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Stiamo esagerando con i remake nei videogiochi?

Author: Wired

Quando a marzo è stata diffusa la demo del remake di Resident Evil 4, una preoccupazione ha prevalso su tutte le altre: Leon avrebbe ripetuto la sua leggendaria battuta “Ma dove stanno andando? Al bingo?” (“Where’s everyone going? Bingo?”, in originale)? La frase arriva all’inizio del gioco, subito dopo che il nostro eroe dalla chioma impeccabile e dalla mascella squadrata si risveglia in un mondo popolato da zombie. Leon sta per essere massacrato dai contadini del villaggio armati di forconi e motoseghe, ma un rintocco di campana li richiama improvvisamente. La battuta è incredibilmente stupida ma se Leon non l’avesse detta – ho pensato dopo aver visto la notizia della demo – mi sarei unito alla folla inferocita fuori dagli uffici della Capcom.

L’età dell’oro dei remake

L’industria culturale ama i remake, ma anche i reboot, i revival, i sequel, i prequel, i multiversi e gli universi cinematografici. In un recente articolo per la testata Vulture, Josef Adalian e Lane Brown scrivono che la tv sta entrando in un’era caratterizzata da “idee che vanno sul sicuro“, che paragonano all’industria cinematografica degli anni Dieci. Le nuove serie di Harry Potter e Twilight, attualmente in lavorazione, sono la prova di questa tendenza.

Ma anche altri media corrono il rischio di cadere nella stessa trappola. Naturalmente, non c’è nulla di svilente di per sé nei remake. Senza remake, non avremmo avuto Scarface o Il Grinta e in un certo senso, Shakespeare ci ha costruito sopra una carriera. Affermare che un remake mini il soggetto originale sarebbe un impulso censorio e fuorviante. Forse sarà più difficile convincere una persona a guardare il primo The Wicker Man se si è appena sorbita Nicolas Cage che urla contro le api nel suo rifacimento, ma in generale questa logica è governata da una strana forma di matematica. Dove ce n’era uno, ora ce ne sono due. Un remake è solo un’interpretazione, non deve sostituire l’originale.

Per i videogiochi, il discorso però è diverso e spesso ci si trova davanti a una sottrazione. Solo quest’anno, gli studios hanno già re-immaginato quattro titoli classici (con diversi gradi di modifiche) in modo brillante: Resident Evil 4, Metroid Prime, Dead Space e, più recentemente, System Shock, forse inaugurando un’età dell’oro per i remake. Contrariamente ad altre forme d’arte, nell’industria dei videogame si tende a parlare di queste riedizioni come di sostituzioni. Questo non vuol dire che la storia del cinema e della letteratura non sia costellata da perdite, grandi opere bruciate in disastri o relegate a oscure piattaforme di streaming. Ma con i videogiochi, dove le vecchie versioni vengono scambiate con le nuove su piattaforme come Steam o PlayStation Store, la sovrascrittura dell’opera originale è una tendenza particolarmente radicata. Ma un remake non può essere una sostituzione, nemmeno se superiore all’originale.

Nuovo=meglio?

I videogame vengono rifatti per le stesse ragioni per cui viene rifatto qualsiasi altro prodotto: la riconoscibilità del brand vende. Inoltre, i giocatori sono nostalgici che visitano i mondi ludici in un modo che li porta a rimpiangere quei luoghi come si rimpiangerebbe la propria casa. In una recente intervista su Inverse, lo sviluppatore di Square Enix Yoshinori Kitase ha spiegato che in giapponese questo fenomeno è chiamato “filtro nostalgia”, che si materializza quando un ricordo è più bello di quanto non fosse la realtà. In questo senso, un remake è una semplice “rimasterizzazione“, come quella di Metroid Prime, che ha reso più nitida la grafica per soddisfare i ricordi filtrati dalla nostalgia dei fan. Questa modalità di aggiornamento è spesso sufficiente per impressionare i clienti: Bluepoint Studios ha abbellito Demon’s Souls a tal punto da mettere sotto pressione il team grafico che lavorava a Elden Ring.

