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Maestro, il secondo film di Bradley Cooper è emozionante e maestoso

Author: Wired

Si parte dalla fine, da un Leonard ormai anziano che ripercorre la sua vita e dichiara la nostalgia per l’amore della sua vita Felicia Montealegre. Attraverso un lungo flashback in bianco e nero scopriamo chi fosse Leonard da giovane (ode a un make-up di assoluto livello), come sia diventato un direttore d’orchestra, pianista e compositore famoso in tutto il mondo, perché si sia innamorato proprio di Felicia, interpretata in maniera sublime da Carrey Mulligan. Quest’ultima, neanche a dirlo, si conferma l’interprete sensazionale che conosciamo, offre una delle sue performance migliori nei panni prima lievi e spensierati di una giovane attrice alle prese con l’innamoramento, poi di una moglie frustrata dalla doppia vita di suo marito, una bisessualità che Cooper racconta apertamente con il giusto garbo e senza ombra di moralismi, infine di una donna devastata dalla malattia.

Bradley Cooper Maestro il suo secondo film. è emozionante e maestoso

Courtesy of Netflix

Bradley Cooper non teme trappole narrative, incede con convinzione e mano ferma sia a livello registico che attoriale, firmando un film delicato, soave, poetico, romantico, difficile da dimenticare. Riesce a raccontare il sogno di un ragazzo dal talento eccezionale e la sua tendenza a non essere “una cosa sola”, tanto a livello creativo quanto esistenziale. Bernstein raccontato da Cooper ci insegna che si può amare la musica d’orchestra come i grandi musical popolari (su tutti, il suo West Side Story), si può stare accanto a una donna tutta la vita e non perdere la voglia di ritrovarsi tra braccia maschili, nel tentativo goffo di voler essere semplicemente se stessi. E tutto questo Cooper sa raccontarlo con intelligenza, evitando ogni superficialità e planando sulle cose vere della vita, fino a regalarci un film emozionante che dice chiaramente a chi guarda, con le parole di Mulligan, che “se non canta nulla dentro di te non puoi fare musica”.

Se la regia e le performance del cast (merita la citazione anche Maya Hawke nei panni della figlia maggiore di Bernstein) non fossero convincenti come sono, bisognerebbe chiudere gli occhi e lasciarsi rapire dalle musiche del film, tutte rigorosamente di Leonard Bernstein. Non ne abusa Cooper, ne fa semmai buon uso, regalandoci delle sequenze memorabili e dei titoli di coda per cui vale la pena rimanere seduti ad ascoltare a fine film. Anche per vedere un ricordo del vero Bernstein in azione.

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Povere creature! parte da un’idea formidabile ma rimane in superficie

Author: Wired

Tutto è raccontato con il consueto umorismo di Lanthimos, quello visto in Il sacrificio del cervo sacro, The Lobster e La favorita, anche se è un po’ meno efficace del solito. Questa è una storia fantastica in forma leggera, nella quale Emma Stone dà benissimo corpo e anima alla potenza liberatrice del sesso, lei che solitamente non lavora su quelle corde (quelle della passione carnale) invece centra lo spirito di un corpo gaudente e potente. Come sempre nei film di Lanthimos infatti il sesso è esso stesso una forma di potere e controllo, uno che stavolta la protagonista riesce a ribaltare a suo favore. È lei che non avendo schemi mentali controlla gli uomini, anche quelli sessualmente potenti, come il personaggio interpretato dal solito eccezionale Mark Ruffalo con tantissime sfumature e piccoli dettagli di vanità o stupidità che lui ha la bravura di saper unire a un’aria da dandy che può affascinare una donna con la testa di una ragazzina. Eccezionale.

