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Viaggio tra Singapore e l’Italia, ai poli opposti sulla carne coltivata in laboratorio

Author: Wired

*L’autrice di questo articolo ha realizzato l’inchiesta sulla carne coltivata in laboratorio di Report, in onda lunedì 5 luglio dalle 21.20 su Rai3 e per Wired ha fornito alcune anticipazioni del servizio

Prometto che se viene qui preparo solo per il vostro ministro dell’Agricoltura una carbonara di pollo“. Il piatto non è dei più invitanti, ma l’invito a Francesco Lollobrigida arriva direttamente da Jeff Yew di Good meat, la prima startup al mondo a essere autorizzata al commercio a Singapore del pollo a base cellulare, impropriamente detto “sintetico”. Noi di Report abbiamo potuto provarla, e siamo rimasti molto colpiti dalla somiglianza con il pollo tradizionale. A occhi chiusi sarebbe praticamente impossibile distinguere quale dei due è prodotto in laboratorio, come hanno anche confermato altri clienti che la provavano da Huber’s, l’unica macelleria che vende il pollo a base cellulare a Singapore. Good meat, che insieme all’israeliana Upside foods ha ottenuto da poche settimane luce verde per vendere il pollo coltivato anche negli Stati Uniti, spera di poter aumentare la produzione a Singapore a breve, ora che è pronto il loro impianto di produzione, con il bioreattore più grande di tutta l’Asia.

Il divieto italiano

L’Italia è il primo paese al mondo a voler vietare la produzione, la commercializzazione e l’importazione della carne a base cellulare. Per i nostri imprenditori significherà rimanere fuori dal circuito di investimenti che si aggira intorno al settore, che ammonta finora a 2,78 miliardi di dollari. Il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida ce l’ha particolarmente con i bioreattori, che servono per far moltiplicare e sviluppare le cellule una volta che sono state prelevate dall’animale attraverso una biopsia. “Conviene installarli dove non vengono tutelati né i lavoratori né l’ambiente. Noi dobbiamo lasciare la produzione del cibo in mano ai nostri imprenditori“, ha detto ad aprile scorso. Forse non sa che i nostri imprenditori già producono i bioreattori, e nel segno dell’eccellenza.

Matteo Brognoli è il fondatore di Solaris, un’azienda alle porte di Mantova che produce bioreattori usati nel settore farmaceutico e alimentare e che, per la carne coltivata, esporta a Stati Uniti e Singapore. “Peccato per questa legge. Al di là della nostra azienda, la carne coltivata rappresenta il futuro per la sostenibilità principalmente ambientale. Speriamo che cambino idea“, dice. Se Solaris, acquistata da un’azienda statunitense due anni fa, potrà continuare a esportare i suoi bioreattori, con la nuova legge Bruno cell, la prima e unica startup italiana impegnata nella ricerca sulla carne a base cellulare, rischia di più. “Temiamo una riduzione degli investimenti che quindi andrebbe anche a impattare nella ricerca“, ci ha detto Stefano Biressi, professore di biologia molecolare dell’Università di Trento, che con Luciano Conti e altre due ricercatrici fa parte del team scientifico della startup italiana. “La nostra unica prospettiva potrebbe essere quella di dare le nostre scoperte scientifiche ad aziende straniere“.

Autorità in campo

Francesco Lollobrigida sostiene di aver promosso il disegno di legge per vietare la carne a base cellulare, ora in discussione in commissione Agricoltura del Senato, rifacendosi al principio di precauzione. “È un principio che l’Europa prevede come garanzia quando non esistono dei comprovati studi scientifici che permettono di garantire la salute dei cittadini“, ha spiegato ai microfoni di Report. Singapore, per farsi aiutare nel primo processo al mondo di autorizzazione della carne a base cellulare, ha istituito un comitato di ricerca indipendente, Fresh, un gruppo di lavoro presso l’università di Nanyang. “L’Autorità per la sicurezza alimentare ha instaurato subito un contatto diretto con le aziende che hanno dovuto condividere tutti i dati in loro possesso“, ci ha spiegato Benjamin Smith, direttore di Fresh. “I dati sono stati condivisi con gli scienziati e questo ha consentito all’Autorità alimentare di andare avanti spedita con l’autorizzazione“.

La Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite sul cibo e l’agricoltura, insieme all’Oms ha redatto un report sulla carne a base cellulare e ha formulato un giudizio sulla sua sicurezza. Sulla base di quali dati?Esistono già pubblicazioni scientifiche ma soprattutto abbiamo avuto accesso ai dati di Singapore“, ci ha spiegato Markus Lipp, esperto di sicurezza alimentare della Fao. “L’ente regolatore e le aziende, dopo un accordo di riservatezza, li hanno condivisi con noi e la nostra conclusione è che questi prodotti possono essere sicuri”. Il ministro dell’Agricoltura, sulla scia di Coldiretti, ha usato il report per dichiarare esattamente l’opposto. Ospite a Quarta Repubblica, Francesco Lollobrigida ha detto: “I rischi per la salute non li denuncio io ma li denuncia l’Oms come potenziali molto pesanti“.

