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Dal laboratorio alle startup: come Bayer ha messo la ricerca sui tumori sotto lo stesso tetto

Author: Wired

“Solo il 5% delle molecole che elaboriamo diventano farmaci approvati e ci vogliono dai 10 ai 15 anni per passare dal laboratorio al mercato”, sottolinea Dominik Rüttinger, Global Head Research & Early Development, Oncology di Bayer. Inoltre, aggiunge, “in futuro vedremo sempre più diagnosi prima dei 50 anni, pazienti che dovranno convivere più a lungo con la patologia”. Per questo è importante che gli effetti collaterali siano il più ridotti possibile.

La ricerca dentro Bric

Due le linee di ricerca attive all’interno di Bric. La prima, che coinvolge 12 scienziati, riguarda la ricerca di base, ovvero l’individuazione di target sia a livello di cellule che di proteine. Altri 30, invece, sviluppano molecole che siano in grado di andare a colpire questi target. Attività, quest’ultima, che viene svolta in collaborazione con i team di ricerca basati in Germania. Il coordinamento di tutti questi scienziati è affidato a Sybil Williams, Head of Oncology Research and Site Head for Bric, Bayer, basata a Cambridge.

Una sede all’interno della quale si lavora anche utilizzando l’intelligenza artificiale. “Gli algoritmi ci permettono di vedere quello che gli umani non capiscono – spiega Rüttinger -. In particolare, la valutazione degli esami radiologici consente di predire se il paziente possa essere sensibile a un farmaco efficace in presenza di una determinata mutazione. A quel punto, si effettua un test genetico sul paziente per verificare che la mutazione sia presente e, in caso affermativo, si somministra il farmaco”.

Le collaborazioni esterne

Il lavoro di ricerca non rimane confinato all’interno delle mura degli edifici di Bric. Sono infatti diverse le università, le aziende e i centri di ricerca con i quali Bayer ha stretto degli accordi. Uno di questi è il Board Institute, ente non profit nato dalla collaborazione tra le due università che hanno sede a Cambridge, ovvero Harvard e l’Massachusetts Institute of Technology. Una realtà cui fanno riferimento oltre 6.500 ricercatori, con la quale l’azienda tedesca collabora da oltre 10 anni.

In particolare, è qui che viene testata in vitro l’efficacia delle molecole sviluppate per colpire i target individuati nei laboratori di Bric. Il Board Institute ha infatti a disposizione oltre 900 linee cellulari, coltivate a partire da tumori di altrettanti pazienti proprio per scopi di ricerca. Non solo: ha sviluppato Prism, una tecnica che riduce, e di molto, i tempi necessari per la sperimentazione.

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Questo farmaco potrebbe essere la svolta contro l’Hiv

Author: Wired

Una sesta persona, che è stata ribattezzata il “paziente di Ginevra“, potrebbe essere guarita dall’Hiv dopo aver ricevuto un trapianto di cellule staminali destinato al trattamento di un’altra malattia, il cancro. L’uomo, a cui l’Hiv era stato diagnosticato nel 1990, continua a non avere virus rilevabili nel sangue a 20 mesi dalla sospensione dei farmaci per il controllo dell’infezione.

Finora, sono cinque le persone considerate guarite dall’Hiv dopo un trapianto di cellule staminali per il trattamento di un tumore. In tutti e cinque i casi, i donatori delle cellule staminali presentano una rara mutazione in un gene chiamato Ccr5. Questa alterazione genetica, presente in un numero limitato di individui di origine nordeuropea, si è dimostrata efficace nell’ostacolare la capacità dell’Hiv di entrare nelle cellule.

Ma il caso del paziente di Ginevra, annunciato questa settimana prima della Conferenza della società internazionale sull’Aids in Australia, differisce dagli altri per un aspetto fondamentale. Il donatore infatti non presentava la mutazione e aveva cellule staminali normali. “Tutti i marcatori dell’infezione da Hiv sono diminuiti molto rapidamente fino a diventare non rilevabili con le analisi classiche nel giro di pochi mesi – ha dichiarato Asier Sáez-Cirión, ricercatore sull’Hiv presso l’Institut Pasteur di Parigi, che ha presentato i risultati in un incontro con la stampa prima della conferenza –.** Riteniamo che questa persona sia in remissione dall’infezione**”.

Non sappiamo se questo paziente sia guarito – afferma Jeffrey Laurence, esperto di Hiv della Weill Cornell Medicine che non è stato coinvolto nella ricerca –, ma se è vero, questo dovrebbe aprire una nuova linea di ricerca“.

