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I Twitter files sono una manna dal cielo per i complottisti

Author: Wired

Il 6 dicembre Crokin ha preso parte a un evento organizzato presso la residenza di Trump in Florida, Mar-a-Lago, dove ha discusso di “Pizzagate, Balenciaga e di ciò che l’amministrazione del presidente Trump ha fatto per combattere il traffico di esseri umani”, secondo il suo canale Telegram. Crokin ha anche caricato un discorso tenuto da Trump durante l’evento, dove l’ex presidente elogiava il suo ex consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Flynn, diventato nel frattempo uno dei principali promotori della teoria su QAnon. 

Dopo la pubblicazione del leak, il popolarissimo account @catturd, che ha oltre un milione di follower su Twitter e più di 800mila sul social network di proprietà di Trump, Truth, ha invocato lo scioglimento dell’Fbi e l’arresto del suo direttore. “Dopo ciò che Elon Musk ha rivelato sul #TwitterGate, non voglio mai più sentire la frase ‘elezioni libere e giuste’ provenire dall’Fbi, dai fact-checker delle big tech, dai media o dal partito democratico“, ha scritto la persona che gestisce anonimamente l’account.

Tuttavia, come spiega lo stesso Tabbi, i documenti non provano nulla di quello che sostengono i complottisti:Sebbene diverse fonti abbiano raccontato di aver sentito parlare di un avvertimento ‘generale’ da parte delle forze dell’ordine federali quell’estate [nel 2020, prima delle elezioni presidenziali, ndr] circa possibili hackeraggi stranieri, non c’è alcuna prova – che io abbia visto – di un coinvolgimento del governo nella storia del laptop“, ha scritto Taibbi. In realtà, prosegue Taibbi, la decisione di limitare la diffusione del New York Post è stata presa da alti dirigenti di Twitter senza però coinvolgere l’allora ad Dorsey. “L’hanno fatto da soli“, ha detto una fonte che ha parlato con il giornalista.

Il reale contenuto dei Twitter files non ha comunque frenato i complottisti. I sostenitori di Trump, in particolare, si sono concentrati su un nome specifico contenuto nei doucumenti: James Baker.

Nelle email interne di Twitter diffuse nel leak, Baker, vice avvocato generale di Twitter, raccomandava un approccio prudente nella gestione della storia del laptop di Hunter Biden: “Abbiamo bisogno di più fatti per valutare se i materiali sono stati oggetto di hacking“, ha scritto. Baker, uno dei principali avvocati dell’azienda, avevano notato come alcune prove indicassero che il contenuto del portatile era stato violato, mentre altri indicatori suggerivano che fosse stato semplicemente abbandonato da Biden. In assenza di informazioni definitivo, ha raccomandato a Twitter di pensare al peggio e di procedere con “cautela.

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Protocollo di Kyoto: perché è stato fondamentale, 25 anni dopo

Author: Wired

La Convenzione quadro, come anticipato, riconosceva le particolari necessità dei Paesi in via di sviluppo, con il senso di non ostacolarne la crescita economica. L’allegato 1 contiene un elenco di Paesi che, sulla base dell’articolo 12, sarebbero stati tenuti a trasmettere regolari report in cui elencare le misure adottate per la riduzione dei gas serra. Si tratta, essenzialmente, dei Paesi industrializzati (tra cui l’Italia) assieme a quelli dell’ex blocco sovietico (la neonata Federazione russa e i paesi del fu Patto di Varsavia), che ai tempi erano correntemente definiti “secondo mondo” per la presenza di un’industria in qualche modo avviata. Il principio cardine, che caratterizzerà tutti i negoziati climatici a seguire seppur con diverse gradazioni, è che i Paesi industrializzati sono riconosciuti come principali responsabili delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera. Importante rilevare come manchino – e sarà un fatto rilevante fino a oggi – grandi Stati come Cina, India e Brasile.

article imageComprare e vendere permessi per emettere CO2 rende sempre di più

Nel 2050 potrebbero generare mille miliardi di dollari all’anno. Per questo alla Cop27, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite in Egitto, gli Stati puntano a trovare un accordo per regolare i mercati internazionali. Le sfide aperte ai negoziati

