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Il primo accordo internazionale per salvare gli oceani

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I 193 paesi delle Nazioni Unite hanno adottato il primo trattato per proteggere gli oceani e gli ecosistemi marini anche in acque internazionali. L’accordo è volto ad impegnare tutti gli stati membri nella protezione della biodiversità del cosiddetto alto mare, le acque fuori dai confini nazionali che coprono circa metà dell’intera superficie del pianeta, ma rimaste finora escluse da ogni trattato sul tema.

Ci sono voluti circa venti anni di dibattiti, confronti e negoziazioni per giungere a questo traguardo. L’accordo sul testo è finalmente arrivato lo scorso 5 marzo, mentre il 19 giugno 2023, il trattato è stato approvato dai rappresentanti dei 193 paesi delle Nazioni Unite, sancendo così la nascita ufficiale del documento ma non la sua entrata in vigore.

Perché assuma carattere vincolante per tutti i paesi membri dell’organizzazione internazionale, il testo dovrà essere ratificato dai governi di almeno 60 stati. Il processo di ratifica comincerà a partire dal 20 settembre 2023, data della prossima riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, potendo contare sul sostegno dell’Unione europea, della Cina, degli Stati Uniti e del Regno unito, che hanno mediato per raggiungere i necessari compromessi con tutti gli altri paesi.

Il testo consiste in 75 articoli volti ad assicurare la protezione e l’integrità degli ecosistemi in alto mare, promuovere e implementare un uso responsabile delle risorse marine e conservare l’intrinseco valore della biodiversità degli oceani. Una protezione senza confini, si legge sul sito delle Nazioni Unite, che mira a responsabilizzare tutti i governi alla tutela di un bene pubblico mondiale.

Tra le azioni concrete contenute nel trattato si trova la creazione di un nuovo organismo internazionale, incaricato di supervisionare le azioni dei governi, adoperarsi attivamente per garantire la conservazione della vita oceanica e istituire nuove aree marine protette in tutto il mondo, con l’obiettivo di portare il 30% delle acque internazionali sotto le tutele delle aree marine protette entro il 2030.

Si trovano poi azioni per tutelare e favorire il risanamento delle specie marine a rischio, limiti alla pesca, alle zone di transito per le imbarcazioni, comprese le missioni di ricerca, e nuove regole per assicurare un accesso responsabile e orizzontale a tutti i paesi per lo sfruttamento di materiale genetico di piante e animali oceanici, utile per la produzione di farmaci, cibo e alcuni processi industriali. Infine l’accordo prevede la creazione di nuovi criteri uniformi e vincolanti sulle modalità di svolgimento delle valutazioni di impatto ambientale delle attività commerciali negli oceani.

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Ucraina, il progetto per aiutare gli sfollati con le criptovalute

Author: Wired

In Ucraina, oltre quattordici milioni di persone sono state costrette ad abbandonare la loro casa nei dodici mesi abbondanti trascorsi dall’inizio dell’invasione russa, in quello che l’Onu ha definito “lo sfollamento più rapido ed esteso degli ultimi decenni.

I governi dei paesi alleati del paese e le organizzazioni umanitarie hanno fornito decine di miliardi in aiuti per sostenere i rifugiati. Ma, come nelle precedenti crisi, una delle sfide più grandi è stata trovare il modo giusto per far arrivare gli aiuti.

L’invio di denaro è il metodo migliore per sostenere le persone sfollate. A differenza di cibo e vestiti, i contanti possono essere utilizzati per qualsiasi cosa e garantiscono la flessibilità per adattarsi a circostanze diverse. “Ci chiediamo sempre: perché non i contanti?”, spiega Carmen Hett, tesoriere dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), l’agenzia dell’Onu che si occupa di rifugiati.

Storicamente, il settore umanitario ha avuto esitazioni quando si è trattato di distribuire contanti ai rifugiati, a causa del timore, ormai sfatato da numerosi studi, che il denaro venisse sperperato per acquistare beni come alcool o tabacco. Ma nella crisi ucraina il contante ha ricoperto un ruolo di primo piano. Nei primi sei mesi di guerra quasi la metà di tutti gli aiuti erogati dal Disasters emergency committee, una coalizione di organizzazioni benefiche del Regno Unito, è stata fornita sotto forma di denaro.

