo di lucro, ha rintracciato una serie di post che sostenevano di documentare l’offensiva e il suo impatto, ma che invece contenevano video e foto generati dall’intelligenza artificiale oppure filmati tratti da altri conflitti, che mostravano il lancio di razzi nella notte, esplosioni o addirittura il presidente statunitense Joe Biden in tenuta militare.

I post falsi su X

Secondo l’Isd, 34 di questi post hanno raccolto da soli più di 37 milioni di visualizzazioni. Molti degli account che hanno pubblicato i tweet inoltre erano verificati, il che significa che i titolari pagano 8 dollari al mese al servizio per ottenere la “spunta blu” e fare in modo che i loro contenuti vengano amplificati dall’algoritmo della piattaforma. Il think tank ha anche scoperto che gran parte dei profili in questione si presentano come esperti di intelligence open source (Osint), un espediente che negli ultimi anni è diventato molto usato per provare a dare legittimità ai propri post.

Dopo l’attacco dell’Iran, uno di questi utenti ha scritto su X che “la terza guerra mondiale è ufficialmente iniziata”, condividendo una clip che sembrava mostrare il lancio di razzi nella notte, ma che in realtà era tratta da un video di YouTube del 2021. Un altro video pubblicato sulla piattaforma sosteneva di immortalare il sistema di difesa missilistico israeliano, Iron Dome, durante l’attacco, ma in realtà risaliva all’ottobre 2023. Entrambi i post hanno ottenuto centinaia di migliaia di visualizzazioni e provengono da account verificati. Ma su x ha iniziato a circolare anche un filmato inizialmente condiviso dai media iraniani che mostrava degli incendi avvenuti in Cile all’inizio dell’anno spacciati per i postumi dell’incursione.

Il fatto che una tale quantità di disinformazione venga diffusa da account in cerca di popolarità o di vantaggi economici sta coprendo attori ancora più nefandi, come i media di stato dell’Iran che stanno spacciando le riprese degli incendi cileni per danni provocati dagli attacchi iraniani contro Israele per rivendicare l’operazione come un successo militare – afferma Isabelle Frances-Wright, responsabile di tecnologia e società dell’Isd –. La corrosione del panorama informativo sta minando la capacità del pubblico di distinguere la verità dalla falsità a livelli terribili“. Al momento della pubblicazione della versione originale di questo articolo X non aveva risposto a una richiesta di commento di Wired US.

La proliferazione della disinformazione su X

Nonostante la disinformazione relativa a conflitti e crisi di altro tipo abbia da tempo trovato casa sui social media, X viene spesso utilizzato anche per diffondere informazioni cruciali in tempo reale. Ma sotto la guida di Elon Musk, la piattaforma ha decimato il personale che si occupava della moderazione dei contenuti, permettendo alla disinformazione di prosperare. Nei giorni successivi all’attacco di Hamas del 7 ottobre, il social è stato inondato di fake news, che hanno complicato il lavoro dei veri ricercatori Osint legittimi che cercavano di dare visibilità a informazioni affidabili. Dopo l’acquisizione da parte dell’imprenditore, per contrastare le fake news X ha introdotto le Note della collettività (Community notes), una funzione di fact-checking in crowdsourcing che però ha prodotto risultati altalenanti. Quando l’Isd ha pubblicato il suo rapporto, solo due dei contenuti identificati dall’organizzazione erano stati integrati dalle Note (anche se altri si sono aggiunti successivamente).

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“Il dittatore più cool del mondo” non è poi così tanto cool

Author: Wired

A El Salvador, piccolo stato dell’America centrale e primo al mondo ad aver dato corso legale al bitcoin, il presidente uscente, Nayib Bukele, ha dichiarato di aver vinto le elezioni presidenziali di domenica 4 febbraio. L’annuncio è stato fatto molto prima che i risultati ufficiali fossero pubblicati e diffusi, in linea con lo stile sempre più autoritario del leader, che si definisce spesso “il dittatore più cool del mondo”. Nei cinque anni di mandato di Bukele, salito al potere nel 2019, gli osservatori internazionali, tra cui Amnesty International, hanno denunciato una “allarmante regressione” dei diritti umani, si legge su Reuters. Tutto è cominciato con la guerra contro le bande criminali di narcotrafficanti, che fino a pochi anni fa avevano reso El Salvador il paese con il più alto tasso di omicidi di tutta l’America Latina.