Il protocollo di Kyoto

Nel 1995, i partecipanti all’Unfccc si incontrano a Berlino alla prima Conferenza delle parti sul clima (Cop1) allo scopo di definire i principali obiettivi riguardo alle emissioni serra. Arriviamo quindi al 1997, quando, l’11 dicembre a Kyoto, viene firmato il protocollo omonimo, che fissava piani di riduzione delle emissioni per 37 Paesi industrializzati e con economie in fase di transizione. Si tratta dei Paesi inclusi nell’allegato B, elenco che rispecchia sostanzialmente la lista della Convenzione del 1992. 

Il trattato prevedeva l’obbligo di ridurre le emissioni di sei gas serra (anidride carbonica, metano, ossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo). La caratteristica principale del protocollo di Kyoto è che stabilisce obiettivi vincolanti e qualificati: ridurre le emissioni di almeno il 5% rispetto a quelle del 1990 nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012. 

Il protocollo di Kyoto sarebbe enetrato in vigore il 16 febbraio 2005: perché il meccanismo scattasse, si richiedeva la ratifica da parte di non meno di 55 stati firmatari e che gli Stati che lo avessero ratificato producessero almeno il 55% delle emissioni inquinanti globali. Condizione, quest’ultima, raggiunta solo nel novembre del 2004, con il perfezionamento dell’adesione da parte della Russia. 

Il protocollo di Kyoto prescrive che la riduzione debba avvenire essenzialmente tramite misure nazionali, ma prevede anche una serie di  meccanismi basati sul mercato, i cosiddetti “meccanismi flessibili. Si può dire che nella città giapponese sia stato “inventato” il mercato del carbonio che sarebbe poi stato perfezionato a Marrakech nel 2001 e da lì fino a Glasgow. I “meccanismi flessibili” sono tre: meccanismo di sviluppo pulito, implementazione congiunta e scambio delle emissioni.

Attivisti chiedono fondi per il loss and damage tra i padiglioni di Cop27A Cop27 arriva l’accordo per risarcire i danni della crisi del clima

Unione europea e blocco africano fanno la differenza ai tavoli negoziali. Storico via libera al fondo sui loss and damage. Per il resto si fanno pochi passi in avanti e si rimane fermi a un anno fa. Pesa il ruolo della lobby delle fonti fossili

Successi e critiche

Sicuramente il protocollo di Kyoto ha rappresentato un passaggio fondamentale per la politica climatica – afferma Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano e membro fondatore del centro studi Italian Climate Network -. Di fatto, è stato il primo momento in cui i grandi emettitori si sono assunti impegni di riduzione delle emissioni“. 

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Robot killer, San Francisco fa marcia indietro

Author: Wired

Ci sono molte ragioni per cui armare i robot è una cattiva idea – sostiene Peter Asaro, professore associato alla New School di New York che si occupa di ricerca sull’automazione delle forze di polizia ed è convinto che il piano di San Francisco faccia parte di un movimento più ampio finalizzato alla militarizzazione della polizia –. È dannoso per il pubblico, e in particolare per le comunità di colore e le comunità povere“.

Asaro è scettico anche nei confronti dell’idea secondo cui le armi in dotazione ai robot possano essere sostituite da bombe e sottolinea che l’uso di esplosivi in un contesto civile non potrebbe mai essere giustificato (attualmente alcune forze di polizia negli Stati Uniti utilizzano robot muniti di bombe per determinati interventi; nel 2016, per esempio, la polizia di Dallas ha utilizzato uno di questi robot per uccidere un sospetto in quello che gli esperti hanno definito un caso “senza precedenti”).

Secondo Asaro, l’introduzione di robot killer minerebbe la capacità delle forze di polizia di interagire con la comunità anche in altri modi: “Non c’è un numero sufficiente di applicazioni in cui saranno utili“, dice. Nel frattempo, altre applicazioni in cui i robot svolgono un ruolo importante – come il trasporto di telefoni e altri oggetti nelle trattative con gli ostaggi – verrebbero compromesse dal sospetto che la macchina possa in realtà essere in grado di sparare.

