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GPTZero, l’app in grado di distinguere se un testo sia stato scritto da un’intelligenza artificiale o da un essere umano

Author: Wired

Mentre le intelligenze artificiali diventano sempre più capaci a imitare le opere umane, oltre a riprodurne i volti o le voci, gli esseri umani si stanno affrettando a trovare nuovi sistemi per riuscire a distinguere le produzioni dei propri simili da quelle artificiali. È il caso di GPTZero, un’applicazione realizzata da uno studente dell’Università di Princeton, in New Jersey, in grado di scoprire se un testo sia stato scritto o meno dal famoso bot conversazionale ChatGPT.

L’obiettivo di Edward Tian, studente di informatica ed ex data journalist per la BBC, è quello di riuscire a combattere i casi di plagio collegati all’uso delle intelligenze artificiali per scrivere articoli o saggi. La sua applicazione è diventata immediatamente così popolare da andare in tilt a causa del numero elevatissimo di utenti che hanno incominciato a usarla, ma i gestori della pagina di Streamlit dove Tian ha pubblicato l’app hanno già risolto il problema e GPTZero è di nuovo disponibile in versione beta.

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Per capire chi abbia scritto il testo in questione, l’app assegna un punteggio al testo in base a due caratteristiche definite “perplessità” e “irruenza”, che si riferiscono alla complessità e alla casualità dello stile e delle informazioni riportate. Per mostrare il funzionamento del programma, Tian ha pubblicato due video su Twitter che confrontano l’analisi di un articolo del New Yorker e una lettera scritta da ChatGPT. In entrambi i casi, l’app è riuscita a individuare in maniera corretta la loro origine umana e artificiale.

Tian ha poi aggiunto che pubblicherà un documento con le statistiche di accuratezza dell’app, utilizzando come base gli articoli pubblicati dai giornali universitari e alle analisi svolte dal gruppo di Natural language processing di Princeton. L’app di Tian ha battuto sul tempo l’uscita del sistema anti plagio annunciato da ChatGPT e segue di pochi giorni la notizia del New York Times, secondo cui Google avrebbe lanciato un allarme sulla popolarità del bot conversazionale e sui pericoli legati al suo utilizzo.

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Economia Tecnologia

Mozziconi di sigaretta, in Spagna i produttori di tabacco dovranno pagare per la loro pulizia

Author: Wired

Le aziende produttrici di tabacco saranno costrette a pagare il conto per la raccolta e lo smaltimento dei milioni di mozziconi di sigaretta gettati a terra ogni anno. Lo ha stabilito il governo socialista della Spagna, grazie a una nuova legge per la tutela dell’ambiente, in linea con le direttive europee che obbligano gli inquinatori a ripulire i danni che creano.

La normativa entrerà in vigore da venerdì 6 gennaio 2023 e fa parte di un pacchetto di misure volto a ridurre l’uso della plastica e aumentare il riciclo dei rifiuti. La legge vieta l’uso di posate e piatti di plastica monouso, cotton fioc, bicchieri di polistirolo espanso e cannucce in plastica. Inoltre, prevede una drastica riduzione dell’uso di confezioni in plastica per gli alimenti e l’obbligo per i produttori di tabacco di ripulire il paese dai mozziconi di sigarette.

Le aziende in questione avranno anche la responsabilità di educare il pubblico a non gettare i mozziconi in giro, ma come questi obblighi saranno implementati e quale sarà il costo delle operazioni non è ancora chiaro. In base a uno studio catalano, pubblicato da El Periodico, il prezzo dovrebbe aggirarsi tra i 12 e i 21 euro per cittadino, per un totale di circa un miliardo di euro all’anno.

Secondo il Guardian è probabile che i produttori di tabacco proveranno a scaricare i costi sui consumatori, aumentando così il costo dei prodotti e andando a fornire un’ulteriore incentivo a smettere di fumare in un paese in cui ancora il 22% della popolazione acquista tabacco e sigarette, contro una media europea del 18,3%.