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Pikmin 4 è il videogioco perfetto per chi vuole staccare da tutto

Author: Wired

Scoprendo nuove specie e mettendo insieme una squadra ben assortita, raccogliere le risorse e raggiungere gli obiettivi prima che il giorno finisca e i compiti si esauriscano diventa più facile. È tutto piacevolmente rilassante, un po’ come cancellare dei punti da un elenco di cose da fare (a parte quando di tanto in tanto sono costretto a guardare uno dei miei fedeli soldati che viene divorato dalla fauna locale).

Sono passati dieci anni dall’uscita dell’ultimo titolo della serie, Pikmin 3, su Wii U. Questo nuovo capitolo per Switch presenta degli aggiornamenti notevoli. Pikmin 4 introduce per la prima volta nella serie le missioni notturne, con tanto di nuovi Pikmin. Questa volta, i giocatori potranno contare anche su un amico a due zampe, Occin, che li aiuterà nei salvataggi. I rompicapo del gioco – probabilmente pensati per fare da guida ai giocatori che si avvicinano per la prima volta alla saga – sono al massimo appena impegnativi. A volte ho dovuto usare degli speciali Pikmin blu per congelare e poi rompere un ostacolo, oppure sfruttare il testone di Occin per mandare in mille pezzi dei vasi.

Giocare con Occin, che sembra un cagnolino di peluche a cui è caduto il naso, è particolarmente piacevole. Potete potenziare le sue abilità – aumentandone per esempio velocità e forza per avere un aiuto in più durante le missioni – ma anche mettervi in sella al vostro fedele compagno o usarlo per trasportare i Pikmin. Nella demo a cui ho giocato, una missione richiedeva di alternarsi tra il mio capitano e Occin per cambiare dei binari e aprire percorsi. Occin è più rapido e torna utile in battaglia grazie alla sua capacità di sferrare testate; in generale, mi sono divertita un mondo a farmi portare in giro come un piccolo re da questa specie di cagnolone.

A giudicare dalla demo, Pikmin 4 è un gioco che procede con lentezza. Non c’è bisogno di correre per finire tutto in un giorno. È meglio tornare a casa in anticipo invece di impelagarsi in una corsa contro il tempo: i Pikmin che non tornano alla base prima del tramonto verrano infatti lasciati indietro. È un gioco in cui è fondamentale saper delegare piuttosto che sporcarsi le mani, un titolo a cui dedicarsi in una serata tranquilla, quando avete bisogno di qualcosa che vi distenda. Anche gli incontri con i nemici in grado di uccidere i vostri Pikmin sembrano più che altro uno stratagemma per farvi mettere comodi e guardare la scena con calma.

La parte più difficile è quando perdete un Pikmin per colpa di un evento disastroso, come un nemico che lancia il fuoco o, nel mio caso, una creatura che avevo ignorato mentre ero impegnata a raccogliere risorse extra. Riposa in pace, mio piccolo amichetto rosso. Spero tu possa trovare la pace sapendo che i tuoi fratelli sono riusciti a portarmi quella grande roccia incandescente. Da parte mia, so che ci saranno altri Pikmin da mettere in prima linea.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.

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Street Fighter 6 è un picchiaduro alla portata di tutti

Author: Wired

Il contributo della comunità è stato un catalizzatore per le numerose nuove funzioni di accessibilità per non vedenti e ipovedenti. Ed è grazie alle conoscenze approfondite della comunità composta da persone con disabilità che Nakayama e il suo team hanno progettato e implementato tutte le opzioni sonore. Con l’aiuto di ePARA, un’organizzazione che cerca di assistere le persone disabili negli sport, le nuove funzioni di accessibilità audio sono state testate in diverse versioni prima dell’uscita del gioco.

Un gioco per tutti

Le funzioni di accessibilità fisica e le opzioni pensate per le persone non vedenti e ipovedenti sono indicative di un cambiamento generale all’interno della comunità dei videogiochi di combattimento. Prima dell’uscita di Street Fighter 6, Capcom ha annunciato l’introduzione di Modern controls nel Capcom Pro Tour, il campionato ufficiale di Street Fighter. Oltre a permettere agli utenti di allenarsi con la nuova modalità, la scelta è anche un invito esplicito rivolto ai gamer disabili. L’annuncio di Capcom richiama direttamente la decisione di Nakayama di aprire la serie ai nuovi arrivati. “La nostra intenzione era quella di permettere a più persone di giocare a Street Fighter 6 – dice il director del titolo –. Per quanto riguarda Modern controls, in particolare, volevamo che il gioco fosse accessibile anche quando si usa con il controller fornito con la console“.

