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Come funzionano le prove Invalsi, dietro le quinte

Author: Wired

Nei giorni successivi, oltre al sindacato, una serie di associazioni e di sigle dei lavoratori (Associazione Roars, Alas, Usb Scuola, Unicobas scuola, Cub sur scuola, Organizzazione studenti Osa, i Cobas di Torino, Sardegna, Terni e Tuscia, gli autoconvocati, il Partito di rifondazione comunista, Priorità alla scuola, associazione Cattive ragazze, La nostra scuola Agorà 33, Per la scuola della Repubblica, Associazione nazionale docenti, Redazione professione docenti e Centro studi per la scuola pubblica) hanno annunciato un reclamo al Garante della privacy perché vieti il trattamento dei dati degli studenti fragili da parte di Invalsi. È bene precisare che nel 2018 e nel 2019 l’Autorità per la protezione dei dati ha espresso parere favorevole sugli schemi di trattamento prodotti dall’ente.

Individuare i fragili

L’indicazione di uno studente come fragile, istituita nel 2022 per raggiungere gli obiettivi del Pnrr in materia di scuola e colmare i divari tra i territori, è proprio uno degli elementi su cui ha voluto fare chiarezza la richiesta di accesso agli atti di Wired. L’indicatore serve a individuare persone che hanno difficoltà di apprendimento, dovrebbe attivare percorsi dedicati di sostegno e dipende, spiega Invalsi, dai “risultati conseguiti contemporaneamente nelle tre materie delle prove”. Cioè italiano, matematica e inglese.

Una premessa: nell’anno scolastico 2017-18 Invalsi è passato da quiz su carta a quelli al computer. Una pratica internazionale, allineata al Programma di valutazione internazionale dell’allievo (Pisa) varata dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), un’ente per gli studi economici che riunisce 38 Stati (tra cui l’Italia). La prova Invalsi si basa su “una procedura, in parte automatizzata, che confronta la risposta fornita da ciascun/a allievo/a a ogni quesito con il repertorio delle possibili risposte corrette, attribuendo un punteggio pari a 1 se la risposta è corretta e pari a 0 se la risposta è errata“. Aggiungono da Invalsi: “I risultati sono espressi su una stessa scala che rimane invariata nel corso degli anni rispetto a una data e una materia” e si articolano in 5 livelli. Dove 3 è la media per passare il quiz.

Di conseguenza, si viene indicati come fragili se, in italiano o matematica, il quiz raggiunge “al massimo il livello 2”. Mentre per inglese, è fragile chi in lettura e ascolto raggiunga alla “III secondaria di I grado al massimo il pre-A12”, mentre all'”ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado non abbia raggiunto il B1“. A quel punto avviene l’associazione tra l’indicatore di studente fragile e un codice identificativo dell’alunno, il Sidi (Sistema informativo dell’istruzione). Ma è chiaro che basta poi poco per convertire quel numero in un nome e un cognome.

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Le 4 migliori università in Italia

Author: Wired

Sono quattro le migliori università italiane che sono state inserite tra le prime dieci nella classifica mondiale Qs ranking by subject 2024, che valuta la qualità degli atenei in base al livello di insegnamento delle singole discipline. Nonostante nessuna di queste riesca a rientrare nemmeno tra le prime cento della classifica generale, per quanto riguarda i singoli corsi di studio in Unione europea, siamo secondi solo all’Olanda, che conta ben 13 materie tra i primi dieci posti al mondo.

Le 4 italiane

Le quattro migliori università italiane, secondo il Qs ranking by subject 2024, sono La Sapienza di Roma, la Normale di Pisa, il Politecnico di Milano e la Bocconi di Milano. Nel dettaglio, sono invece ben otto i corsi di studio considerati. La Sapienza si conferma per il quarto anno consecutivo al primo posto al mondo per gli Studi classici, davanti anche a Oxford e Cambridge, e per la prima volta entra al decimo posto con Archeologia.

La Normale di Pisa perde una posizione ma si posiziona comunque quinta sempre per gli Studi classici. Il Politecnico di Milano arriva in settima posizione sia per Architettura che per Arte e Design e al nono posto per Ingegneria meccanica e aeronautica. Infine la Bocconi è settima per Marketing e nona per Economia gestionale.