Ma al di là degli aspetti pratici, c’è una questione più fondamentale: i robot di qualsiasi tipo, anche se controllati a distanza, non dovrebbero essere in grado di uccidere. Per Aitken, sarebbe sbagliato permettere ai robot di prendere decisioni che determinano la vita o la morte di una persona: “C’è una chiara dissociazione tra l’azione e la persona che prende la decisione – spiega –: è l’essere umano che prende la decisione di agire, ma è il robot a eseguirla fisicamente su ordine di una persona che potrebbe non avere un quadro completo della situazione“.

Il futuro del progetto

La retromarcia da parte di alcuni membri del Consiglio dei supervisori di San Francisco sull’uso della forza letale nei robot è stata accolta con favore dagli attivisti che la scorsa settimana hanno cercato di impedire la decisione: “Grazie agli appassionati residenti della Bay Area [l’area metropolitana intorno alla Baia di San Francisco, ndr] e alla leadership dei supervisori Preston, Ronen e Walton, oggi il Consiglio ha votato contro l’uso della forza letale da parte della polizia di San Francisco mediante robot controllati a distanza“, ha dichiarato Matthew Guariglia, analista politico della Electronic frontier foundation.

La tregua però è solo temporanea: il Consiglio rivaluterà la decisione in futuro, trovandosi di fronte con ogni probabilità a una reazione altrettanto forte, dice Guariglia. “Se la commissione dovesse riconsiderare la questione, la comunità deve unirsi per fermare questo pericoloso uso della tecnologia”.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired UK.

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Cani anti-bomba, negli Stati Uniti stanno sparendo

Author: Wired

Inoltre, programmi come il Patriotic puppy program dell’American kennel club stanno cercando di formare agli allevatori esistenti sui requisiti e i criteri necessari per concentrarsi specificamente sui cani per il rilevamento degli esplosivi. I progressi però saranno graduali e ci vorranno anni per vedere i primi frutti. “Vorrei che fossimo molto più avanti, ma la pandemia ha rallentato la ricerca e tutti i programmi – ha raccontato Otto a Wired US –. Ha limitato l’afflusso di esemplari da oltreoceano e rallentato i progressi verso delle alternative. È stata un brutto colpo“. A ottobre, il Government accountability office (Gao) degli Stati Uniti ha pubblicato un rapporto di quasi cento pagine sui cani da lavoro e sulla necessità che le agenzie federali tutelino meglio la loro salute e il loro benessere. Secondo il Gao, a febbraio il governo federale degli Stati Uniti disponeva di circa 5100 cani da lavoro, compresi gli esemplari per il rilevamento degli ordigni, distribuiti su tre agenzie federali. Altri 420 cani “servivano il governo federale in ventiquattro programmi gestiti da appaltatori all’interno di otto dipartimenti e due agenzie indipendenti“, si legge nel rapporto.

Il documento sottolinea anche il potenziale sovraccarico di lavoro nei casi in cui non ci sono abbastanza esemplari a disposizione. “I cani potrebbero aver bisogno di correre velocemente all’improvviso, o di saltare una barriera alta, così come della resistenza fisica per camminare tutto il giorno – prosegue il rapporto–. Potrebbero dover cercare tra le macerie o in condizioni ambientali difficili, come caldo o freddo estremi, spesso indossando pesanti corazze. Potrebbero anche passare la giornata a rilevare odori specifici tra migliaia di altri, un’attività che richiede grande concentrazione. Ogni funzione esige che i cani siano sottoposti a un addestramento specializzato“. Con la fine delle restrizioni imposte dalla pandemia, le istituzioni statunitensi si stanno affannando per recuperare il tempo perduto su due fronti ugualmente importanti: lo sviluppo di procedure per ottenere cani anti-bomba idonei e l’allevamento dei cuccioli. 