La lotta ai narcotrafficanti

Per contrastare questa situazione, in cui la popolazione era costretta a pagare il pizzo e le città si trovavano sotto il controllo dei mafiosi, Bukele ha trasformato il paese in uno stato di polizia, dando al governo accesso a tutte le comunicazioni private dei cittadini, introducendo i processi di massa a cui possono partecipare fino a 900 imputati in una volta e autorizzando arresti preventivi anche senza capi d’accusa.

Da ormai 3 anni, a El Salvador si può essere facilmente arrestati senza prove anche per il solo sospetto di essere parte di una banda criminale e le pene vanno da un minimo di 20 anni, rispetto ai 3 precedenti, a un massimo di 150 anni se si viene accusati anche di terrorismo. In questa contesto sono state incarcerate più di 75mila persone e Bukele ha anche inaugurato un nuovo carcere capace di ospitare fino a 40mila detenuti in una volta.

Gli omicidi sono così scesi da 53 ogni 100mila persone a 2,4 ogni 100mila persone e il potere delle bande è stato in larga parte distrutto. Tuttavia, il successo è stato accompagnato dalla soppressione di molti diritti costituzionali, da un accentramento del potere sempre maggiore su Bukele e sui suoi fedelissimi, messi ai vertici della Corte costituzionale e degli organi politici, e dall’incarcerazione del 2% della popolazione, tra cui moltissimi innocenti.

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Cos’è Pallywood, la vergognosa teoria del complotto che nega le morti palestinesi

Author: Wired

Nell’agosto dell’anno scorso il capo di tutti i complottisti statunitensi, Alex Jones, ammise che la sparatoria alla scuola elementare di Sandy Hook era successa al 100%. Un ammissione non da poco, per colui che per dieci anni aveva diffuso l’idea che la strage del 2012 fosse una messa in scena e che tutte le 26 vittime, tra cui 20 bambini tra i sei e i sette anni, e i sopravvissuti al massacro fossero “attori di crisi”: vale a dire dei figuranti, presi dalla strada o professionisti, impiegati a simulare una tragedia mai avvenuta, per scopi poco puliti.

Non ha inventato Jones questa espressione, ma è colui che l’ha resa popolare, grazie allo sterminato pubblico di creduloni paranoici che lo segue. Se l’ha rinnegata, almeno quella volta, è probabilmente anche a causa dell’ordine di pagare circa un miliardo di dollari in risarcimenti per le famiglie di Sandy Hook, dopo tre cause per diffamazione. Neppure Jones tuttavia poteva immaginare quello che sarebbe successo nella guerra tra Israele e Hamas, quando quella falsa narrazione sarebbe stata propagata contro la Palestina anche da intellettuali molto più titolati di lui.

Dall’inizio del conflitto tra i militanti di Hamas e Israele, oltre 10.000 palestinesi sono stati uccisi, la metà dei quali minori. La disinformazione ha avvolto nella nebbia almeno una parte della realtà del conflitto. Abbandonando qualsiasi facoltà critica adottata, fino a poco prima, nei confronti della propaganda del Cremlino, innumerevoli giornalisti, politici e influencer hanno fatto riemergere il termine “Pallywood”, il quale indica situazioni nelle quali palestinesi starebbero mettendo in scena o quantomeno esagerando le scene di violenza che li riguardano, per ottenere più empatia.