Nonostante l’introduzione di Modern controls, gli organizzatori dei tornei e i giocatori devono ancora capire come funziona la tecnologia accessibile. E anche se il Pro Tour prevede l’uso di controller alternativi, un torneo può comunque vietare un dispositivo se si ritiene che renda il gioco troppo facile, costringendo i giocatori disabili a usare controller o dispositivi standard o ad abbandonare la competizione in mancanza di alternative. Nakayama ritiene che la personalizzazione del controller sia importante e necessaria, ma anche che un dispositivo garantisca un vantaggio sleale se consente di utilizzare comandi che non possono essere eseguiti in circostanze normali. Si tratta di una zona grigia che richiede un dialogo tra tornei, organizzatori di tornei e giocatori disabili, e che non ha una soluzione semplice. Resta il fatto che grazie a Modern controls, i giocatori disabili hanno un’opportunità che prima non era disponibile.

Street Fighter 6 è il gioco più accessibile della serie. Grazie all’aggiunta di comandi e funzioni di accessibilità per non vedenti e ipovedenti i gamer disabili hanno a disposizione nuovi strumenti che consentono loro di godere finalmente di questo titolo complesso. Questo era l’obiettivo di Nakayama fin dall’inizio, che invece di creare un gioco solo per i fan di lunga data voleva che anche altre persone provassero il brivido di competere nell’arena. “I giochi di combattimento hanno un aspetto competitivo che può essere apprezzato da diverse persone, e crediamo che questa sia la forza unica dei giochi. Ci auguriamo che tutte le persone diventino amici oltre che rivali, e che comunichino tra loro attraverso i giochi“, commenta Nakayama.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.

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Nvidia lancia un supercomputer per costruire modelli di intelligenza artificiale

Author: Wired

Si chiamerà Dgx Gh200 e sarà in grado di assistere le aziende tech nel processo di costruzione di modelli generativi di intelligenza artificiale simili a ChatGPT, il prodotto di punta di OpenAI.

Come riporta il Financial Times, il nuovo supercomputer di intelligenza artificiale di Nvidia è stato annunciato dall’amministratore delegato dell’azienda Jen-Hsun Huang lo scorso 29 maggio nel corso del suo intervento al Computex, la fiera di tecnologia di Taipei, a Taiwan. Tra i primi clienti, la piattaforma dovrebbe avere big tech del calibro di Meta, Microsoft e Alphabet (per Google Cloud). Durante il suo discorso Huang, che è nato proprio a Taiwan prima di trasferirsi negli Stati Uniti e cofondare Nvidia nel 1993, ha dato idealmente il benvenuto a una nuova era dell’informatica in cui “tutti saranno programmatori anche grazie alla nuova piattaforma di Nvidia.

Per l’ad della società di Santa Clara, i progressi dell’intelligenza artificiale hanno reso difficile per l’industria tecnologica tradizionale reggere il confronto. “Il punto di svolta di una nuova era informatica”, ha spiegato, consente adesso alle persone di creare programmi da zero “semplicemente dicendo qualcosa al computer. Sono poi strumenti come ChatGPT a generare codice, riducendo il lavoro umano necessario a creare dei software. Insomma, una vera e propria rivoluzione della programmazione.

Il discorso di Huang alla conferenza Computex di Taipei è arrivato proprio mentre Nvidia prosegue la propria scalata verso una valutazione di mille miliardi. Nell’ultimo trimestre, il titolo in borsa del colosso dei chip ha infatti guadagnato il 25,7%, risultando il migliore sull’indice azionario Standard & Poor 500.

L’esplosione di ChatGPT ha infatti risvegliato l’entusiasmo degli investitori per l’intelligenza artificiale generativa, facendo aumentare rapidamente la domanda di microchip del data center di Nvidia. Su tutti l’H100, un’unità di elaborazione grafica avanzata capace di ridurre di fatto il tempo necessario per addestrare i cosiddetti modelli di linguaggio di grandi dimensioni quale è appunto il prodotto di OpenAI.