Spostare il contante tuttavia è complicato. Deve essere spedito fisicamente in zone di guerra e in aree disastrate – una soluzione che comporta problemi logistici e di sicurezza – oppure consegnato elettronicamente attraverso il sistema bancario tradizionale, la cui rigidità può creare problemi alle persone che hanno perso i documenti.

Il progetto dell’Unhcr

Riconoscendo questi limiti, l’Unhcr si è mosso per mettere in piedi un sistema alternativo, collaborando con la Stellar Development Foundation, un’organizzazione no-profit che sostiene la crescita della rete blockchain Stellar. Le due organizzazioni – insieme alla società di trasferimento di denaro MoneyGram e a Circle internet financial, che distribuisce la stablecoin Usdc – hanno realizzato un sistema per far arrivare gli aiuti direttamente ai rifugiati ucraini utilizzando le criptovalute. Spesso liquidata come strumento di speculazione finanziaria, in Ucraina la tecnologia potrebbe risolvere un problema del mondo reale. “Questo progetto è un prototipo, ma è molto reale – spiega Dante Disparte, chief strategy officer di Circle –. Se in un conflitto così grave si possono risolvere lacune legate alla logistica del denaro, è logico che questo tipo di innovazioni possano essere significative” anche in altri contesti.

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Diritti umani, stiamo facendo grossi passi indietro

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Ilaria Masinara direttrice delle campagne di Amnesty International Italia

Ilaria Masinara, direttrice delle campagne di Amnesty International Italia

Le donne e le ragazze – spiega Ilaria Masinara, direttrice delle campagne di Amnesty International Italia – sono state in prima linea nelle proteste, spesso sfidando il controllo patriarcale sui loro corpi, le loro vite, le loro scelte e la loro sessualità per conto dello Stato, della società e della famiglia. Per molte di loro la protesta rappresenta l’unico modo di riappropriarsi della voce, del pensiero e dello spazio pubblico in un contesto diffuso di discriminazione sistemica. Ne è un potente esempio l’ondata di mobilitazioni dilagate su tutto il territorio iraniano che gli agenti dello stato stanno reprimendo brutalmente, anche ricorrendo a stupri e altre forme di violenza sessuale, tra cui scariche elettriche sugli organi genitali e minacce di stupro, nei confronti delle persone che manifestano, adulte come minori, per fiaccare la loro resistenza, umiliarle, punirle ed estorcere confessioni”.

I passi indietro dell’Italia

Anche in Italia la situazione non è certo delle migliori e soprattutto non si registrano miglioramenti. “Il 2022 – dichiara Eliana Bello, Direttrice Generale di Amnesty International Italia – è stato un anno di occasioni perse, dove il rispetto dei diritti umani ha subìto un costante, ma progressivo deterioramento, che tuttavia si presenta, a nostro avviso, come il risultato di politiche che partono da lontano e che hanno gettato le basi per le violazioni a cui assistiamo oggi. Avrei voluto che il 2022 portasse con sé l’approvazione di un disegno di legge per introdurre la parola ‘consenso’ in materia di stupro nell’ordinamento giuridico italiano, per rafforzare le salvaguardie contro la violenza ai danni delle donne, in ottemperanza agli obblighi internazionali assunti dall’Italia con la ratifica della Convenzione di Istanbul; tutto questo mentre i femminicidi e gli episodi di violenza contro le donne continuavano ad essere perpetrati. Il 2022 è stato invece l’anno in cui per le donne è ancora difficile abortire, a causa dei numerosi obiettori di coscienza, che in alcuni territori rasentano anche il 100% dei medici-ginecologi. Avrei voluto ricordare il 2022 come l’anno della riforma della cittadinanza, attesa da anni da oltre un milione di minori, figli di genitori stranieri nati e/o cresciuti in Italia. Minori che hanno frequentato le nostre stesse scuole e che in altri paesi in Europa sarebbero stati riconosciuti cittadini di quel paese, senza esitazione. Avrei voluto ricordare 2022 come l’anno in cui l’Italia si dotava di un’Autorità nazionale per la tutela e la promozione dei diritti umani, a 30 anni dalla firma della risoluzione Onu 48/134, invece siamo l’unico paese nell’Unione Europea, con Malta, a non averne una. Invece, il 2022 è stato l’anno in cui si è rinnovato per altri tre anni, il Memorandum d’intesa tra l’Italia e la Libia in materia di migrazione e controllo delle frontiere, in spregio alle documentate e persistenti gravi violazioni dei diritti da parte delle forze di sicurezza, dei gruppi armati e delle milizie libiche”. 