Menzogne istituzionalizzate

Coniata per la prima volta nel 2005 dallo storico statunitense Richard Landes, la parola Pallywood – fusione di Palestina e Hollywood – ha avuto dei picchi virali nel 2006, nel 2009 e nel 2014, guarda caso durante i periodi di guerra aperta tra Israele e i palestinesi. Nell’ultimo mese, dopo l’eccidio di oltre 1.200 israeliani da parte di Hamas e la brutale risposta di Gerusalemme, si registra l’esplosione definitiva. Un ruolo importante lo hanno svolto account istituzionali, addirittura le vetrine del governo di Israele.

Uno degli esempi più recenti è il portavoce del premier Benjamin Netanyahu con i media arabi, Ofir Gendelman, che ha pubblicato su Twitter un filmato come “prova” del fatto che i morti a Gaza sarebbero tutta una messinscena. Nel video si vede in effetti un truccatore applica polvere e sangue finto su una bambina seduta su una barella, mentre tutt’attorno c’è una scenografia di caos urbano. Ma le immagini appartengono in realtà al dietro le quinte di un cortometraggio realizzato in Libano, qualche tempo fa. Il direttore, Mahmoud Ramzi, ha chiarito che il film voleva mostrare il dolore patito dalla gente di Gaza ma senza alcuna intenzione di trarre in inganno la gente.

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Chi sta difendendo Roberto Vannacci, il generale dell’Esercito autore di un libro razzista e omofobo

Author: Wired

Sul caso del libro razzista, sessista e omofobo, scritto dal generale dell’Esercito Roberto Vannacci, l’unico a comportarsi come richiede la sua figura istituzionale sembra essere il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Al contrario gli altri ministri, sottosegretari e deputati dell’esecutivo più a destra della storia dell’Italia repubblicana, che hanno commentato la vicenda sono arrivati addirittura a difendere le “farneticazioni” del militare.

Che a difendere Vannacci e attaccare Crosetto si siano schierati un neofascista come Roberto Fiore, pregiudicato a capo del partito Forza nuova, o un’esponente della destra abbastanza estrema come Gianni Alemanno – sostenitore e amico di Marcello De Angelis, l’ex membro del gruppo eversivo neofascista Terza posizione che nega la responsabilità neofascista della strage di Bologna – o ancora il giornalista Vittorio Feltri, candidato con Fratelli d’Italia, su X non stupisce nessuno. Ma la levata di scudi di alcuni membri delle istituzioni ha lasciato i più a bocca aperta e spaccato pubblicamente Fratelli d’Italia.

La figura più importante, a livello di carica, a essere corsa in sostegno di Vannacci è il vicepremier e ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini. Come riporta Il Fatto Quotidiano, Salvini lo ha prima difeso durante una diretta social paragonandolo a Giordano Bruno, dopo che lo stesso militare si era già definito “erede di Giulio Cesare”, per poi fargli pubblicità davanti ai suoi 2 milioni di follower dicendo a tutti che comprerà e leggerà il suo libro. C’è poi Vittorio Sgarbi, sottosegretario al ministero della Cultura.

A seguire è poi arrivata la strana coppia che abbiamo già imparato a conoscere per vicende altrettanto incresciose, formata da un imitatore amatoriale del personaggio del mondo di Topolino Minni, come riporta La7, e da un imitatore amatoriale della polizia segreta nazista Schutzstaffel, o SS. Si tratta di Giovanni Donzelli e Galeazzo Bignami, entrambi di Fratelli d’Italia come Crosetto, di cui uno è deputato e vicepresidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica e l’altro viceministro delle Infrastrutture e dei trasporti.

Entrambi, come riporta Domani, hanno difeso Vannacci citando la libertà di espressione e il politicamente corretto, per poi criticare la scelta del ministro Crosetto di aver denunciato su X il testo del militare, definito “farneticazioni personali” che “screditano l’Esercito, la Difesa e la Costituzione”. A tutte le critiche subite, interne ed esterne al proprio partito, Crosetto ha risposto ancora una volta come impone il suo ruolo istituzionale spiegando che “le Forze Armate e di polizia, cui è consentito per legge e Costituzione, l’uso della forza, devono operare prive di pregiudizi di ogni tipo (razziali, religiosi, sessuali). Perché tutti devono sentirsi sicuri”.