Tuttavia, nonostante l’elevato numero di fumatori, soprattutto tra i giovani, l’opinione pubblica è favorevole a maggiori restrizioni sul fumo nei luoghi pubblici. Un sondaggio condotto dall’associazione dei medici di famiglia ha rilevato che l’85% è favorevole a ulteriori restrizioni, con il 72% che sostiene il divieto di fumare sulle terrazze di bar e ristoranti. Mentre le autorità hanno già imposto il divieto di fumare in circa 500 spiagge.

Oltre all’impatto benefico sulla salute umana, la riduzione dei mozziconi avrebbe una forte rilevanza ambientale. Questi scarti infatti sono una delle forme più diffuse di rifiuti e impiegano circa 10 anni a decomporsi, rilasciando sostanze tossiche come arsenico e piombo. Secondo l’ong Ocean conservancy, i mozziconi di sigaretta sono la forma più comune di inquinamento marino, persino più dei sacchetti e delle bottiglie di plastica, con una stima di 5 miliardi di mozziconi gettati in mare ogni anno.

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Economia Tecnologia

Tokyo, il governo darà 1 milione di yen alle famiglie che la abbandonano

Author: Wired

Per ogni figlio a carico, il governo giapponese darà 1 milione di yen, circa 7.200 euro, a tutte le famiglie residenti a Tokyo che decideranno di trasferirsi fuori dall’area metropolitana della capitale. L’iniziativa verrà attivata ad aprile 2023, nel tentativo di fermare il declino demografico e lo spopolamento delle altre aree del paese.

Sebbene nel 2022 la popolazione di Tokyo sia diminuita per la prima volta in 26 anni – una tendenza in parte attribuita alla pandemia di coronavirus – le autorità ritengono sia fondamentale ridare vita alle città e ai villaggi periferici, sui quali il calo delle nascite sta pesando da anni e sembra sulla via di aggravarsi. Il governo giapponese prevede infatti che la popolazione crollerà di 37 milioni entro il 2065, passando dagli attuali 125 milioni di persone a soli 88 milioni.

Come in molte altre grandi economie, il calo demografico dipende dalla mancanza di sicurezza e stabilità economica per il ceto medio, che disincentiva le persone a voler avere dei figli. Inoltre, in uno stato insulare come il Giappone, pesa anche l’assenza di un consistente flusso migratorio che porti nuove energie nel paese. Sempre secondo i dati del governo, il numero di centenari è passato dai 153 del 1963 a oltre 90 mila nel 2021. Mentre il numero di nascite è stato di sole 811 mila, il più basso da quando sono stati registrati i primi dati nel 1899.

Così, l’invecchiamento degli abitanti, unito allo sviluppo urbano e alla concentrazione economica nelle metropoli, ha portato a un accentramento della popolazione nei grandi centri urbani a discapito delle zone periferiche, che non offrono opportunità lavorative o ambienti culturali adeguati. Tendenza che il governo spera di invertire grazie ai nuovi incentivi economici e all’uso dello smart working, che consente alle persone di non dover trovare casa nella stessa città dove si trovano gli uffici.

L’ultima iniziativa triplica un incentivo già proposto tra il 2020 e il 2021, di soli 300 mila yen, ottenuto da 1.184 famiglie, che si sono trasferite in zone rurali. Con il consistente aumento, il governo spera di convincere almeno 10 mila persone a trasferirsi entro il 2027. Tuttavia esistono alcune condizioni da rispettare, oltre la presenza di figli, per ottenere l’incentivo. 

Le famiglie devono infatti trasferirsi fuori dall’area metropolitana di Tokyo o nelle aree montuose all’interno dei confini della città, essere residenti nelle nuove abitazioni per almeno cinque anni, continuare il proprio lavoro in smart working, oppure trovare impiego o aprire una attività nell’area di trasferimento. In caso contrario, si dovrà restituire l’intera somma.

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Tecnologia

La Russia vuole richiamare in patria gli specialisti informatici emigrati

Author: Wired

Con una nuova legge la Russia vuole vietare lo smart working. Si tratta di un tentativo di richiamare in patria alcuni tra i circa 100mila lavoratori e lavoratrici del settore informatico scappati all’estero da febbraio 2022, in seguito all’invasione dell’Ucraina, e dopo la mobilitazione forzata dei riservisti, avviata a settembre.