L’Auburn University si concentra sul primo aspetto. “Ad Auburn siamo stati fortunati perché la pandemia non ci ha costretti a interrompere del tutto la ricerca, ma abbiamo risentito di problemi legati alla programmazione, alla catena di approvvigionamento, a tutte quelle cose che rallentano il ritmo del progresso – spiega Skip Bartol, decano associato dell’Auburn University College of Veterinary Medicine –. Non c’è ancora una tabella di marcia verso una soluzione definitiva per l’approvvigionamento nazionale di cani da rilevamento, ma quello che stiamo cercando di fare è stabilire le migliori pratiche scientifiche, dalle decisioni corrette in campo genetico sull’allevamento dei cani da rilevamento fino al sviluppo dei cuccioli passando per come l’ambiente iniziale influisce sul loro potenziale per tutta la vita“.

I problemi a livello di approvvigionamento e allevamento durante la pandemia fanno sì che la popolazione di cani anti-bomba impiegati negli Stati Uniti in questo momento potrebbe invecchiare e venire sfruttata ancora di più del solito. Il risultato è che il paese dipende ancora pesantemente dall’approvvigionamento di cani per il rilevamento degli esplosivi dall’estero. Come evidenzia Otto, “è una combinazione di fattori, ma sicuramente c’è ancora una domanda per lo più insoddisfatta“.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.

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I robot killer di San Francisco sono una minaccia per le minoranze

Prima del voto del 29 novembre, Brian Cox, direttore dell’Unità per l’integrità dell’ufficio del difensore pubblico di San Francisco, ha definito la modifica in contrasto con i valori progressisti che la città rappresenta storicamente, esortando il Consiglio dei supervisori a respingere la proposta della polizia di San Francisco: “È una falsa scelta, basata sulla paura e sul desiderio di farsi le regole da soli“, ha scritto Cox in una lettera indirizzata al Consiglio.

Cox ha affermato che l’uso di robot in grado di uccidere nelle strade di San Francisco potrebbe causare seri danni, aggravati dalla “lunga storia di uso eccessivo della forza da parte della polizia di San Francisco, in particolare contro le persone di colore“. Anche l’American civil liberties union, la Electronic frontier foundation e il Lawyers committee for civil rights hanno espresso la loro opposizione alla norma.

Il Dipartimento di polizia di San Francisco ha comunicato di avere 17 robot, 12 dei quali sono operativi. Tra questi ci sono macchine per la ricerca e salvataggio progettati per essere utilizzati dopo un disastro naturale come un terremoto, ma anche modelli che possono essere equipaggiati con fucili, esplosivi o spray al peperoncino.

Precedenti controversi e poca coerenza

Il membro del Consiglio dei supervisori Aaron Peskin ha accennato ai possibili danni derivanti dall’uso di esplosivi da parte della polizia durante il dibattito che ha preceduto il voto sulla norma. Nel 1985, durante un’operazione a Filadelfia, la polizia sganciò dell’esplosivo da un elicottero su una casa, provocando un incendio che uccise 11 persone e distrusse 61 abitazioni.

Peskin ha definito l’episodio come uno dei più atroci e illegali nella storia delle forze dell’ordine statunitensi, aggiungendo però di essere confortato dal fatto che a San Francisco non si siano mai verificati incidenti simili. Alla fine Peskin ha votato a favore della norma, inserendo un vincolo che consente solo al capo della polizia, all’assistente capo delle operazioni o al vice capo delle operazioni speciali di autorizzare l’uso della forza letale con un robot, oltre a una formulazione che invita a prendere in considerazione opzioni per il ridimensionamento delle crisi.

L’approvazione dei robot con licenza di uccidere è l’ultimo colpo di scena in una serie di leggi relative all’uso della tecnologia da parte della polizia emanate dalla città San Francisco. Dopo aver approvato una legge che vieta l’uso dei taser da parte della polizia nel 2018 e impedito il ricorso al riconoscimento facciale nel 2019, a settembre l’amministrazione della città ha concesso alla polizia l’accesso ai filmati delle telecamere di sicurezza private.

Source: wired.it