Gli altri atenei in classifica

Oltre a queste ci sono altri 22 atenei tra i primi 50 al mondo per le discipline letterari e artistiche, come lo Iuav di Venezia, al quindicesimo posto, il Politecnico di Torino per Storia dell’arte, al diciottesimo posto, e l’università di Bologna per gli Studi classici, al diciannovesimo posto. Mentre la Luiss è l’unica università italiana tra le prime venti al mondo per gli studi di Politica internazionale, anche se ha perso cinque posti dallo scorso anno, passando dal quattordicesimo al diciannovesimo posto.

Qs world university ranking è una delle più note classifiche universitarie al mondo, assieme alla Academic ranking of world universities e alla Times higher education world university ranking. Viene pubblicata ogni anno da Quacquarelli Syumonds, società di consulenza e ricerca del Regno Unito specializzata nell’analisi del settore dell’istruzione superiore e fondata nel 1990 da Nunzio Quacquarelli e Matt Symonds.

A differenza di altre classifiche, il Qs ranking è incentrato principalmente sulla considerazione di cui un’università gode tra professori e ricercatori di altri atenei e presso i datori di lavoro, piuttosto che sulla quantità e la qualità della ricerca di ogni singola università. Questo criterio ha sollevato alcune critiche per il fatto che i consulenti di Qs possono aiutare le università a migliorare la loro posizione in classifica. Negli anni questa classifica si è comunque imposta come uno degli strumenti più usati per la scelta di un corso di studi per i nuovi iscritti e le nuove iscritte.

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Si aprono le iscrizioni per il liceo del made in Italy

Author: Wired

A partire dal 23 gennaio 2024 saranno aperte le iscrizioni del liceo del made in Italy, il nuovo indirizzo di studi di ispirazione nazionalista fortemente voluto dal governo Meloni. Nato tra le polemiche, a causa delle poche differenze con il già esistente liceo delle scienze umane, potrà essere attivato solo su richiesta, da presentare entro il 15 gennaio, delle istituzioni scolastiche e sostituirà l’indirizzo economico-sociale.

Insomma, più che un nuovo liceo sembra trattarsi di un depotenziamento dell’indirizzo economico-sociale, a cui toglie l’insegnamento della seconda lingua straniera, diritto ed economia politica. In cambio, gli studenti avranno corsi di “gestione delle imprese del made in Italy, modelli di business nelle industrie della moda, dell’arte e dell’alimentazione e made in Italy e mercati internazionali”.

La differenza maggiore sarà il collegamento con la fondazione Imprese e competenze per il made in Italy, attivata con lo stesso decreto con cui è nato il liceo, che dovrebbe servire a portare i neodiplomati nel mondo del lavoro. Tutti i licei delle scienze umane che vorranno aprire i nuovi corsi, dovranno rinunciare all’attivazione delle classi a indirizzo economico-sociale, per non comportare nuovi oneri a carico dello Stato.

Il progetto è stato fatto partire “senza nuovi o maggiori oneri” per la finanza pubblica, quindi senza una copertura economica ad hoc. La legge non chiarisce nemmeno quali debbano essere le competenze richieste ai docenti per insegnare le nuove materie, né se verranno attivati speciali percorsi formativi di aggiornamento, lasciando aperti molti interrogativi su quale sarà l’effettivo risultato del nuovo liceo.

Sarà facile valutare il successo o l’insuccesso della nuova offerta formativa del governo Meloni, perché saranno le scuole stesse a richiedere o meno l’attivazione del nuovo indirizzo, entro il 15 gennaio 2024. Da quel momento sarà già possibile cominciare a tirare le somme, mentre a settembre si potrà fare il conto effettivo degli studenti e delle studentesse, che potranno iscriversi online attraverso la piattaforma Unica per la scuola.

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C’è una proposta di legge per rendere il presepe obbligatorio nelle scuole

Author: Wired

Fratelli d’Italia ha presentato un discusso disegno di legge per rendere il presepe obbligatorio nelle scuole e istituire un obbligo per la Repubblica italiana di valorizzare, preservare e tutelare le festività e le tradizioni religiose cristiane, come “espressione più autentica e profonda dell’identità del popolo italiano”. Una svolta del partito di governo, che suona in contrasto con l’articolo 8 della Costituzione, in cui si stabilisce il principio di eguaglianza delle confessioni religiose, e contro il principio supremo di laicità dello Stato.