Dura la critica ai primi provvedimenti approvati dal governo a guida Giorgia Meloni: “Il 2022 – spiega ancora Eliana Bello – è stato l’anno in cui il nuovo governo, come suo primo atto, ha introdotto un nuovo reato che punisce l’invasione della proprietà privata con l’obiettivo di organizzare raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento, ritenuto pericoloso per la salute e l’incolumità pubblica. Questa nuova fattispecie potrebbe risultare lesiva del diritto di riunione e della libertà di espressione. È proseguito l’uso eccessivo della forza da parte delle forze dell’ordine, in occasione di alcune manifestazioni, spesso accompagnato dall’utilizzo di armi meno letali, come nel caso degli studenti manganellati mentre manifestavano per le morti durante l’alternanza scuola-lavoro. Niente o molto poco è stato fatto per la salvaguardia dell’ambiente ed il contrasto al cambio climatico. E così anche il 2022 è stato l’anno dei disastri ambientali e delle mancate riforme legislative a tutela dell’ambiente”.

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Ucraina, com’è la situazione nella centrale nucleare di Zaporizhzhia

Author: Wired

Le condizioni della più grande centrale nucleare d’Europa, nella città ucraina di Zaporizhzhia, sono sempre più critiche a causa dell’intensificarsi delle attività militari. Il pericolo maggiore è quello che un colpo diretto o un guasto ai sistemi di sicurezza possano causare incidente nucleare che non risparmierà nessuno. Sono queste le preoccupanti valutazioni di Rafael Grossi, direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea), a conclusione della sua seconda missione presso la centrale.

L’impianto atomico si trova sulla sponda meridionale del fiume Dnipro, che taglia a metà l’Ucraina passando per Kyiv prima di sfociare nel mar Nero, e oggi rappresenta la linea del fronte nel suo ultimo tratto, da Zaporizhzhia a Kherson. Se l’omonima città è ancora sotto il controllo ucraino, la parte sud orientale della regione è occupata dalle forze russe dall’inizio dell’invasione, che hanno conquistato la centrale un anno fa, assumendone il controllo e usandola per attaccare le posizioni dell’esercito di Kyiv al di là del fiume.

L’Aiea monitora la situazione nella centrale dallo scorso settembre, con squadre di scienziati che a turno presidiano l’impianto, per assicurarne il corretto funzionamento e ridurre i rischi posti dai continui blackout e dalla carenza di personale, dopo l’evacuazione di tre quarti dei lavoratori ucraini e lo stato di elevato stress e stanchezza a cui sono costretti quelli rimasti, sottoposti a continue violenze e minacce da parte degli occupanti russi.

Con l’intensificarsi dei combattimenti nell’area, tra offensive russe e controffensive ucraine, il capo dell’Agenzia ha deciso di tornare personalmente a verificare le condizioni della centrale, cogliendo l’occasione di accompagnare la nuova squadra di scienziati che resterà nell’impianto per i prossimi due mesi. L’arrivo del gruppo precedente, a febbraio, era stato rallentato dalle condizioni particolarmente pericolose della zona, che hanno aumentato le preoccupazioni dell’Aiea.

