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L’inquietante cantiere della Conferenza sul clima negli Emirati arabi

Author: Wired

La Cop28 negli Emirati Arabi Uniti sta per cominciare all’insegna dello sfruttamento oltre che delle contraddizioni. Dopo aver messo alla guida della ventottesima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici il capo della principale compagnia petrolifera del paese, Sultan al-Jaber, gli Emirati sono tornati al centro di un nuovo scandalo per le condizioni di lavoro in cui versano gli operai migranti ingaggiati per costruire gli edifici della conferenza.

In base alle prove e alle testimonianze raccolte nell’ultimo report dell’organizzazione per la ricerca e la difesa dei diritti umani Fair Square, centinaia di migranti provenienti dai vicini paesi africani e dal Sud-Est asiatico sono stati costretti a lavorare all’aperto ai tre siti della Cop28, durante picchi di temperature arrivati anche ai 42 gradi. Una condizione che mette direttamente in pericolo di vita le persone esposte, soprattutto a causa della forte umidità che compromette la sudorazione, principale meccanismo di regolazione della temperatura nel corpo umano, aumentando il rischio di morte.

Negli Emirati e negli altri paesi del Golfo, il caldo estremo è così pericoloso che esiste addirittura una legge, chiamata Divieto di mezzogiorno, che vieta ogni tipo di lavoro all’aperto nelle ore più calde. Ma mentre in Qatar o nel Kuwait il divieto riguarda un totale di circa 500 ore di lavoro vietate, negli Emirati le ore vietate al lavoro per il caldo sono solo 233 e, come riporta Fair Square, per gli operai della Cop28 sono state quasi zero.

Secondo il rapporto, gli operai hanno lavorato anche in queste ore vietate, senza pause, spostando materiali pesanti, per riuscire a completare le opere della Cop28 entro novembre 2023, data di inizio della Conferenza. Le pessime condizioni di lavoro dei migranti economici nei paesi del Golfo sono state documentate più volte, come nel caso estremo dei mondiali di calcio in Qatar, ma in questo caso al sistematico sfruttamento si aggiunge anche l’assurdo, visto il motivo per cui sono stati ingaggiati.

Fra circa 10 giorni, i leader mondiali verranno ospitati a Expo City, a Dubai, per capire come affrontare la crisi climatica, definita minaccia “esistenziale” per gli esseri umani anche dal presidente della Banca mondiale, Ajay Banga, prima che sia troppo tardi. Lo faranno in edifici costruiti da operai sottopagati, costretti a lavorare nelle condizioni di calore estremo dovute proprio a questa crisi, senza alcuna tutela. Commentando il rapporto sul Guardian, il presidente della divisione ambiente di Human rights watch, ha sottolineato come la crisi climatica diventi ancora più pericolosa nel momento in cui “leggi e diritti umani non vengono rispettati”, sottolineando come lottare per la tutela dell’ambiente sia inutile se, al contempo, non si lotta per conquistare e difendere i diritti civili e ridurre le diseguaglianze economiche.

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Che cosa sono le bombe al fosforo bianco, che Israele è accusato di aver utilizzato

Author: Wired

Mentre Israele si prepara all’assedio della Striscia di Gaza contro le milizie di Hamas, alcune associazioni per i diritti umani denunciano l’utilizzo di bombe al fosforo bianco da parte di Tel Aviv negli attacchi all’enclave palestinese. Come riporta l’agenzia Agi, ad annunciare il fatto è stato Rami Abdu, portavoce dell’organizzazione non governativa Euromed Monitor. Al momento non c’è ampia conferma della notizia. Se fosse vero, però, non sarebbe la prima volta che Israele utilizza questo tipo di armamenti, particolarmente violenti, su Gaza.

Cosa sapere:

  1. La Convenzione Onu
  2. Gli effetti delle bombe al fosforo bianco

La Convenzione Onu

Le bombe al fosforo bianco rientrano nella categoria delle armi incendiarie, il cui uso è regolamentato dal terzo Protocollo della Convenzione delle Nazioni Unite su alcune armi convenzionali, firmata a Ginevra nel 1980.

Secondo il protocollo gli ordigni di cui Israele è accusato di aver fatto uso a Gaza non possono essere impiegati per colpire obiettivi civili e obiettivi militari situati “all’interno di una concentrazione di civili”. Il documento stabilisce inoltre che le armi al fosforo possono essere utilizzate solo per illuminare obiettivi militari, per spaventare il nemico o per creare cortine di fumo capaci di coprire la fuga dei militari. Israele ha firmato la Convenzione ma con una riserva: non si ritiene vincolata al rispetto del protocollo sulle armi incendiarie.