Per l’Europa sarà comunque l’Efsa, l’Autorità per la sicurezza alimentare, a decidere se aprire le porte al pollo a base cellulare. Al momento nessuna azienda ha presentato domanda, ma ai nostri microfoni Robert E. Jones, responsabile degli affari istituzionali dell’olandese Mosa meat, la prima ad aver presentato al mondo il suo hamburger coltivato ben dieci anni fa, ha detto che potrebbero farlo entro l’anno. E se il pollo a base cellulare venisse autorizzato al commercio dalla Commissione europea, l’Italia non potrebbe opporsi alla sua importazione, perché non verrebbe garantita la libera circolazione delle merci. E così sarebbe stato fatto tanto rumore per nulla. E a pagare le conseguenze sarebbero i nostri imprenditori, che nel frattempo avrebbero perso anni preziosi per investire in un’alternativa alla carne tradizionale che potrebbe rivelarsi promettente in termini di sostenibilità.

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L’Italia autorizza la sperimentazione in campo delle Tecnologie di evoluzione assistita

Author: Wired

Con una votazione a Palazzo Madama nel pomeriggio di martedì è stato approvato un emendamento al dl Siccità che autorizza la sperimentazione in campo delle Tea, le Tecnologie di evoluzione assistita, a oggi consentita solo in vitro. Svolta per il mondo dell’agricoltura. “Si tratta della prima volta che un parlamento nazionale legifera esplicitamente in materia. Avevamo promesso di arrivarci entro l’anno, abbiamo fatto anche prima” sottolinea Raffaele Nevi (Forza Italia), vicecapogruppo vicario a Montecitorio e responsabile agricoltura del partito azzurro, raggiunto al telefono da Wired. Il percorso nasce proprio da un’iniziativa del deputato. “Io e il collega De Carlo avevamo presentato rispettivamente a Camera e Senato dei disegni di legge in materia. Ma la strategia vincente è stata trasformarli in un emendamento al dl Siccità. Calzava a pennello, e abbiamo utilizzato questo veicolo per portare a segno il blitz. Oggi pomeriggio ci sarà il passaggio in Aula in Senato, entro dieci giorni quello alla Camera, poi finalmente sarà legge, in vigore dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale”. Il testo – sottolinea Nevi – “è stato votato all’unanimità da tutte le forze politiche, senza eccezioni né astensioni”.

È un passo che cambia la percezione che ha il Paese dell’innovazione genetica commenta raggiante Luigi Cattivelli, direttore del centro di Genomica e Bioinformatica del Crea, il più grande centro di ricerca italiano nel settore agroalimentare.” Fino a qualche anno fa tutti avrebbero dato contro l’innovazione genetica e si sarebbero schierati per un ritorno all’antico. Questa è la prima volta che un atto formale e pubblico anziché limitarla la promuove. La normativa europea esisteva, era stata recepita, ma da noi era bloccata. Il passo di oggi serve a rendere finalmente operativa la sperimentazione delle Tea che era potenzialmente applicabile, ma non era mai stata attuata, perché mancavano diversi passaggi attuativi in capo alle Regioni; manca ad esempio l’identificazione dei terreni, rendendo di fatto nullo il recepimento”. Le motivazioni “avevano a che fare col fatto che nessuno voleva assumersi la responsabilità di avviare una sperimentazione sul proprio territorio”.

Che cosa sono le Tea

La scienza non ama le semplificazioni, ma le Tea possono essere definite l’evoluzione degli Ogm. Con una, fondamentale differenza: nel caso degli Ogm, si tratta di piante il cui Dna ha subito una manipolazione in laboratorio, con l’inserimento di geni di provenienza esogena, ad esempio da altre specie vivente. Il caso più famoso è quello del mais che resite alla piralide (un parassita), che contiene un gene proveniente da un batterio; un altro esempio è la soia resistente ai glifosati.

Nel caso delle Tea, le mutazioni sono indotte utilizzando geni che provengono dalla stessa specie. Mutazioni indistinguibili e ottenute grazie all’editing genetico, in tutto e per tutto identiche a quelle che si originano in natura. Lavori pionieristici nel campo hanno condotto al premio Nobel per la Chimica nel 2020 le scienziate Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna.