Mentre il settore è ormai in crisi da mesi, Mosca ha deciso di provare a risollevarlo imponendo a programmatori, sviluppatori, web designer e altri specialisti informatici di tornare in patria. Addirittura, si legge su Reuters, alcuni dei legislatori più estremisti vorrebbero vietare del tutto a questi lavoratori e lavoratrici di lasciare la Russia, per evitare che possano essere impiegati da aziende dei paesi Nato e condividere informazioni sensibili.

Ma con circa 100mila specialisti già all’estero, il Cremlino dovrebbe cominciare dei programmi di rimpatrio forzato per riportare tutti indietro. Un piano infattibile, per questo le autorità potrebbero minacciare licenziamenti o aumentare le tasse sul reddito di chi lavora per aziende russe dall’estero. La proposta è stata avanzata da Vyacheslav Volodin, collega di partito del presidente Vladimir Putin e influente presidente della Duma, il parlamento russo.

Tuttavia, in base alle testimonianze raccolte da Reuters, molti degli specialisti informatici russi emigrati in Argentina preferirebbero licenziarsi piuttosto che tornare in patria o pagare più tasse a Mosca. È il caso di una designer ventiseienne di nome Yulia, che ha definito gli ultimatum del Cremlino come una richiesta di negoziare con i terroristi: ‘Torna o renderemo il tuo lavoro impossibile, per la tua azienda e i tuoi dipendenti’”. Mentre un giovane freelance ha spiegato di aver smesso di pagare le tasse in Russia, perché quando si pagano le tasse si sostiene lo stato e la sua espansione militare. Non sto pagando e non ho intenzione di farlo”.

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Tecnologia

Kosovo-Serbia, perché ci sono nuove tensioni

Author: Wired

Il governo della Serbia ha messo il proprio esercito in stato di massima allerta, a causa delle crescenti tensioni con il Kosovo, scoppiate a ridosso delle elezioni comunali nelle città a maggioranza etnica serba. Nelle ultime settimane, in queste città sono scoppiate violente proteste, ci sono state sparatorie e gli abitanti hanno innalzato barricate nelle strade principali.

Il conflitto

Dopo la dissoluzione della Jugoslavia, tra il 1998 e il 1999 si è consumato uno dei più sanguinosi capitoli del conflitto nei Balcani. Da una parte si schierava quello che rimaneva del vecchio stato di Josip Broz Tito, cioè Serbia e Montenegro, e dall’altra l’esercito kosovaro-albanese, che combatteva per raggiungere l’indipendenza di quella che ormai è un’ex provincia della Serbia.

In circa un anno e mezzo di guerra morirono quasi 14mila persone, tra civili e militari, e ancora oggi l’eredità del brutale conflitto rappresenta una ferita aperta nella società dei due paesi. La guerra si concluse solo con un intervento della Nato che, con bombardamenti aerei indiscriminati, costrinse alla ritirata dal Kosovo le truppe del leader serbo Slobodan Milosevic, promotore di una politica discriminatoria della comunità albanese.

Con la fine del conflitto e la separazione del Kosovo dalla Serbia, il paese è rimasto sotto un’amministrazione internazionale guidata dalla Missione di amministrazione ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo (Unmik), fino al 2008, quando i leader del paese si autoproclamarono indipendenti. Da allora, l’amministrazione Unmik è stata sostituita dalla European union rule of law mission in Kosovo (Eulex), la più grande missione civile mai lanciata nell’ambito della politica di sicurezza e difesa comuni dell’Unione europea, che si occupa di dare sostegno e garanzia di indipendenza alle istituzioni kosovare.

Nuove tensioni

Dopo la dichiarazione di indipendenza, il Kosovo è stato riconosciuto dagli Stati Uniti, dall’Unione europea, ma non dalla Serbia e dai suoi storici alleati, Russia e Cina. Così, mentre nella regione continuano a vivere ancora circa 100mila serbi, le tensioni e le memorie delle brutalità del conflitto sono tornate a bruciare a seguito dell’invasione dell’Ucraina, con una parte della popolazione serba schierata con la Russia e quella kosovara con Kyiv.