Gli effetti delle bombe al fosforo bianco

La componente chimica di tali armi è in grado di provocare nelle vittime ustioni gravi e molto dolorose. Come spiega Giacomo Cassano di Archivio disarmo (associazione impegnata nella divulgazione di temi legati alla pace e alla riduzione degli arsenali militari), il fosforo bianco scatena tutto il suo potenziale quando viene disperso nell’aria e, dunque, quando l’ordigno che lo contiene deflagra. La combinazione tra aria e fosforo bianco produce l’anidride fosforica che, a contatto con il corpo umano, genera l’acido fosforico, un elemento capace di bruciare rapidamente il tessuto organico. Le ustioni così provocate penetrano le parti molli del corpo e raggiungono le ossa.

Rainews aggiunge che anche la sola inalazione del fosforo disperso nell’ambiente può provocare gravi conseguenze per la salute umana. Le esalazioni provocate dalla combustione del fosforo bianco, infatti, se respirate possono corrodere le mucose e gli organi interni, generando un processo che porta all’avvelenamento.

Nella maggior parte dei casi, le bombe al fosforo uccidono le persone che ne vengono a contatto. Chi sopravvive, tuttavia, risulta estremamente esposto allo sviluppo di gravi patologie, come l’anemia (una malattia che prevede la mancanza, nei globuli rossi, di sufficiente emoglobina, la proteina che permette la circolazione dell’ossigeno dai polmoni a tutti gli altri organi del corpo) e la necrosi ossea, ovvero la progressiva erosione del tessuto scheletrico.

Prima di essere regolamentate, le bombe al fosforo sono state utilizzate più volte nella storia. Se ne è fatto ricorso, ad esempio, durante la Prima guerra mondiale, durante le guerre coloniali italiane in Africa di inizio Novecento. Più recentemente, se ne è fatto uso in Siria e nell’Ucraina invasa dalla Russia.

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Oltre 2 miliardi di persone ancora non accedono a internet

Author: Wired

I due terzi della popolazione mondiale hanno accesso a internet. Anche se le persone offline sono ancora 2,6 miliardi, il numero di quelle “connesse” (5,4 miliardi) non è mai stato così alto. Ad affermarlo è l’Itu, l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che ha reso noti i numeri sul progressivo aumento della popolazione mondiale con accesso al web. La crescita della connettività a internet, scrive l’Itu, risulta più marcata nei paesi considerati a basso reddito, dove i dati indicano un aumento degli utenti di circa il 17% nell’ultimo anno. In questi paesi, tuttavia, la connessione a internet continua a riguardare meno di un terzo della popolazione.

Facendo un paragone con lo scorso anno, si registra un’evoluzione di segno positivo, dato che nel 2022 le persone disconnesse erano 2,7 miliardi. Neanche quest’anno, tuttavia, è stato possibile eguagliare o superare i livelli di progresso del 2020 quando, durante la pandemia da Covid-19, in un solo anno la percentuale delle persone con accesso a internet ha fatto un balzo in avanti a due cifre.

Non è ancora abbastanza

Per quanto significativi, inoltre, i numeri fino ad ora raggiunti non sono abbastanza soddisfacenti per realizzare la connettività globale entro il 2030, obiettivo fissato dall’Itu come parte dell’agenda sullo sviluppo sostenibile che l’Onu vuole concretizzare per la fine del decennio.

Anche per questo, pur riconoscendo il passo in avanti, il segretario generale dell’Itu Doreen Bogdan-Martin ha detto: “Non avremo pace finché non vivremo in un mondo in cui una connessione significativa sarà una realtà vissuta per tutti, ovunque“. Per connettività “significativa” non si intende solo il semplice accesso a internet, ma la possibilità per le persone di utilizzarlo in maniera sicura, produttiva e a costi accessibili. Ecco perché l’impegno per una connessione sempre più diffusa deve essere accompagnato da uno sforzo per lo sviluppo delle infrastrutture, delle condizioni economiche e delle competenze necessarie nelle popolazioni ancora escluse da questo processo.

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Le Nazioni Unite si muovono per contrastare l’islamofobia

Author: Wired

Le Nazioni Unite stanno preparando un piano d’azione per spingere i governi degli stati membri ad agire contro la crescente islamofobia, a seguito di una riunione speciale dell’Organizzazione della cooperazione islamica. L’incontro è avvenuto dopo i frequenti casi di profanazione del Corano, libro sacro dell’Islam, in Svezia e Danimarca, sostenuti e strumentalizzati dalla Russia in funzione anti europea.