In generale, indurre mutazioni consente di cambiare alcuni caratteri di una pianta o organismo – prosegue Cattivelli – . Un soggetto portatore di malattia genetica, se è possibile manipolargli il Dna, guarisce. In futuro, molte malattie verranno corrette grazie all’editing genetico, bilanciando mutazioni negative con altre, per così dire, positive. Lo stesso accadrà per le piante: si possono inserire nuovi caratteri, come la resistenza alle malattie, alla siccità, o renderle più produttive”.

Al Crea sono allo studio alcune varietà resistenti alle patologie. “Ma per la siccità è più complesso” rivela Cattivelli, “perché è un carattere molto difficile, non c’è in gioco un solo gene. Al momento ci sono alcune indicazioni”. E molto lavoro da fare”.

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Cos’è lo stato di calamità naturale che verrà dichiarato in Emilia Romagna

Author: Wired

Lo stato di calamità naturale verrà deliberato dal consiglio dei ministri del prossimo 23 maggio, per tutte le zone colpite dall’alluvione in Emilia Romagna, mentre le persone sfollate sono ormai più di 20mila. Ad annunciarlo è il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, a Radio 1. Già attivo anche il blocco dei mutui e delle riscossioni tributarie.

Sono 23 i fiumi esondati in totale in tutta l’Emilia Romagna, 41 i comuni coinvolti in maniera più o meno grave, 13 le persone rimaste uccise e decine di migliaia quelle sfollate. Secondo le ultime stime, in un giorno e mezzo sarebbe caduta la pioggia di tre mesi e no, non si tratta di maltempo, ma di un fenomeno atmosferico estremo dovuto al cambiamento climatico.

Lo ha ammesso anche il ministro Pichetto Fratin, annunciando che sarebbe in corso la preparazione di un “piano di adattamento climatico”, per far fronte a un quadro climatico completamente cambiato in cui “con 1,5 gradi in più o 2 o solo uno come in questo momento” gli eventi estremi purtroppo saranno sempre di più”.

E in attesa degli interventi di mitigazione del danno, di prevenzione e di contrasto al cambiamento climatico, l’Emilia Romagna si prepara a entrare in stato di calamità naturale, che non c’entra con lo stato di emergenza nazionale che abbiamo conosciuto durante la pandemia da Covid-19 e non concede poteri straordinari al governo.

Lo stato di calamità viene richiesto da comuni, province o regioni e deve essere approvato dal ministero dell’Agricoltura. Riguarda infatti in modo specifico il settore agricolo, per far fronte ai danni causati, appunto, dalle calamità naturali, andando a garantire l’accesso a fondi di ricostruzione, rimborsi o agevolazioni fiscali.

Inoltre, con la delibera dello stato di calamità si attiva anche il fondo di solidarietà nazionale, che comporta la sospensione delle rate dei mutui e del pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali a carico delle imprese agricole danneggiate, già annunciato da Pichetto Fratin.

L’alluvione in Emilia Romagna ha infatti messo in ginocchio l’area da cui dipende la gran parte della produzione agricola nazionale, responsabile di un mercato da 1,2 miliardi di euro nella sola Romagna, con oltre 5 mila aziende sommerse e danni pari a circa 300 milioni di euro.

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Siccità, le contromisure per fronteggiare l’emergenza

Author: Wired

Alcune regioni e province autonome italiane stanno iniziando a mettere in campo politiche per fronteggiare l’emergenza siccità. Come riporta Il Sole 24 Ore, il primo segnale in questo senso arriva dal Trentino.

Ormai – ha affermato la dirigente generale dell’Agenzia provinciale per le risorse idriche e l’energia della provincia Laura Boschini –  è indispensabile che si introducano degli interventi che riducano la domanda di acqua. L’acqua potabile in questo momento va destinata all’uso prioritario, utilizzarla per altro è veramente uno spreco”.

L’indicazione recapitata dall’agenzia ai comuni trentini è dunque quella di “ordinare delle restrizioni per alcune categorie di utilizzo della risorsa idrica come il lavaggio delle auto e l’irrigazione dei giardini”. Il 22 marzo è quindi partita dalla dirigenza del Servizio gestione delle risorse idriche una lettera indirizzata agli enti locali con l’invito a fare un “censimento della disponibilità di acqua potabile” utile a studiare e realizzare interventi sia per aumentare la disponibilità idrica, sia per ridurre la domanda.

Proprio da Trento, nell’ambito degli interventi legati al progetto Santa Chiara Open Lab, era arrivato la scorsa estate un esempio virtuoso, l’Urban Wetland, descritto sul sito dell’osservatorio di Legambiente CittàClima come un parco ideato per ricevere le acque piovane convogliate dai tetti, trattarle e riusarle per l’irrigazione e aumentare la biodiversità in ambiente urbano.

