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Tecnologia

Billie Eilish, Nicki Minaj e Katy Perry firmano una lettera contro l’AI

Author: Wired

Il mondo della musica prende posizione sull’AI generativa. Negli ultimi giorni oltre 200 artisti di fama internazionale e non hanno firmato una lettera aperta in cui chiedono alle compagnie del settore tech e agli sviluppatori di non abusare della tecnologia nella produzione musicale. Tra i nomi che hanno preso parte alla causa figurano Billie Eilish, Imagine Dragons, Jon Bon Jovi, Jonas Brother, Katy Perry, Mumford & Sons, Nicki Minaj, Noah Kahan, Pearl Jam e molti altri ancora. Insomma, un elenco lungo che farebbe invidia alla line-up di qualunque festival internazionale.

Quando viene utilizzata in modo irresponsabile, l’intelligenza artificiale rappresenta un’enorme minaccia per la capacità di proteggere la nostra privacy, le nostre identità, la nostra musica e i nostri guadagni – si legge nella lettera firmata dagli artisti -. Alcune delle aziende più grandi e potenti stanno usando, senza autorizzazione, il nostro lavoro per addestrare i modelli AI…Per molti musicisti, artisti e cantautori che lavorano e che cercano solo di sbarcare il lunario, questo sarebbe catastrofico”. Ancora una volta, quindi, a generare preoccupazione è la violazione del copyright. Per ovviare a questo problema, infatti, aziende come Adobe e Stability AI stanno lavorando a un’AI generativa addestrata su musica con licenza o royalty-free. In questo caso, però, la preoccupazione riguarda il fatto che la tecnologia possa avere un impatto negativo sul lavoro dei musicisti che lavorano alle colonne sonore o ad altri generi musicali.

Insomma, da qualunque punto di vista la si voglia vedere, l’AI generativa rischia di compromettere il lavoro di cantanti, musicisti e produttori. D’altronde, da che ve ne è memoria, la tecnologia si è sempre rivelata pericolosa per il settore musicale: molti anni fa è stato il file sharing a preoccupare artisti ed etichette discografiche, consentendo alle persone di accedere gratuitamente alla propria musica preferita. Poi sono state le piattaforme di streaming a sollevare ansie e problemi riguardo il giusto compenso degli artisti. E ora è l’intelligenza artificiale a preoccupare per la sua capacità di produrre canzoni proprio come fosse un essere umano. “Questo assalto alla creatività umana deve essere fermato – scrivono Billie Eilish e colleghi -. Dobbiamo proteggerci dall’uso predatorio dell’AI per rubare le voci e le immagini degli artisti professionisti, violare i diritti degli autori e distruggere l’ecosistema musicale“.

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Tecnologia

L’anno in cui i lavoratori si sono rivoltati contro l’intelligenza artificiale

Author: Wired

Questo, a sua volta, ha portato a un maggiore interesse per le tutele che il lavoro organizzato può offrire ai lavoratori, anche se alcuni sindacati sembrano essere rimasti indietro. In un recente articolo pubblicato sull’Harvard Business Review, il professore di ingegneria del Mit Yossi Sheffi ha scritto che la miopia su questi temi si ripercuote sia sui lavoratori che sui datori di lavoro e che anche altre industrie avrebbero dovuto “prendere a cuore” ciò che stava accadendo a Hollywood.

Con l’avanzare dell’AI nel 2023, è diventato chiaro che i sindacati sono solo una parte della resistenza. Gli autori, preoccupati che grandi modelli linguistici fossero stati addestrati utilizzando i loro libri, hanno intentato una serie di cause contro OpenAI, Meta, Microsoft e altre aziende. Lo stesso hanno fatto gli artisti nel campo delle arti visive, mettendo nel mirino sistemi come Stable Diffusion, Midjourney, DeviantArt e altri ancora. Nessuna di queste cause è arrivata a una conclusione, e c’è chi sostiene che le rivendicazioni sul copyright non siano il modo giusto per impedire ai bot di rubare i lavori creativi. Ad ogni modo però, queste cause hanno trasformato i tribunali in un altro campo di battaglia in cui gli umani si sono opposti all’incursione dell’AI.

Gli scenari futuri

Verso la fine dell’anno, anche i governi sono entrati in gioco. All’inizio di novembre, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo che tenta, tra l’altro, di limitare l’impatto dell’AI sul lavoro. I sindacati americani, tra cui la Sag, hanno elogiato la mossa, che è arrivata nel momento in cui leader mondiali stavano arrivando nel Regno Unito per un vertice sulla sicurezza dell’AI, dove hanno cercato di contenere le minacce dell’apprendimento automatico e di sfruttarne allo stesso tempo le potenzialità.