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Final Fantasy XVI sembra uno spinoff di Game of Thrones

Author: Wired

C’è una sequenza all’inizio di Final Fantasy XVI che mi ha fatto rabbrividire: una successione di eventi cruenti – che includon sgozzamenti e un ragazzino che viene ucciso brutalmente come in un film slasher – portano a un combattimento tra due personaggi dalle fattezze bestiali. Lo scontro finale è sanguinosomolto sanguinoso – con il vincitore che frantuma il cranio dell’avversario e l’inquadratura che si concentra sulle macchie cremisi sulla scena. E poi c’è il suono, lo spiaccicamento, proposto in alta fedeltà ed estremamente splatter, che accompagna il tutto. È abbastanza disgustoso e, per una giocatrice di Final Fantasy di lunga data, decisamente scioccante.

Con Final Fantasy XVI, Square Enix riporta la serie a un’ambientazione fantasy più tradizionale: un mondo fatto di magia, regni in guerra e creature ultraterrene. Per mantenere la propria sovranità, le nazioni si affidano ai Dominatori, una gruppo di individui che ha il potere di trasformarsi in Eikon, entità enormi e potenti in grado di radere al suolo interi campi di battaglia. Clive, il protagonista del gioco, è il protettore giurato del Dominatore del suo regno e di suo fratello minore, Joshua. Ma, ovviamente, le cose vanno storte e la vita di Clive viene sconquassata, lasciandolo assetato di vendetta. Il desiderio di regolare i conti innesca una trama che per efferatezza ricorda quella diGame of Thrones, disseminata di scene parecchio più violente e spregiudicate rispetto a quelle a cui il franchise ha abituato in passato.

Non che i precedenti capitoli della saga fossero del tutto estranei a morte e violenza: Final Fantasy VII, uscito nel 1997, è noto per la morte più scioccante della serie, un omicidio rapido in cui un personaggio amato viene abbattuto con uno spadone di due metri, con un’esecuzione in cui peraltro non viene versato sangue. Altri titoli del franchise, come il cupo Final Fantasy Type-0, hanno mostrato dipartite particolarmente cruente. Ma c’è qualcosa di nuovo in Final Fantasy XVI; nel gioco si percepisce uno spirito diverso. Recentemente ho avuto accesso a una demo di cinque ore, dove si sono visti omicidi, decapitazioni (o almeno così sembrava, dal momento che avvenivano appena fuori campo), morti causate dalla caduta di massi, minacce di sgozzamento a un bambino e una scabrosa riunione tra amanti dove un muro faceva da terzo. Insomma, Final Fantasy, ma come se fosse prodotta da Hbo.

Il produttore Naoki Yoshida ha spiegato che la volontà del team che ha realizzato Final Fantasy XVI era quella di raccontare una storia più tetra, che è valsa al gioco la classificazione riservata ai contenuti “maturi”, decisamente atipica per il franchise. “Non vogliamo puntare sulla violenza, bensì sul realismo, ha spiegato Yoshida a Wired US. Final Fantasy XVI frustra, immediatamente e in modo inequivocabile, qualsiasi aspettativa di trovarsi davanti un’ambientazione fiabesca che possa indurre i giocatori a pensare di trovarsi di fronte a un videogame soft. Per essere chiari, Final Fantasy XVI non è tutto schizzi di sangue e lussuria. La sezione a cui ho giocato era semplice, senza molto spazio per l’esplorazione, ma le battaglie si sono rivelate divertenti e veloci. Il gioco evita la struttura spezzettata e mantiene i giocatori saldamente al comando di Clive (e solo di Clive). Il personaggio può impartire comandi al fedele compagno canino Torgal durante le battaglie, ma chiunque si unisca a lui per combattere si muove in autonomia.

Anche se non ho avuto accesso a tutta la sua gamma di abilità, Clive acquisisce da Eikon mosse specifiche nel corso della storia, il che significa che i giocatori possono passare rapidamente da una mossa infuocata imparata da Fenice, per esempio, a un movimento rapido appreso da un altro un Eikon basato sul vento. La maggior parte dei capitoli di Final Fantasy richiede più di quaranta ore di gioco: io mi sono limitata a cinque e mi chiedo se per i fan storici questa svolta “adulta” sarà uno shock. Bisognerà aspettare l’uscita di Final Fantasy XVI il 22 giugno per saperlo con certezza, ma una cosa è chiara: non sarà un gioco da ragazzi.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.