Nel 2018 il paziente di Ginevra è stato sottoposto a chemioterapia per un tumore, e poi a un trapianto di cellule staminali, che viene utilizzato per sostituire le cellule che formano il sangue e che sono state distrutte dal cancro o dalla chemioterapia. Quando vengono infuse nel ricevente, le cellule staminali del donatore entrano nel flusso sanguigno e raggiungono il midollo osseo, dove formano nuove cellule sanguigne sane.

Nei cinque pazienti precedenti, si ritiene che le cellule del donatore con la mutazione del gene Ccr5 abbiano causato la remissione dell’Hiv impedendo al virus di creare copie di se stesso. Tuttavia, poche persone sono portatrici della mutazione e le cellule staminali dei donatori devono essere abbinate a pazienti con un tipo di tessuto simile. Questo aspetto limita le possibilità di trovare un donatore, soprattutto per i pazienti non bianchi. Per il paziente di Ginevra, infatti, non era disponibile alcun donatore con il gene Ccr5 mutato.

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Come la scienza ha scagionato una donna accusata di aver ucciso i suoi quattro figli

Author: Wired

Eppure, oltre ai diari, l’argomentazione del pubblico ministero era ispirata dal lavoro del pediatra britannico Roy Meadow, che negli anni Settanta aveva identificato per primo la sindrome di Münchhausen per procura, patologia psichiatrica in cui un genitore arreca un danno ai propri figli con lo scopo di attrarre l’attenzione su di sé. Secondo un famoso scritto del pediatra, infatti, “una morte infantile improvvisa è una tragedia, due sono sospette e tre sono omicidio fino a prova contraria“. Durante il processo a carico di Folbigg sono stati interpellati tre medici, che hanno testimoniato di non aver mai visto o letto di tre decessi per morte improvvisa del lattante in una sola famiglia. Per questi motivi, alla fine del processo la giuria ha ritenuto la madre colpevole degli omicidi dei quattro figli, condannandola a 40 anni di carcere.

Che cos’è la calmodulina 2

A questo punto c’è un salto temporale di circa 15 anni. È il 2018 e Carola Garcia de Viñuesa, all’epoca immunologa dell’Australian National University, in cui si occupa di studiare il genoma umano per indagare le cause delle malattie rare, viene contattata dalla squadra legale di Folbigg. In effetti, dal momento che diversi patologi forensi avevano espresso alcuni dubbi in merito alle prove di natura medica fornite durante il processo del 2003, i legali di Folbigg avevano convinto l’ufficio del procuratore locale a rivalutare il caso. L’obiettivo era quello, utilizzando le tecniche di sequenziamento del dna e le conoscenze sulle malattie genetiche che all’epoca del primo processo non esistevano, di fare luce sulla causa dei quattro misteriosi decessi. Nel genoma di Folbigg e delle sue due figlie, infatti, Viñuesa ha identificato mutazioni nel gene chiamato calmodulina 2, che, secondo uno studio del 2013 del gruppo coordinato da Peter Schwartz, cardiologo, direttore del Centro per lo studio e la cura delle aritmie cardiache di origine genetica dell’Istituto Auxologico Italiano Irccs di Milano, causa morti improvvise nella primissima infanzia.

La calmodulina, infatti, è una proteina che regola una serie di enzimi e canali ionici all’interno delle cellule, compresi quelli essenziali per mediare la contrattilità del cuore. In particolare, quando nel gene che codifica questa proteina si verificano specifiche mutazioni, la proteina perde la funzionalità, aumentando il rischio di soffrire di aritmie (ovvero quando il cuore batte in maniera irregolare) anche mortali. In particolare, le mutazioni presenti nel genoma di Folbigg e delle sue figlie causano aritmie potenzialmente fatali simili a quelle associate alla cosiddetta sindrome del QT lungo (malattia genetica prima causa di morte improvvisa sotto i 20 anni), di cui Schwartz è considerato il maggior esperto a livello mondiale.

La seconda inchiesta

Tuttavia, per riaprire il caso servivano più prove: grazie a una petizione presentata da Viñuesa insieme all’Accademia australiana delle scienze, è stata predisposta una nuova inchiesta sul caso Folbigg, con l’Accademia come consulente scientifico. Quest’ultima, quindi, ha nominato un gruppo di esperti scientifici, 30 ricercatori tra i maggiori esperti in questo campo, che hanno raccolto e presentato le prove durante l’inchiesta: tra questi, vi era anche Peter Schwartz.