La proposta firmata dalla senatrice Lavinia Mennuni ha come titolo Rispetto e tutela delle tradizioni religiose italiane, ma parla solo di cristianesimo. All’articolo 1 obbligherebbe la Repubblica a trattare le tradizioni e le festività cristiane come “espressione più autentica e profonda dell’identità del popolo italiano”, mentre l’articolo 2 costringerebbe gli istituti scolastici ad accettare qualunque iniziativa, proposta “da genitori, studenti o componenti di organi scolastici”, volta a “perpetuare le tradizionali celebrazioni legate al Natale e alla Pasqua cristiana”.

Chi non vorrà sottostare a questi obblighi, specifica l’articolo 4, “sarà passabile di procedimenti disciplinari” e, in base all’articolo 3, il ministero dell’Istruzione potrà intervenire con provvedimenti per garantire “l’attuazione di quanto previsto” dall’articolo 2. Un’imposizione che il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, ha definito sul Corriere della Sera come fuori luogo.

Inoltre, la norma va contro la sentenza numero 203 della Corte costituzionale, pubblicata in Gazzetta ufficiale il 19 aprile 1989, in cui viene stabilito che in Italia “il principio di laicità è considerato supremo”. In questo modo la laicità del nostro paese è diventata inviolabile, al pari di altri principi come quello della dignità della persona. Ciò significa che la Repubblica italiana non può in alcun modo violare il principio di laicità nelle sue funzioni e istituzioni, tra cui l’insegnamento pubblico.

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L’appello mondiale per vietare gli smartphone a scuola

Author: Wired

Vietare l’uso degli smartphone a scuola contribuisce a migliorare l’apprendimento, ridurre la distrazione in classe e proteggere studenti e studentesse dal cyberbullismo. Lo sostiene l’ultimo rapporto dell’Organizzazione per l’istruzione, la scienza e la cultura delle Nazioni Unite (Unesco), che ha lanciato un appello ai governi di tutto il mondo per vietare gli smartphone in classe, come già previsto in Francia e nei Paesi Bassi.

“Le connessioni online non possono sostituire l’interazione umana – ha detto Audrey Azoulay, direttrice generale dell’Unesco, al Guardian -. La rivoluzione digitale ha un potenziale incommensurabile, ma così come sta venendo regolata nella società è necessario regolarla anche nell’educazione. Il suo uso deve essere finalizzato a migliorare le esperienze di approfondimento e favorire il benessere di studenti e insegnanti, non a loro discapito”.

L’appello:

  1. Cosa c’è nel rapporto
  2. Dove è vietato lo smartphone in classe

Cosa c’è nel rapporto

Per compilare il suo Global education monitor report 2023, l’Unesco ha analizzato 200 sistemi educativi di tutto il mondo, dimostrando come l’uso eccessivo degli smartphone sia causa di una riduzione del rendimento scolastico, di squilibri emotivi nei minori e di un generale impatto negativo sull’apprendimento. Al contrario, la gran parte delle ricerche che sostengono come le tecnologie digitali apportino un intrinseco valore aggiunto all’istruzione sono state realizzate grazie ai finanziamenti di aziende educative private che cercano, in questo modo, di fare pubblicità e vendere i propri prodotti.

Una tendenza che il rapporto indica come “motivo di preoccupazione” per la salute educativa delle nuove generazioni, perché va a privilegiare il profitto a discapito dell’efficacia e della completezza educative, sostiene una crescente individualizzazione delle persone e trascura la dimensione sociale e il senso stesso dell’istruzione.

Inoltre, le piattaforme educative digitali contribuiscono ad aumentare le disuguaglianze sociali e il gap educativo, visto che miliardi di persone nei paesi a basso reddito sono escluse da questi servizi, e sono anche ecologicamente impattanti. Pertanto, sottolinea l’Unesco, i governi mondiali devono delineare principi e obiettivi chiari in cui delimitare l’uso delle tecnologie digitali nell’educazione, per garantirne un loro uso benefico, così da evitare danni agli studenti e alle studentesse.