Come riporta il Guardian, il primo rogo del Corano avvenuto a Stoccolma, in Svezia, a dicembre 2022, è stato organizzato, sponsorizzato e sostenuto da un giornalista di estrema destra che scriveva per Russia Today, un media finanziato direttamente dal Cremlino, oggi bloccato in gran parte dell’Unione europea per il suo contributo nel diffondere contenuti disinformativi e fake news. Un’azione, assieme a quella compiuta a giugno sempre nello stesso paese nordico, che la Russia ha usato per ostacolare la procedura di accesso della Svezia nella Nato, aizzando le resistenze della Turchia, e ora che Istanbul ha dato il suo via libera sta usando per presentare al mondo l’immagine di uno stato razzista e islamofobo, non adatto a sedere all’interno della più importante alleanza militare internazionale.

Preoccupazione che ha fatto intervenire direttamente l’Organizzazione della cooperazione islamica, che ha definito i roghi del Corano come “spregevoli atti di aggressione” e sollecitato l’intervento delle Nazioni Unite affinché assuma “le misure necessarie per far promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti umani di tutte le persone, senza discriminazioni di sesso, lingua e religione” dai suoi paesi membri.

L’organizzazione internazionale, che rappresenta 56 stati tra Europa, Oriente, America meridionale, Africa, Asia centrale e subcontinente Indiano e vanta una delegazione permanente all’Onu, ha inoltre presentato un piano in 35 punti per l’istituzione di un relatore speciale delle Nazioni Unite per la lotta all’islamofobia, chiedendo ai vari governi di attuare pienamente o adottare ex novo leggi a tutela della comunità mussulmana e della loro libertà religiosa.

Invito su cui concordano sia le autorità svedesi, che hanno condannato la profanazione del Corano, che le stesse Nazioni Unite, già impegnate a contrastare il bigottismo e l’odio con l’istituzione della Giornata internazionale per il contrasto all’islamofobia in cui si ricorda “il messaggio di pace, compassione e tolleranza” diffuso per millenni in tutto il mondo dall’Islam.

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L’appello mondiale per vietare gli smartphone a scuola

Author: Wired

Vietare l’uso degli smartphone a scuola contribuisce a migliorare l’apprendimento, ridurre la distrazione in classe e proteggere studenti e studentesse dal cyberbullismo. Lo sostiene l’ultimo rapporto dell’Organizzazione per l’istruzione, la scienza e la cultura delle Nazioni Unite (Unesco), che ha lanciato un appello ai governi di tutto il mondo per vietare gli smartphone in classe, come già previsto in Francia e nei Paesi Bassi.

“Le connessioni online non possono sostituire l’interazione umana – ha detto Audrey Azoulay, direttrice generale dell’Unesco, al Guardian -. La rivoluzione digitale ha un potenziale incommensurabile, ma così come sta venendo regolata nella società è necessario regolarla anche nell’educazione. Il suo uso deve essere finalizzato a migliorare le esperienze di approfondimento e favorire il benessere di studenti e insegnanti, non a loro discapito”.

L’appello:

  1. Cosa c’è nel rapporto
  2. Dove è vietato lo smartphone in classe

Cosa c’è nel rapporto

Per compilare il suo Global education monitor report 2023, l’Unesco ha analizzato 200 sistemi educativi di tutto il mondo, dimostrando come l’uso eccessivo degli smartphone sia causa di una riduzione del rendimento scolastico, di squilibri emotivi nei minori e di un generale impatto negativo sull’apprendimento. Al contrario, la gran parte delle ricerche che sostengono come le tecnologie digitali apportino un intrinseco valore aggiunto all’istruzione sono state realizzate grazie ai finanziamenti di aziende educative private che cercano, in questo modo, di fare pubblicità e vendere i propri prodotti.

Una tendenza che il rapporto indica come “motivo di preoccupazione” per la salute educativa delle nuove generazioni, perché va a privilegiare il profitto a discapito dell’efficacia e della completezza educative, sostiene una crescente individualizzazione delle persone e trascura la dimensione sociale e il senso stesso dell’istruzione.

Inoltre, le piattaforme educative digitali contribuiscono ad aumentare le disuguaglianze sociali e il gap educativo, visto che miliardi di persone nei paesi a basso reddito sono escluse da questi servizi, e sono anche ecologicamente impattanti. Pertanto, sottolinea l’Unesco, i governi mondiali devono delineare principi e obiettivi chiari in cui delimitare l’uso delle tecnologie digitali nell’educazione, per garantirne un loro uso benefico, così da evitare danni agli studenti e alle studentesse.