È il film in sé a deludere. La sua idea formidabile si spegne in un esito molto convenzionale e decisamente terra terra: la famiglia è una gabbia che contiene in piccolo tutte le forme di prevaricazione sociale e violenza che sono proprie della società; è necessaria una piccola rivoluzione per ribaltare tutto; e la conoscenza del mondo a partire dalla propria vagina (o attraverso essa) porta a questa liberazione. Povere creature! non ha davvero nulla di suo da aggiungere o dire su questi ragionamenti ordinari e l’abuso continuo di scenografie in computer grafica di gusto non sempre impeccabile, unite a costumi che parlano di fantasie surrealiste senza che poi queste si trovino nel film (e allora perché?) gli danno un’aria pomposa che non può permettersi.

Povere creature il film di Lanthimos parte da un'idea formidabile ma rimane in superficie

Tutto il buono delle interpretazioni, dell’umorismo un po’ ingessato (simile a quello di Wes Anderson) e delle tante idee può arrivare solo fino ad un certo punto, oltre quello Povere creature! si deve arrendere di fronte alla sua stessa inconsistenza. Quando verso la fine torna l’idea che l’inadeguatezza sentimentale possa portare le persone a diventare animali, è difficile non pensare a The Lobster e allo spauracchio dei personaggi di quel film, difficile non pensare a come queste idee tipiche di Lanthimos trovassero in quella messa in scena e in quella scrittura lì la valorizzazione che meritano.

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La lettera aperta di 100 scienziati ai media sul clima

Author: Wired

Francesca Cotrufo – Colorado State University

Roberto Danovaro – Università Politecnica delle Marche

Mauro Delogu – Alma mater studiorum Università di Bologna

Moreno Di Marco – Sapienza Università di Roma

Davide Faranda – Ecole Normale Supérieure di Parigi

Francesco Ferretti – Università degli Studi di Siena

Andrea Filpa – Università degli Studi Roma Tre

Francesco Forastiere – CNR-IRIB / Imperial College, Londra

Simonetta Fraschetti – Università degli studi di Napoli Federico II

Marco Frey – Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

Sandro Fuzzi – CNR-ISAC, Lead Author IPCC AR6

Silvana Galassi – Università degli studi di Milano

Marino Gatto – Politecnico di Milano

Domenico Gaudioso – Greenhouse Gas Management Institute Italia

Piero Genovesi – ISPRA

Thalassia Giaccone – Stazione Zoologica Anton Dohrn

Claudia Gili – Stazione Zoologica Anton Dohrn

Filippo Giorgi – Abdus Salam International Centre for Theoretical Physics di Trieste

Enrico Giovannini – Università di Roma Tor Vergata / Università LUISS Guido Carli

Elena Gissi – CNR-ISMAR

Donato A. Grasso – Università degli studi di Parma

Federico Grazzini – Istituto di meteorologia LMU München / ARPAE Emilia-Romagna

Fausto Guzzetti – CNR-IRPI

Valerio Lembo – CNR-ISAC

Stefania Leopardi – Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie

Simone Libralato – Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale OGS di Trieste

Anna Luise – ISPRA

Marco Marchetti – Università degli studi del Molise

Davide Marino – Università degli studi del Molise

Vittorio Marletto – ARPAE Emilia-Romagna e AIAM

Bruno Massa – Università degli studi di Palermo

Maurizio Maugeri – Università degli studi di Milano

Barbara Mazzolai – Istituto Italiano di Tecnologia di Genova

Luca Mercalli – Società Meteorologica Italiana

Paola Mercogliano – Fondazione CMCC / Società Italiana per le Scienze del Clima (SISC)

Fiorenza Micheli – Stanford’s Center for Ocean Solutions

Franco Miglietta – CNR-IBE

Mario Marcello Miglietta – CNR-ISAC

Mario Motta – Politecnico di Milano

Rita Nogherotto – Abdus Salam International Centre for Theoretical Physics / Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale OGS di Trieste

Elisa Palazzi – Università degli Studi di Torino

Cinzia Perrino – CNR-IIA

Emanuela Pichelli – Abdus Salam International Centre for Theoretical Physics

Telmo Pievani – Università degli studi di Padova

Flavio Pons – Laboratoire de Sciences du Climat et de l’Environnement (LSCE), Parigi

