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Twitter come azienda non esiste più

Author: Wired

Twitter Inc, la società fondata da Jack Dorsey nel 2006 per la gestione dell’omonimo social network, non esiste più. Seppure non siano arrivate comunicazioni ufficiali in merito da parte di Elon Musk, che l’ha formalmente acquisita a ottobre 2022, la conferma della fusione dell’azienda in X Corp, società privata controllata da X Holdings Company, è arrivata da un tweet della giornalista statunitense Laura Loomer.

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La giornalista ha infatti pubblicato gli screenshot di una dichiarazione depositata in tribunale lo scorso 4 aprile dallo studio legale Willkie Farr & Gallagher in merito a una causa che vede proprio lei protagonista come controparte, scrivendo che “è stato ufficialmente annunciato nei documenti del tribunale relativi alla mia causa Rico in corso contro Twitter, Facebook, Jack Dorsey, Mark Zuckerberg e Proctor and Gamble: Twitter Inc. non esiste più”.

Ai sensi della Regola 7.1 (a)(1) del Regolamento federale di procedura civile – si legge nel documento – il sottoscritto legale dell’imputato X Corp, in qualità di successore negli interessi dell’imputato Twitter Inc, dichiara che Twitter Inc è stata fusa in X Corp e non esiste più. X Corp è una società privata. La sua società madre è X Holdings Corp. Nessuna società quotata in borsa possiede il 10% o più delle azioni di X Corp o di X Holdings Corp”.

Sia la società, sia la holding appartengono a Elon Musk. Il nuovo sviluppo potrebbe dunque di fatto essere propedeutico a una svolta più imponente per il social network di San Francisco. Sin da subito, l’acquisto di Twitter era stato indicato dal magnate sudafricano come “un acceleratore per creare X, l’app totale”.

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Tecnologia

Donald Trump, perché non abbiamo ancora visto una sua foto segnaletica

Author: Wired

Per le persone ritratte nelle immagini, le conseguenze possono essere devastanti e durare tutta la vita. Le foto segnaletiche, inoltre, vengono scattate ben prima di una condanna e in questo senso, rappresentano un’ulteriore forma di abuso di potere: la possibilità di marchiare una persona come colpevole prima ancora che arrivi in tribunale. Ci sono buone ragioni per impedire che le foto segnaletiche vengano pubblicate su internet. Innanzitutto, non forniscono informazioni affidabili sulla persona ritratta, ma si limitano a indicare chi la polizia ha deciso di arrestare, un aspetto che negli Stati Uniti è frequentemente determinato da fattori come l’etnia, la classe sociale e la zona di residenza. La permanenza di una foto segnaletica digitale sul web viola la presunzione di innocenza e può oscurare persino le condanne, dato che negli Stati Uniti circa l’80 per cento degli arresti avviene per reati di basso livello.

Un’arma a favore di Trump

Detto questo, non sappiamo ancora se esisterà mai una foto segnaletica di Trump. Lo stato di New York non è tenuto a produrle: una legge statale intatti stabilisce che alle persona arrestate vengano rilevate solo le impronte. Nel caso di Trump poi, come hanno sottolineato i suoi avvocati, è improbabile che venga scattata una foto segnaletica, vista la notorietà della persona in questione.

Ma se una foto segnaletica dell’ex presidente americano venisse effettivamente divulgata al pubblico, l’aspetto più importante da capire sarebbe come Trump potrebbe utilizzarla per trarne un vantaggio economico e politico. È plausibile immaginare che Trump utilizzi un sua eventuale foto segnaletica per vendere magliette e cappellini o, più in generale, come simbolo della presunta caccia alle streghe contro di cui sostiene a gran voce di essere vittima. E dal momento che la foto segnaletiche fanno parte dei documenti pubblici, una volta divulgata da un’agenzia statale, chiunque è autorizzato a ripubblicare l’immagine su un sito web o in un articolo giornalistico. Le legge dello stato di New York tuttavia non è chiara su come la norme sul copyright potrebbero applicarsi nel caso in cui altre persone cerchino di trarre profitto da una foto segnaletica.