“È ovvio che l’attività militare sta aumentando in tutta la regione. Si parla apertamente di offensive e controffensive. Quest’area sta affrontando forse la fase più pericolosa dall’inizio del conflitto ha detto Grossi, sottolineando come sia vitale trovarsi “d’accordo sul principio fondamentale che una centrale nucleare non dovrebbe essere attaccata in nessuna circostanza, né essere usata per attaccare altri“.

Per ridurre i pericoli, tutti e sei i reattori della centrale sono stati spenti, ma due restano in quello che si chiama “arresto caldo”, per continuare a fornire una limitata quantità di energia e alimentare i sistemi di sicurezza e di riscaldamento. Ma nonostante queste precauzioni, secondo Grossi la situazione non è sostenibile e la Russia dovrebbe accettare di ritirare il presidio militare della centrale e istituire una area di non combattimento attorno all’impianto.

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Clima, siamo sulla buona strada per una crisi irreversibile

Author: Wired

Non c’è dubbio che le emissioni antropogeniche, alimentate dalla nostra dipendenza dai combustibili fossili, stiano devastando il pianeta. Con queste parole, dopo otto anni di lavoro, i più importanti scienziati al mondo del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (Ipcc) hanno lanciato il loro ultimo avvertimento ai governi di tutto il mondo: agite ora o sarà troppo tardi per fermare i danni devastanti della crisi del clima.

In maniera drammaticamente semplice e diretta, il rapporto di sintesi dell’Ipcc ha cancellato decenni di retorica negazionista: “le attività umane hanno inequivocabilmente causato il riscaldamento globale. Le emissioni di gas serra con cui il mondo si trova a fare i conti ora” sono “il risultato di emissioni storiche e attuali” dovute “a un uso insostenibile dell’energia, allo sfruttamento dei territori, a stili di vita e a modelli di consumo e di produzione”.

Estrazione di petrolio negli Stati UnitiIl primo registro globale di petrolio e gas

È il primo database pubblico e completamente trasparente su riserve, produzione ed emissioni delle fonti fossili e servirà a monitorare le decisioni dei governi per combattere la crisi del clima

Le cause della crisi

E non c’è più spazio per interpretazioni, giustificazioni o qualunquismo sull’origine del problema, perché l’uso di combustibili fossili è la causa principale del riscaldamento globale”, o sulla reale esistenza di un’anomalia climatica, dato che la temperatura globale è aumentata più velocemente dal 1970 che in qualsiasi altro periodo di 50 anni negli ultimi 2000 anni”.

Allo stesso modo, in ottica transazionale, il rapporto di sintesi dell’Ipcc sottolinea come il cambiamento climatico sia anche una questione di disuguaglianze economiche e sociali, con il 10% delle famiglie del mondo responsabili di una quantità compresa “tra il 34% e il 45% di tutte le emissioni domestiche” e un 50% responsabile solo del 15%.

Disparità che si replica anche nella distribuzione dei danni, con persone e luoghi che “storicamente hanno contribuito meno al cambiamento climatico” colpite “in modo sproporzionato” dai suoi effetti. Più di 3 miliardi di persone vivono in queste aree altamente vulnerabili, dove la probabilità di morire a causa di inondazioni, siccità e tempeste è 15 volte superiore rispetto a quella di altre comunità.

E se l’impatto sugli esseri umani ha ridotto la sicurezza alimentare e compromesso quella idrica, aumentato le malattie e i tassi di mortalità, l’intero pianeta è stato sconvolto da perdite sempre più irreversibili degli ecosistemi vitali, dalla mortalità di massa delle specie sulla terraferma e negli oceani.

30 anni di avvisi a vuoto

Ma nonostante le evidenze scientifiche ed empiriche di una tale, irresponsabile devastazione, tutti questi impatti sono destinati ad aumentare rapidamente, perché i governi mondiali non hanno voluto affrontare il problema in maniera coerente e coordinata, malgrado circa 30 anni di avvertimenti lanciati dall’Ipcc, che ha pubblicato il suo primo rapporto nel 1990.