Carlo Alberto Pratesi – Università Roma Tre

Francesca Raffaele – Abdus Salam International Centre for Theoretical Physics, Contributing Author IPCC WGI AR6

Marco Reale – Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale OGS di Trieste

Bernardino Romano – Università degli Studi dell’Aquila

Carlo Rondinini – Sapienza Università di Roma

Gianluca Ruggieri – Università degli Studi dell’Insubria

Roberto Salzano – CNR-IIA

Riccardo Santolini – Università degli Studi di Urbino

Valerio Sbordoni – Accademia Nazionale delle Scienze

Giuseppe Scarascia Mugnozza – Università degli Studi della Tuscia

Andrea Segrè – Alma mater studiorum Università di Bologna

Federico Spanna – Regione Piemonte / AIAM

Núria Teixidó – Stazione Zoologica Anton Dohrn

Vito Telesca – Università degli Studi della Basilicata

Stefano Tibaldi – Fondazione CMCC

Silvia Torresan – Fondazione CMCC

Gianluca Treglia – Stazione Zoologica Anton Dohrn

Umberto Triacca – Università degli Studi dell’’Aquila

Fabio Trincardi – Dip. Scienze del sistema Terra e tecnologie per l’ambiente del CNR

Sergio Ulgiati – Università Parthenope di Napoli

Riccardo Valentini – Università degli Studi della Tuscia

Francesca Ventura – Alma mater studiorum Università di Bologna / AIAM

Maria Cristina Vigo Majello – Stazione Zoologica Anton Dohrn

Paolo Vineis – Imperial College London

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L’Italia non deve lasciare che l’Egitto usi la libertà di Zaki per dare un colpo di spugna su Regeni

Author: Wired

Dopo il memorandum con il presidente tunisino Kais Saied spacciato come un “modello per costruire nuove relazioni con i vicini del NordafricaGiorgia Meloni potrà avere la tentazione di applicarlo immediatamente anche all’Egitto del presidente Abdel Fattah al Sisi, dittatore conclamato da anni di orrori. La sacrosanta grazia concessa dal presidente egiziano a Patrick Zaki, accusato d’altronde di un reato inesistente – parliamo di alcuni post sui social – offre infatti la sponda alla premier e al leader egiziano per archiviare il lungo gelo seguito al rapimento, al pestaggio e alla morte del ricercatore Giulio Regeni. Una fase di tensioni e spinosi rapporti diplomatici durata quasi sette anni che ora sta per concludersi, con buona pace di tutto ciò che il regime del Cairo non ha fatto da quel 25 gennaio 2016.

Certo, dal governo – e in ultimo con le dichiarazioni del ministro degli esteri Antonio Tajani, “nessun baratto per la grazia a Zaki, su Regeni continueremo a chiedere la verità” – continuano a spiegare che “il dossier Regeni resta una priorità”, come riporta anche Repubblica. Ma il tempo passa, la memoria si indebolisce e al Sisi ha pensato di cogliere il momento giusto per cercare di rifarsi l’impresentabile immagine. Proprio come il collega tunisino Saied. Lo sta facendo mollando appena le briglie, visto che con Zaki ha graziato anche Mohamed al-Baqer, l’avvocato di Alaa Abdel Fattah, il più noto prigioniero politico egiziano. E tentando di dare l’idea che il Dialogo nazionale egiziano, un percorso di incontri fra esponenti della politica, della cultura e della società del paese lanciato a maggio, stia dando qualche reale frutto. In realtà il raggio d’azione di quel simposio che dovrebbe immaginare l’Egitto del futuro è in gran parte imbrigliato alle direttive del militare salito al potere con un colpo di Stato nel 2013.

Se dunque da mesi le relazioni sono riprese – verrebbe da dire con un lugubre gioco di parole – a pieno regime, e come con la Tunisia si intensificheranno in termini di contrasto ai flussi migratori e di sostegno alimentare, la tentazione del governo egiziano può essere quella di usare la grazia a Zaki, follemente condannato a tre anni, per dare un colpo di spugna sull’indagine e soprattutto sul processo italiano per la morte di Regeni. Non dobbiamo consentire che al Sisi utilizzi la vita di Zaki, che peraltro ha calpestato con un processo che, in un mondo giusto, non si sarebbe mai dovuto verificare, come merce di scambio per la morte di Regeni.