Ad ogni modo, il valore maggiore potrebbe essere quello simbolico. Per Trump, una foto segnaletica potrebbe diventare una prova tangibile a sostegno della sua narrazione politica (ai fini della sua raccolta fondi in vista delle prossime elezioni presidenziali, la notizia dell’incriminazione dell’ex presedente ha già dato i suoi frutti, considerando che l’organizzazione della sua campagna elettorali avrebbe già raccolto sette milioni di dollari).

La possibilità che la diffusione di una sua foto segnaletica possa rappresentare una vantaggio politico per Trump evidenzia anche il ruolo della privacy nel sistema legale penale statunitense. Quello che per la maggior parte delle persone porterebbe probabilmente a una sovraesposizione devastante in un momento estremamente negative, per Donald Trump potrebbe invece rappresentare un vantaggio, alimentando il sostegno pubblico nei suoi confronti.

Queste differenze sottolineano quanto sia diversa l’esperienza di un arresto per una persona potente in un sistema legale come quello americano che, come spiega Bryan Stevenson, “tratta molto chi è ricco e colpevole rispetto a chi è povero e innocente“.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.

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Economia Tecnologia

Petrolio e gas, perché i colossi stanno chiedendo risarcimenti miliardari agli stati

Author: Wired

A proposito dell’entità dei rimborsi, si legge nel report:

Dal 2013 al 2018 l’Unione europea ha dovuto far fronte a un importo totale annuo medio di 5,5 miliardi di dollari: anche se le cause sono diminuite, gli importi medi si sono alzati. E in tutti gli altri paesi del mondo la media di richieste di risarcimento è arrivata a 25 miliardi di dollari all’anno a partire dal decennio scorso 

Su circa 620 miliardi di dollari richiesti dal 2000 tramite meccanismi Isds ne sono stati riconosciuti 96 miliardi a favore di investitori privati (9 da nazioni dell’Unione europea). Circa il 90% del totale degli Isds che hanno portato risarcimenti ad aziende nel mondo negli ultimi vent’anni ha riguardato progetti minerari ed estrattivi (77%), finanziari e assicurativi (7%), gas e approvvigionamento di energia elettrica (6%).

Il Trattato sulla carta dell’energia

Ogni Isds si basa quindi su un Ipa specifico: ad esempio, il Nafta (il famoso trattato di libero scambio nordamericano) è l’accordo che ha permesso a TransCanada di attivare un Isds per agire contro il provvedimento di stop all’oleodotto Keystone XL. Le cause via Isds che adesso stanno innescando più problemi alla transizione energetica sono legate al Trattato sulla carta dell’energia, l’Energy Charter Treaty (Cte). Come si legge nella risoluzione del Parlamento europeo citata in precedenza, oggi il Cte è l’accordo di investimento più controverso al mondo e che va urgentemente riformato: l’invito alla Commissione europea è poi di garantire che un Cte rivisto proibisca immediatamente agli investitori in combustibili fossili di citare in giudizio le parti contraenti per aver perseguito politiche di eliminazione graduale di queste fonti energetiche, in linea con gli impegni assunti nell’ambito dell’Accordo di Parigi. 

Ratificato da 50 paesi e firmato nel 1993, il Cte mira a proteggere gli investimenti energetici dei suoi aderenti. Se spesso in passato le controversie andavano a tutelare imprese europei in paesi extra-comunitari, da diversi anni sono le nazioni europee che sono diventate oggetto dei maxi-risarcimenti richiesti da aziende estrattive di tutto il mondo. Per questo, qualche mese fa e sull’onda della risoluzione del Parlamento europeo che metteva nel mirino soprattutto il Cte, la Polonia ha annunciato il ritiro dal Trattato e rapidamente l’hanno seguita Spagna, Francia, Germania, Slovenia e Paesi Bassi