La proposta di Zaia

Una proposta arriva intanto dal presidente del Veneto Luca Zaia: “Abbiamo – sottolinea – il vantaggio di avere acqua del mare. Se a Dubai vivono dissalando l’acqua, lo dobbiamo fare anche noi, perché i costi potrebbero essere affrontabili”. Per il governatore è necessario, tra l’altro, ottimizzare la rete di distribuzione per l’agricoltura, che definisce “un colabrodo” che “comporta la perdita dell’80% della risorsa idrica”.

Un problema, quest’ultimo, che riguarda tutto il paese, ma soprattutto il sud. Secondo l’Istat, il volume d’acqua disperso nel 2020 equivale al 42,2% di quella ammessa in rete. Percentuale che tocca punte del 62% in Basilicata. In totale, tutta l’acqua perduta sul territorio nazionale avrebbe consentito, secondo l’istituto, di soddisfare le esigenze idriche annuali di oltre 43 milioni di persone.

Il governo

Nel frattempo contro l’emergenza siccità il governo ha deciso di istituire una cabina di regia per accelerare e coordinare la pianificazione degli interventi infrastrutturali di medio e lungo periodo e, nel breve periodo, un commissario nazionale fino al 31 dicembre 2023, con un incarico rinnovabile e con un perimetro molto circostanziato di competenze. Come spiegano da Palazzo Chigi, “in particolare, il commissario potrà agire sulle aree territoriali a rischio elevato e potrà sbloccare interventi di breve periodo come sfangamento e sghiaiamento degli invasi di raccolta delle acque, aumento della capacità degli invasi, gestione e utilizzo delle acque reflue, mediazione in caso di conflitti tra regioni ed enti locali in materia idrica, ricognizione del fabbisogno idrico nazionale”. Ancora da decidere se il ruolo di commissario andrà al ministro dei Trasporti Matteo Salvini o a un’altra figura di fiducia.

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Siccità, in alcuni comuni del Nord Italia arriva l’acqua con le autobotti

Author: Wired

Con la morsa della siccità che continua a stringere inevitabilmente l’area padana, e in particolare le regioni del Nord ovest, il 6,5% dei comuni in Piemonte e Lombardia sta già ricorrendo alle autobotti per assicurare l’approvvigionamento di acqua alla popolazione. Secondo l’osservatorio permanente dell’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po (Adbpo), il forte stress idrico già evidenziato a gennaio 2023 sta peggiorando, a causa della lunga assenza di precipitazioni in grado di colmare, anche parzialmente, il deficit ereditato dal 2022, l’anno più caldo mai registrato in Italia.

I macro-dati dell’ultimo mese, raccolti e rielaborati dallo staff tecnico di Adbpo, in collaborazione con le Agenzie regionali per la protezione ambientale (Arpa), dimostrano chiaramente uno stato di sofferenza all’interno dell’intero distretto del fiume Po. In particolare, le zone più colpite si trovano in Piemonte, nelle province di Cuneo, del Verbano-Cusio-Ossola e di Biella.

“Le precipitazione scarseggiano notevolmente – si legge sul rapporto di Adbpo – e il caso del Piemonte è il più problematico, con il dato ufficiale di Arpa Piemonte che conferma un’anomalia delle piogge fino a -85% esclusa l’area del cuneese, dove qualche nevicata ha ristorato leggermente il comprensorio”.

La situazione

Rispetto a gennaio, i comuni con il massimo livello di crisi idrica sono aumentati da 7 a 19, rendendo necessario l’impiego di serbatoi e autobotti nelle municipalità di Armeno (Novara), poi Cannero Riviera, Piedimulera, Pieve Vergonte, San Bernardino Verbano, in provincia di Verbania, Pettinengo, Strona, Valdilana Soprana , Zumaglia nel Biellese e infine, nella provincia di Cuneo, Demonte, Moiola, Roccabruna, Macra, Isasca, Venasca, Brossasco, Melle, Peveragno e Perlo.

In totale, la siccità estrema sta colpendo circa il 6% di tutti i comuni piemontesi e lombardi, mentre in altri 141 si registra una crisi idrica di livello 2, cioè media, a causa dell’abbassamento dei livelli delle sorgenti. Una situazione che sembra destinata a peggiorare molto presto, vista la continua assenza di precipitazioni e nevicate e l’avvicinarsi di primavera ed estate.

Il Po, che si è trovato e si trova in una condizione di sofferenza “di media o estrema gravità  lungo tutto il suo corso, si avvia ad asciugarsi sempre di più nei prossimi mesi. Allo stesso tempo, anche i grandi laghi registrano quote minime di riempimento. In particolare, il lago di Garda risulta quello in maggiore crisi, con un livello di acque appena al 25%.