Questa è sempre stata la parte difficile. Dai tessitori agli scrittori, molte persone usano le macchine per migliorare il loro lavoro. Come vi diranno i sostenitori dell’AI, l’automazione è utile, e la tecnologia può coltivare nuove forme di creatività. Le persone possono scrivere libri con l’intelligenza artificiale, creare nuovi stili, o anche costruire generatori di Seinfeld. Alcuni sceneggiatori di Hollywood usano gli strumenti AI per fare brainstorming. L’ansia nasce quando il capo di una casa di produzione chiede a ChatGPT di scrivere un nuovo film su un gatto e un poliziotto che sono migliori amici. A quel punto non c’è più bisogno di autori.

Al momento, i chatbot non sono in grado di scrivere sceneggiature, comporre romanzi o dipingere come Caravaggio. Ma la tecnologia si sta evolvendo così rapidamente che questo scenario sembra ormai imminente. Quando Sam Altman è stato licenziato per qualche giorno da OpenAI a novembre, sono circolate ipotesi sulla possibilità che l’azienda stesse sviluppando la sua tecnologia troppo velocemente, e che le sue ambizioni commerciali avessero sopraffatto la missione altruistica.

Con il ritorno di Altman nel ruolo di amministratore delegato, Microsoft ha ottenuto un posto nel cda della società. Curiosamente, il colosso aveva offerto posti di lavoro ai dipendenti di OpenAI durante la crisi dell’azienda, e lo stesso ha fatto Salesforce. Questo è servito a ricordare che l’AI è sì pronta a eliminare molti posti di lavoro, ma crea anche posti di lavoro nel settore. In futuro, la probabilità che l’intelligenza artificiale soppianti molti lavori di base e ne crei alcuni altamente qualificati sembra elevata. La domanda principale in questo momento è se queste macchine stanno imparando dagli esseri umani le loro abilità o i loro pregiudizi.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.

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Economia Tecnologia

L’intelligenza artificiale sta diventando un grosso problema per Spotify

Author: Wired

La concorrenza per accaparrarsi gli ascoltatori è feroce. Su Apple Music, Amazon Music e Spotify ci sono più di 100 milioni di canzoni, molte delle quali vengono ascoltate raramente, se non addirittura mai. E con i rapidi progressi dell’intelligenza artificiale generativa, si prevede che sulle piattaforme di streaming arriverà un diluvio di nuove canzoni.

Come per tutto quello che riguarda l’Ai generativa, poi, le cose si muovono in fretta. Il mese scorso, è diventato virale un brano creato dall’intelligenza artificiale e che riproduceva le voci di Drake e The Weeknd, poi eliminato da Spotify. Man mano che la tecnologia diventa più convincente, le imitazioni ingannano un numero crescente di persone. I truffatori avrebbero usato l’Ai anche per generare nuovi brani con la voce di Frank Ocean e venderli ai fan per migliaia di dollari, attirandoli con la promessa di nuove canzoni diffuse tramite leak.

Rischi e opportunità

Ci sono però anche artisti che stanno abbracciando l’intelligenza artificiale. La scorsa settimana Grimes ha annunciato che permetterà di creare musica utilizzando una versione Ai della sua voce in cambio della metà dei diritti d’autore, mentre la cantante Holly Herndon ha realizzato un deepfake della sua voce, che le consente di “cantare” in lingue che non ha imparato.

Universal Music Group, la casa discografica che ha sotto contratto alcuni dei musicisti più importanti al mondo, ha reagito in modo aggressivo contro la possibilità che l’Ai venga addestrata utilizzando il lavoro dei propri artisti, sostenendo che potrebbe trattarsi di un caso di violazione del copyright. Secondo Albert Soler, avvocato e proprietario di una società nel settore musicale e dell’intrattenimento, gli stessi cantanti potrebbero tuttavia iniziare a manipolare le proprie voci con l’intelligenza artificiale, riducendo il lavoro e gli investimenti finanziari necessari per creare nuova musica, sostiene . “L’Ai crea un’opportunità di guadagno che oggi non esiste, senza che l’artista debba fare assolutamente nulla”. La tecnologia potrebbe aiutare gli artisti a guadagnare in settori che spesso li sfruttano, ma rischia anche aggravare il problema dei plagi.

Ad ogni modo, tutti gli artisti dovranno fare i conti con le canzoni e i bot artificiali e con il modo in cui questi erodono la fiducia nell’industria musicale. Con poco tempo e infinite opzioni a disposizione, le persone scelgono di ascoltare le canzoni create dai loro artisti preferiti o quelle più popolari sui servizi di streaming. Ma se gli ascolti sono fraudolenti e i brani non sono davvero realizzati dall’artista di cui viene imitata la voce, l’attenzione verso i veri cantanti è destinata a scemare. Gli ascolti falsi, poi, possono anche distorcere gli algoritmi che determinano la popolarità e raccomandano la musica agli utenti, evidenzia Rigg.