Alla domanda del Telegraph su quanto tempo gli ci sia voluto per rendersi conto che poteva esserci una spiegazione naturale alla morte dei bambini, Schwartz ha risposto: “È stato immediato. Sappiamo che se un bambino muore improvvisamente, non ha un coltello nella schiena e possiede questa mutazione genetica, allora è questa la causa della morte”.

I ricercatori, quindi, hanno ricavato ulteriori prove scientifiche, che poi sono state raccolte in uno studio del 2021 pubblicato sulla rivista Europace. In particolare, dal lavoro degli scienziati è emerso che Folbigg e le sue due figlie femmine erano portatrici di una nuova mutazione del gene calmodulina 2 in grado di causare aritmie e associata a morte improvvisa nell’infanzia. Inoltre, gli studi hanno evidenziato che Caleb e Patrick, i due figli maschi, possedevano due diverse varianti molto rare di un altro gene che è stato collegato a problemi neurologici e attacchi epilettici letali. Sulla base di questi risultati Viñuesa, Schwartz e gli altri esperti hanno testimoniato alla nuova udienza, arrivando alla sentenza del 5 giugno scorso. Adesso, un ex giudice incaricato all’interno dell’inchiesta dovrebbe rilasciare un rapporto finale che poi porterà al rilascio ufficiale di Folbigg.

È un giorno per celebrare che la scienza è stata ascoltata e ha fatto la differenza. E non solo a questo caso, credo”, ha detto a Science.org Viñuesa, che spera che questo caso diventi un modello con cui i sistemi legali possono rapportarsi con la scienza.

Un precedente importante

In effetti, come sottolinea a Nature.com lAnna-Maria Arabia, chief executive dell’Accademia australiana delle scienze, la vicenda dimostra come la scienza e i sistemi giudiziari possano lavorare insieme, per creare un sistema legale più sensibile alla scienza stessa, a partire dal riconoscimento delle competenze degli esperti interpellati durante i processi. “Quello che ha fatto il sistema giudiziario australiano ha pochi precedenti: innanzitutto perché le autorità hanno avuto il coraggio di riaprire un processo dopo vent’anni e di andare a guardare realmente come stavano le cose, e soprattutto perché sono stati coinvolti degli esperti internazionali con esperienza specifica sul gene della calmodulina e sulla sindrome del QT lungo e non ci si è limitati ai pareri espressi da medici locali senza competenze in materia, come di solito succede“, aggiunge a Wired Italia Schwartz.

“Questo è il punto critico della faccenda: molto spesso, anche in Italia, c’è la tendenza a interpellare esperti generici”, continua Schwartz. “Per esempio, in un caso come questo può essere interpellato un cardiologo, ma all’interno della cardiologia ci sono esperienze molto diverse e molto selettive, e quindi avere un parere generico in un caso particolarmente controverso ha poco valore. Quello che invece ha fatto la differenza è che le autorità giudiziarie australiane hanno sì avuto una serie di esperti locali generici, ma poi si sono rivolti alle persone, in varie parti del mondo, con la maggiore esperienza in quel campo ha fatto la differenza. Questo è sicuramente un punto importante che crea un precedente cruciale: soprattutto se il caso è delicato, come una condanna a quarant’anni di carcere, è giusto interpellare quelli che sono i maggiori esperti al mondo sulla specifica malattia in questione“.

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Hiv, i farmaci per la profilassi pre- esposizione (Prep) saranno rimborsabili

Author: Wired

La profilassi pre-esposizione a Hiv-1 (Prep) è rimborsabile: lo ha deciso l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) con una delibera CdA n. 15 del 26 aprile 2023, con la quale ha ammesso l’indicazione alla rimborsabilità dell’associazione Emtricitabina/Tenofovir Disoproxil che viene impiegata proprio per prevenire l’infezione. A questo tipo di profilassi possono essere sottoposti adulti e adolescenti Hiv-negativi che hanno avuto comportamenti sessuali a rischio elevato. La proposta è approvata dall’Aifa in seguito alla presentazione della richiesta per la rimborsabilità da parte della Sezione per la lotta contro l’Aids del Comitato tecnico sanitario del ministero della Salute, mantenendo i criteri di selezione dei pazienti e la strategia di presa in carico globale.