Il processo per la morte di Regeni, va ricordato, è stato bloccato un anno fa dalla Cassazione proprio perché non si conoscono i recapiti dei quattro agenti della National security, il servizio segreto civile egiziano, imputati per le torture e l’uccisione del 28enne. Le rogatorie internazionali sono rimaste per anni, e ancora fino a oggi, senza risposta. Quattro persone formalmente “irreperibili” in un impunito depistaggio di Stato che cavalca ovviamente a proprio vantaggio le garanzie processuali di un paese democratico. Di fatto, senza un intervento normativo che consenta di proseguire in contumacia e senza notifiche, è lo stesso governo italiano che ha scelto di seppellire quel dibattimento, rinunciando a un evidentemente a proprio avviso infruttuoso muro contro muro.

Gli striscioni appesi ai palazzi comunali italiani si contano ormai sulle dita di una mano, così come i braccialetti gialli ai polsi degli italiani. Il processo, come visto, non ha futuro. Formalmente il caso Regeni rimane nell’agenda della nostra politica nazionale, ma il governo italiano non deve consentire ad al Sisi alcun “baratto” diplomatico: Zaki torni in Italia ma su Regeni cali il silenzio. Occorre evitare che l’operazione si trasformi in uno spregevole do ut des sulla pelle di due giovani attivisti e ricercatori legati al nostro paese e delle loro famiglie. Uno lo abbiamo riportato nella sua nuova casa, per l’altro rischiamo di non avere più giustizia né verità.

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Gli orrori di Dolores Roach è gustosamente macabra

Author: Wired

L’(anti)eroina (ma non villain: sebbene sia un’assassina seriale, è difficile per lo spettatore inquadrarla come tale) dello show cerca di ridare dritto, di lasciarsi indietro il passato, di rifarsi una vita, ma anni di frustrazioni, obbedienza forzata e ira repressa la rendono soggetta a sprazzi di violenza cieca e selvaggia. Dolores scivola in una spirale macbethiana che la costringe a uccidere e uccidere, ogni volta per coprire il delitto precedente come accadeva all’eroe tragico shakesperiano. È curioso come le donne serial killer protagoniste di piccolo e grande schermo non vengano quasi mai dipinte come sadiche psicopatiche ma quasi all’unanimità descritte come donne vessate da ingiustizie sociali e abusi, portate a uccidere per esasperazione. La storia di questa assassina specifica, tuttavia, non è mai banale o stereotipata, disdegna i soliti format di genere e si focalizzza sull’analisi psicologica di un personaggio conflittuale e amabile di cui dovremmo diffidare e avere paura, ma dal quale siamo piuttosto attratti e impietositi.

Gli orrori di Dolores Roach su Prime Video è una miniserie gustosamente macabra

Molto è merito di Justina Machado (Six Feet Under), interprete di Dolores, rea di una prova attoriale fenomenale. Anche Alejandro Hernandez, nei panni del leale cuoco dalle evidenti turbe mentali Luis, innocentemente amorale e dolcemente innamorato, è uno dei personaggi più interessanti degli ultimi anni della tv. Queste strane creature ci conducono in una storia screziata di humour nerissimo e immersa in pozze di sangue e viscere, di orrori oscuri ma anche di risate immoralissime di cui dovremmo sentirsi colpevoli. L’ultima puntata si concede un’ammiccante serie di momenti autoreferenziali (Dolores furibonda per essere diventata l’eroina di un podcast, l’autore che rivela che farà della storia una serie televisiva, la menzione di Jason Blum – ovvero il boss della Blumhouse che ha prodotto lo show nella realtà – e il membro del cast Cindy Lauper – il cui personaggio a un certo punto cita Macbeth – che canta Oh, Dolores) a coronare una visione, immensamente… gustosa.