Quando i bot ascoltano musica fatta a sua volta in gran parte da bot, minano un’intera industria creativa. Gli artisti sono stati spinti verso le principali piattaforme di streaming per ottenere misere royalties dal loro lavoro. Ma ora faticano a tenere testa al modo in cui l’intelligenza artificiale generativa sta mettendo in subbuglio l’industria musicale. Il mese scorso, persino l’amministratore delegato di Spotify, Daniel Ek, ha ammesso di non aver mai visto “nulla muoversi con la stessa velocità dello sviluppo dell’Ai“. Se Spotify non riuscirà a mettersi al passo dell’intelligenza artificiale, saranno gli artisti umani a rimanere indietro.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.

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Tecnologia

Siae-Meta, 20 cantanti italiani che puoi usare su Instagram e Facebook

Author: Wired

Con il mancato accordo tra Meta e la Società italiana autori ed editori (Siae) per il rinnovo della licenza, su Facebook e Instagram verranno bloccati tutti i contenuti che presentano tracce di brani italiani che fanno parte del repertorio dell’associazione. Gli utenti dei social network in questione dovranno dire addio alle canzoni italiane che si trovano su Siae come accompagnamento dei contenuti condivisi sul social. Ma non a tutte. Sono diversi, infatti, gli artisti che negli anni hanno deciso di rivolgersi a Soundreef, la società fondata Davide d’Atri, per la gestione dei diritti d’autore per l’utilizzo online, in radio e in televisione di alcune delle loro opere e che quindi potrebbero essere ancora disponibili sulle piattaforme di Meta. Ad affidarsi alla società sono in tutto 43mila autori, compositori, editori in tutto il mondo, di cui 26mila solo Italia. Nel nostro paese, Soundreef opera attraverso Lea, l’associazione che si occupa di rilasciare le licenze per agli autori per conto dell’azienda.

Tra i nomi celebri di cantanti italiani che si sono rivolti a Soundreef per i diritti di alcune opere – che quindi potrebbero essere ancora presenti sui social -, ricordiamo, per esempio, i nuovi arrivati, come Fabrizio Moro, Paola Turci, i Pooh e Mario Venuti, che da quest’anno si sono aggiunti a Laura Pausini, Ultimo, Tedua, Enrico Ruggieri, J-Ax, Gigi D’Alessio, Fabio Rovazzi, Sfera Ebbasta, Marracash, Rkomi. Ma vediamoli nel dettaglio.

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Economia Tecnologia

Justin Bieber, perché ha silurato H&M

Author: Wired

Justin Bieber ha invitato tutti i suoi follower a non acquistare nessun articolo tra quelli realizzati da H&M ispirandosi a lui e alle sue canzoni. Attraverso alcune storie Instagram pubblicate il 20 dicembre, la popstar canadese ha infatti annunciato di “non aver approvato nessuna delle collezioni di merchandising allestite” dal brand svedese.

Bieber ha affermato che i prodotti del colosso mondiale di fast fashion sono stati interamente realizzati senza il suo permesso e la sua approvazione. “Il merchandising H&M che hanno fatto su di me – ha ammonito sul social network – è spazzatura, non compratelo”.

Della collezione finita sotto l’occhio del ciclone dopo le accuse dell’artista facevano parte alcune felpe di cotone e magliette, una shopping bag e una cover per smartphone. Su tutti i prodotti e gli accessori era stampato il volto di Bieber o alcuni versi delle sue canzoni, come per esempio il successo del 2021 Ghost.

H&M ha immediatamente rimosso dai propri store online tutti gli articoli, pur specificando in una nota pubblicata dall’agenzia Reuters di “aver seguito tutte le fasi di approvazione” e che tale comportamento sarà “verificato con tutte le parti interessate”. L’azienda non è peraltro nuova a operazioni di questo tipo: solo nel recente passato ha infatti dedicato collezioni a Billie Eilish e Ariana Grande.

I numeri

Quello che volge al termine non è stato un anno semplice per il colosso svedese. Secondo i dati raccolti dalla piattaforma di investimenti eToro, H&M è stata infatti colpita sia dall’invasione russa in Ucraina, sia dal calo dei suoi margini lordi. Dopo essere scivolata in borsa nella pubblicazione della sua terza trimestrale del 2022 e aver annunciato lo scorso 15 dicembre una chiusura dell’esercizio con vendite a 223.571 milioni di corone svedesi, il 12% in più rispetto al 2021 ma ancora meno rispetto agli standard del pre covid, l’azienda deve far fronte adesso alle conseguenze dell’attacco frontale subito da Justin Bieber.

L’account Instagram dell’artista canadese può contare su 270 milioni di follower, che lo rendono l’undicesimo più seguito al mondo. “In attesa di maggiori delucidazioni” su quanto accaduto, spiega l’analista di mercato italiano di eToro Gabriel Debach, “il titolo subisce un deciso effetto boomerang con una pubblicità che avrebbe voluto certamente evitare”.