La prescrizione e la posologia

L’infettivologo che prescrive la terapia compila anche una scheda di prescrizione che contiene i criteri di esclusione e inclusione del trattamento e le principali caratteristiche del programma di presa in carico e monitoraggio. La distribuzione della Prep può avvenire unicamente nelle farmacie ospedaliere. Come viene spiegato sul sito del ministero della Salute, con il termine Prep, che deriva dall’inglese pre-exposure prophylaxis, in italiano profilassi pre-esposizione, si indica l’assunzione di farmaci contro Hiv prima dei rapporti sessuali da parte di persone sieronegative a rischio per prevenire l’infezione da Hiv. Affinché la profilassi sia efficace, i pazienti devono assumere o una compressa al giorno o due compresse nelle 2 o 24 ore che precedono il rapporto sessuale, una 24 ore dopo la prima assunzione e una dopo ulteriori 24 ore.

La profilassi pre-esposizione deve essere prescritta da un medico infettivologo presso un centro di malattie infettive, affinché il paziente venga seguito da uno specialista. I farmaci, invece, sono acquistati nelle farmacie ospedaliere. La Prep fa parte dei metodi di prevenzione dell’infezione da Hiv, insieme al preservativo maschile, a quello femminile, al dental dam e alla terapia antiretrovirale. Infatti, se si hanno rapporti sessuali con una persona con Hiv ma che si sottopone alla terapia antiretrovirale efficace non vi è rischio di contrarre il virus. La carica virale non deve però essere rilevabile nel sangue dal almeno 6 mesi.

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Droni, il primo test del trasporto organi in Italia

Author: Wired

Il trasferimento di organi tramite droni è al capitolo uno: entro la fine del mese a Torino si concretizzerà il primo volo sperimentale italiano. Nel 2021 su Wired avevamo raccontato il perimetro del progetto, ma solo adesso si è entrati nel vivo. “Il motivo di questo ritardo non è tecnologico bensì normativo: abbiamo collaborato con Enac per ottenere l’autorizzazione a volare in ambito cittadino oltre la linea di vista. Il tema della sicurezza è vitale“, conferma Antonio Amoroso, presidente della Fondazione Donatori organi e trapianti (Dot).

Non di meno il team scientifico ha dovuto sperimentare in laboratorio se eventuali scuotimenti o vibrazioni potessero alterare il materiale biologico trasportato. Già, perché la prospettiva è quella di raggiungere un giorno il trasporto organi, ma prima di allora ci si concentrerà sul trasporto di campioni biologici per la verifica della compatibilità tra donatore e ricevente.

“In laboratorio abbiamo impiegato dei simulatori, degli shaker, per riprodurre circa 60 minuti di sollecitazioni. Dopodiché abbiamo confrontato i campioni: quelli rimasti immobili e gli altri. L’esito è stato positivo e non abbiamo riscontrato variazioni

Antonio Amoroso, ordinario di genetica medica presso il Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Torino

La Fondazione Dot, che si occupa di promuovere la cultura della donazione di organi e dei trapianti, ha deciso di chiamare il progetto Indoor (uslNg Drones fOr Organ tRansportation). Da rilevare che fin dal primo momento sono stati coinvolti partner istituzionali e tecnici, fra cui il Centro nazionale trapianti, il Centro regionale trapianti del Piemonte, l’Azienda ospedaliera universitaria Città della Salute e della Scienza, l’Università di Torino, l’Enac e le aziende private del settore aviazione e aerospazio Pros3, Mavtech, Abzero e Lma Aerospace Technology. Senza contare l’apporto fondamentale del Centro Interdipartimentale per la robotica di servizio PIC4SeR del Politecnico di Torino, coordinato dal professor Marcello Chiaberge.

percorso drone volo organi

Il percorso del primo volo

Il primo volo sperimentale a Torino

Entro la fine di aprile verrà organizzato un primo volo tra il Centro Traumatologico Ortopedico e la Palazzina di Genetica dell’ospedale Molinette: si parla di circa 600 metri linea d’aria, mantenendosi sotto i 70 metri di altitudine a una velocità massima di 50 chilometri all’ora, sorvolando in modalità di navigazione automatica un tratto urbano e un tratto del fiume Po. Verrà fermato il traffico e comunque il drone sarà monitorato costantemente lungo l’intero percorso. Non ci si aspetta grandi colpi di scena poiché in fondo è quasi un volo per “sperimentare” l’autorizzazione Enac, più che dettagli tecnici. Il drone infatti è un piccolo quadricottero, con un ingombro di circa 50 centimentri, dotato di una capsulina di trasporto in scala. Per di più le provette trasportare saranno di un liquido inerte.