Anche le ong in tribunale

La diffusione degli Isds innescati soprattutto per preservare di fatto l’estrazione di risorse fossili e non rinnovabili è un ostacolo enorme ai sempre troppo timidi tentativi delle nazioni di promuovere politiche climatiche. Al momento, si stima che sforeremo l’innalzamento dei gradi promesso alla Cop15 di Parigi: altro che 1,5, al momento andiamo dritti verso i +2,8 gradi. Per rientrare nei ranghi, dovremmo dimezzare l’estrazione di gas, petrolio e carbone da qui al 2050

incendiSe non salviamo il pianeta ora non ci riusciremo mai più

L’unico modo per scongiurare gli effetti catastrofici e irreversibili della crisi del clima è intervenire subito in modo deciso, come sottolinea l’ultimo rapporto dell’Onu

Così, anche alcune ong hanno cominciato ad usare i tribunali per forzare, in ottica “green”, le politiche nazionali: è quello che succede nelle Climate litigations, come Giudizio Universale. Oppure è il caso di Greenpeace, che ha portato in causa per la prima volta la Commissione europea per aver incluso il gas fossile e l’energia nucleare nella lista degli investimenti sostenibili della cosiddetta tassonomia verde. È anche il caso di ClientEarth, organizzazione non governativa e azionista di Shell, che ha portato in tribunale quest’ultima per non aver ancora redatto un piano che le consenta di rispettare gli obiettivi degli Accordi di Parigi. E sempre ClientEarth, insieme alla Lipu-Birdlife Italy, ha porta in causa la Ferrero per lo sfruttamento delle monocolture a nocciola in Lazio che sta depauperando la biodiversità locale, soprattutto nell’area del lago di Vico. Nella zona infatti, dopo 50 anni di coltivazioni intensive di oltre 21mila ettari a noccioli, le acque del lago registrano concentrazioni allarmanti di fitofarmaci e di sostanze chimiche di vario tipo. Sostanze che finiscono anche nelle acque potabili delle aree limitrofe. Un altro esempio di come la battaglia climatica e per la tutela della biodiversità trovi sempre più spazio nelle aule dei tribunali.

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Economia Tecnologia

Apple lancia l’opzione “compra ora, paghi dopo”

Author: Wired

Comprare un iPhone o un Macbook oggi e pagarlo in sei settimane, a rate e senza interessi: non sarà più solo un desiderio, ma una possibilità reale per i clienti Apple. Dopo le anticipazioni dello scorso giugno, l’azienda di Cupertino, in una nota, ha infatti lanciato ufficialmente il servizio Apple Pay Later, una formula “compra ora, paghi dopo” che sarà direttamente integrata all’interno di Apple Pay.

Inizialmente disponibile solo negli Stati Uniti, la nuova funzione permetterà a chi ne usufruirà di suddividere i pagamenti in quattro rate spalmate su sei settimane, senza sovrapprezzi legati a interessi o commissioni. Gli utenti avranno inoltre la possibilità di monitorare, gestire e rimborsare i prestiti richiesti direttamente sul proprio Wallet Apple.

Attraverso l’app, sarà per esempio possibile visualizzare in tempo reale l’importo totale dovuto per ciascuno dei prestiti ricevuti, nonché il computo di quanto dovuto nei trenta giorni successivi. Gli utenti riceveranno inoltre notifiche nelle imminenze delle scadenze delle rate sia su Wallet, sia via email. All’app sarà inoltre consentito collegare come metodo di pagamento solo carte di debito e non carte di credito.

La nuova opzione offerta dalla società di Cupertino avrà anche altre limitazioni. Il dilazionamento dei pagamenti sarà infatti ammesso solo per importi che vanno tra i 50 e i 1000 dollari. Gli acquisti potranno avvenire non soltanto online, ma anche in tutti i negozi fisici in cui si possono effettuare pagamenti con Apple Pay.

