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Chi è Nikki Haley, l’ultima speranza della destra americana contro Trump

Author: Wired

Negli Stati Uniti, le primarie con cui il Partito repubblicano sceglierà il proprio candidato alle prossime elezioni presidenziali di novembre stanno entrando nel vivo. Se il prossimo 5 marzo è in programma il cosiddetto Super Tuesday, che vedrà alle urne ben 15 dei 50 stati americani, gli occhi di media e impallinati di politica oggi sono tutti puntati sul voto in South Carolina, lo stato di casa di Nikki Haley, l’ultima persona rimasta a contendere la nomination a Donald Trump.

La strada verso la nomination dell’ex presidente sembra sempre più in discesa. Trump è saldamente in testa in tutti i sondaggi e lo sfidante che inizialmente sembrava più accreditato a batterlo, Ron DeSantis, si è ritirato dalla competizione alla vigilia del voto in New Hampshire. Il governatore della Florida aveva lanciato la sua candidatura lo scorso maggio – durante una disastrosa diretta audio sull’allora Twitter con Elon Musk – ma la sua campagna elettorale si era progressivamente sgonfiata ed è finita di fatto con il pessimo risultato ottenuto ai caucus dell’Iowa, su cui aveva investito moltissimo.

Il ritiro di DeSantis ha lasciato quindi la sola Haley a sfidare Trump nelle primarie della destra americana. Nonostante i risultati poco incoraggianti raccolti negli stati in cui si è già votato – e dove Haley ha raccolto al massimo un secondo posto su due candidati totali – la repubblicana di lungo corso ha più volte ribadito che non intende ritirarsi dalla competizione, concentrando su di sé le attenzioni di chi spera in un’alternativa credibile a Trump.

Il cv e la strategia di Haley

Haley, 52 anni, è nata in South Carolina da genitori immigrati negli Stati Uniti dall’India e non si chiama davvero Nikki Haley: il suo vero nome è Nimrata Nikki Randhawa (Haley è il cognome del marito).

A livello politico, è conosciuta soprattutto per essere stata due volte governatrice del South Carolina e per aver ricoperto il ruolo di ambasciatrice americana alle Nazioni Unite proprio sotto la presidenza Trump.

La strategia elettorale di Haley si è giocata su un equilibrio precario: presentarsi come una candidata più rassicurante e affidabile rispetto a Trump senza però inimicarsi la fascia più radicalizzata ed estremista dell’elettorato americano di destra che si riconosce nel movimento Maga (Make America great again). Con tempo però Haley ha parzialmente modificato la propria tattica, iniziando a criticare e rispondere in maniera sempre più diretta al suo ex capo.

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Dobbiamo prepararci al ritorno di Donald Trump?

Author: Wired

Dopo aver stravinto le primarie del partito Repubblicano in Iowa la settimana scorsa, l’ex presidente degli Stati UnitiDonald Trump ha vinto anche quelle del New Hampshire. Non con il largo vantaggio che molti ipotizzavano, ma le ha vinte, e questo vuol dire che la partita all’interno del “Grand old party” repubblicano è in sostanza già decisa: sarà lui di nuovo il candidato alle elezioni presidenziali di novembre, dopo esserlo già stato nel 2016 e nel 2020. Era dai tempi di Grover Cleveland – 130 anni fa – che un ex presidente non tentava di essere rieletto per un secondo mandato non consecutivo dopo aver perso un’elezione presidenziale.

La sconfitta dello pseudo-trumpismo

Secondo molti non esistono rivali in grado di mettere a rischio la maggioranza di consensi che Trump ha già ottenuto tra i Repubblicani. Nikki Haley, ex ambasciatrice presso le Nazioni Unite, di gran lunga preferita dalla vecchia guardia neoconservatrice, si è dimostrata un fuoco fatuo. E pure Ron DeSantis, il governatore della Florida ancora più reazionario di Trump su immigrazione e cultura woke – oltre che grande amico di Elon Musk – ha alzato bandiera bianca. Quasi tutti gli altri sfidanti si sono ritirati nei mesi scorsi, dopo risultati disastrosi nei sondaggi.

Non è questione di mancanza di fondi. Con Haley, per esempio, si erano schierati grandi nomi dell’economia statunitense, come Jamie Dimon, amministratore delegato di JPMorgan Chase. Il problema è che alcuni si erano convinte che negli Stati Uniti ci fosse ancora spazio per un reaganismo basato su tasse leggere, posizioni moderate sulle questioni etiche e interventismo contro i nemici dell’Occidente all’estero. Ma il repubblicano medio, oggi, questa ricetta non la vuole più. Anche se, a guardare i sondaggi, la maggioranza degli statunitensi sarebbe più felice se né l’attuale presidente Joe Biden né Trump si presentassero alle elezioni.

Un terremoto in politica estera?

Molte preoccupazioni tra gli europei sono legate alla posizione che Trump potrebbe assumere nei confronti della Nato se venisse eletto presidente. Sul sito web della sua campagna presidenziale, si promuove “un riesame approfondito del senso e della missione della Nato“, e le sue precedenti dichiarazioni su un’organizzazione da lui definita “obsoleta e basata su un accordo sfavorevole a Washington sono ancora fresche nella memoria di tutti.

Quello che pare certo è che un eventuale ritorno di Trump alla Casa Bianca farebbe tremare Kyiv. Il neoeletto presidente, infatti, potrebbe ritirare il sostegno statunitense, lasciando l’Ucraina dipendente dalla sola assistenza europea e vulnerabile alla Russia. Ma è realistico pensare che anche Biden, una volta confermato, possa decidere di spingere l’Ucraina verso le negoziazioni, esercitando pressioni sulla presidenza di Volodymyr Zelensky affinché adotti obiettivi più realistici. Tuttavia, Trump, da sempre sprezzante nei confronti della resistenza Ucraina, potrebbe accelerare in modo brusco il disimpegno, favorendo gli obiettivi bellici della Russia.