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Il generale dell’Esercito Vannacci, che ha scritto un libro razzista e omofobo, è stato sollevato dal comando

Author: Wired

Manie di grandezza, razzismo, sessismo e omofobia a livelli tali che perfino il ministro della Difesa di Fratelli d’Italia, Guido Crosetto, le ha definite “farneticazioni personali”. È questo il contenuto di Il mondo al contrario, libro scritto e autopubblicato su Amazon dal generale dell’Esercito italiano Roberto Vannacci, da cui l’Esercito ha preso le distanze, aprendo un procedimento disciplinare contro l’ufficiale e rimuovendolo dal suo attuale incarico a capo dell’Istituto geografico militare di Firenze.

Il libro

Per Vannacci, la portabandiera italiana alle Olimpiadi di Tokyo e campionessa di pallavolo Paola Enogu è “italiana di cittadinanza, ma è evidente che i suoi tratti cromatici non rappresentano l’italianità”. Mentre lui, genovese di 54 anni, si autodefinisce “erede di Giulio Cesare” per poi dire alle persone omosessuali che “normali non lo siete, fatevene una ragione”, forse dimenticando la relazione omoerotica di Cesare con il re di Bitinia, Nicomede, menzionata da Svetonio nel De vita Caesarum.

Il testo, denunciato per la prima volta su Repubblica, continua poi con un elogio della “legittima difesa”, intesa dal generale dell’Esercito Vannacci come il “trafiggere con qualsiasi oggetto mi passi tra le mani” una persona trovata a rubare in casa o il “piantare la matita che ho nel taschino nella giugulare del ceffo che mi aggredisce, ammazzandolo”.

E tra le altre espressioni di odio e aggressività, nota accuratamente il giornalista Matteo Pucciarelli su Repubblica, Vannacci si accorge che le sue parole potrebbero ispirare atti violenti e per questo, nelle prime pagine, si “dissocia da qualsiasi tipo di atti illeciti possano da esse derivare”. Allo stesso tempo però, riconosce candidamente che il suo libro esprime odio, rivendicando “a gran voce anche il diritto all’odio e al disprezzo e a poterli manifestare liberamente”.

La storia

Un atteggiamento che può forse sorprendere, ma non lascia esterrefatti se si guarda il passato di Vannacci, diventato nel 2016 comandante della famigerata Brigata “Folgore”, la “frangia più fascista delle forze armate italiane” come sostenuto da un articolo di Vice Italia del 2017. Accusa che si basa soprattutto su un famoso video in cui i paracadutisti del reparto cantano un inno fascista con tanto di saluti romani, come riporta Il Fatto Quotidiano.

Il libro di Vannacci contiene e ripropone molte delle idee preferite dai militanti dell’estrema destra, definendo, per esempio, i dibattiti contemporanei sui diritti civili come “lavaggio del cervello di chi vorrebbe favorire l’eliminazione di ogni differenza compresa quella tra etnie, per non chiamarle razze”. Oppure, ancora una volta, che “le coppie arcobaleno non sono normali. La normalità è l’eterosessualità. Se a voi sembra tutto normale, invece, è colpa delle trame della lobby gay internazionale”.

Una serie di “farneticazioni personali”, come detto da Crosetto su X, l’ex Twitter, e di cui l’Esercito ha spiegato di non essere a conoscenza, sottolineando come “non erano mai state sottoposte ad alcuna autorizzazione e valutazione da parte dei vertici militari” e prendendo “le distanza dalle considerazioni del tutto personali (come precisato nel testo) espresse dall’ufficiale”, come riportato dal Corriere della Sera. Il giorno dopo lo scandalo, lo Stato maggiore dell’Esercito lo ha sollevato dal comando e rimosso da capo dell’Istituto geografico militare di Firenze, si legge su Rai News 24.