Nonostante inizialmente la nuova funzione sarà disponibile solo negli Stati Uniti, l’intenzione di Apple è quella di offrirla “nei prossimi mesi a tutti gli utenti idonei”. I clienti, per ottenere il primo prestito, dovranno superare un sondaggio utile a verificare se si trovino o meno nella posizione economica adatta a ottenerlo. In seguito, l’opzione “paga dopo” sarà sempre disponibile per i pagamenti con Apple Pay.

Il nuovo servizio della società di Cupertino è offerto da Apple Financing Llc, la consociata dell’azienda responsabile della valutazione del credito e dei prestiti. L’intenzione di quest’ultima è di iniziare a segnalare già dal prossimo autunno i prestiti Apple Pay Later alle agenzie di credito statunitensi.

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Economia Tecnologia

Fed, perché ha alzato ancora i tassi (e come funziona)

Author: Wired

La crisi delle banche frena ma non ferma la lotta all’inflazione della Fed negli Stati Uniti. Meno di due settimane dopo il più grande fallimento bancario dal 2008, Silicon Valley Bank, il presidente della Federal Reserve Jerome Powell chiarisce che il caro prezzi resta la preoccupazione principale. La banca centrale americana ha deciso infatti di alzare ancora i tassi di interesse dello 0,25% – il nono aumento consecutivo – portandoli a un intervallo tra il 4,75% e il 5%, ai massimi da settembre 2007. Un incremento più contenuto di quanto ci si attendeva prima del tracollo di Silicon Valley Bank, segno che la Fed non sottovaluta il rischio di instabilità finanziaria. Ma chi immaginava una pausa nella stretta monetaria è rimasto deluso: fermare bruscamente i rialzi con l’inflazione ancora al 6% avrebbe lanciato un segnale di emergenza, mentre “il sistema bancario americano è sano e resiliente”, sostiene Powell. E così la Fed, con gli occhi di tutto il mondo finanziario addosso, ha proseguito quasi come se niente fosse. 

Lo scenario:

  1. Il ruolo della Fed
  2. Un cambio di linguaggio

Il ruolo della Fed

Quando prende una decisione, come un rialzo dei tassi di interesse, la Federal Reserve diventa un’osservata speciale: è la banca centrale più importante al mondo e le sue mosse sono seguite con attenzione certosina dalle altre autorità monetarie e dai mercati finanziari. È presieduta da sette governatori, nominati direttamente dal presidente degli Stati Uniti, ed è composta da dodici banche centrali regionali. 

La Fed innanzitutto emette il dollaro, il re delle monete internazionali, usato in tutto il mondo anche al di fuori degli Stati Uniti come mezzo di pagamento e come riserva di valore. Inoltre, la Fed supervisiona le banche statunitensi e mantiene la stabilità del sistema finanziario; ma soprattutto conduce la politica monetaria degli Stati Uniti, attraverso i tassi di interesse con cui presta denaro alle banche private. L’innalzamento dei tassi è storicamente lo strumento migliore per raffreddare l’inflazione: se il costo del denaro aumenta, per le famiglie sarà più oneroso accendere un mutuo, così come per un’impresa farsi finanziare un investimento. Di conseguenza, tassi più alti generano un rallentamento del ciclo economico, e quindi una riduzione dei prezzi. 

La stabilità dei prezzi, che i banchieri centrali definiscono come inflazione bassa e stabile, è generalmente il fine ultimo delle autorità monetarie. Ma la Fed, a differenza della Banca centrale europea, persegue un doppio mandato: non solo la stabilità dei prezzi, ma anche la massima occupazione. Nel lungo periodo non c’è conflitto tra i due obiettivi, ma nel breve possono divergere: per esempio, per aumentare il numero degli occupati la banca centrale potrebbe attuare politiche espansive – riducendo i tassi – che alimentano l’inflazione. Ecco perché generalmente si preferisce assegnare una chiara priorità alla stabilità dei prezzi.