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Le grandi aziende che fanno marcia indietro sullo smart working

Author: Wired

Google ha richiesto tre giorni in ufficio ma ha però sottolineato come una presenza maggiore sarebbe stata valutata positivamente, riporta il Wall Street Journal. Stesso discorso anche per i dipendenti di Meta, casa madre di Facebook, Instagram e WhatsApp, e di Apple, dove i dipendenti hanno provato a respingere il rientro obbligato con una petizione in cui sostenevano di essere “più felici e produttivi” lontani dall’ufficio, si legge sul sito del sindacato Apple Together. Purtroppo non hanno avuto successo.

L’alt di Zoom

Ma a sconvolgere davvero il mondo del lavoro è stata la marcia indietro di Zoom, le cui call sono state fondamentali per il successo dello smart working. Il gruppo ha guadagnato miliardi offrendo ad aziende e istituzioni la sua piattaforma. Ad agosto, però, l’amministratore delegato Eric Yuan ha usato la scusa della creatività e della fiducia per richiamare i dipendenti in ufficio, racconta Business Insider.

L’ultima grande azienda del settore tecnologico a pretendere almeno tre giorni di presenza a settimana ai suoi dipendenti è stata Amazon, minacciando di licenziamento chi non dovesse adeguarsi, si legge sul Guardian. Una decisione che si scontra con le 30mila firme raccolte tra lavoratrici e lavoratori della compagnia, contrari al ritorno in ufficio obbligatorio, e che si accompagna alle recenti rilevazioni di come i dipendenti Amazon rimasti in smart working siano stati tracciati e penalizzati per non aver passato abbastanza tempo in sede.

C’è chi dice sì

Tra le aziende che hanno dato priorità assoluta al lavoro in ufficio, il cosiddetto office-first, si trovano Netflix e Goldman Sachs, che hanno tra le politiche più stringenti e restrittive per il lavoro da remoto. Mentre tra chi predilige un sistema ibrido, con smart working e tempo in presenza, si trovano Microsoft, Revolut, Spotify, Grammarly. Infine, tra chi ha dato priorità allo smart working, il cosiddetto remote-first, si trovano AirBnb, Slack, Dropbox o Deloitte.

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Programmare il lavoro con il caldo estremo

Author: Wired

Termometri che non scendono, aria ferma, umidità tropicale: il caldo che ha colpito l’Italia rende le giornate di lavoro sempre più pesanti. I sindacati hanno chiesto da giorni attenzione per i lavoratori di settori come quello agricolo e delle costruzioni. Per aiutare le amministrazioni nella tutela di chi è costretto a stare all’aperto, si è mosso anche il Consiglio nazionale delle ricerche (assieme all’Istituto di bioeconomia di Sesto Fiorentino, all’Inail e ad altri partner): il Cnr ha rilasciato una piattaforma previsionale con mappe che indicano le zone d’Italia in cui verranno presumibilmente superati i trentacinque gradi.

Del caldo torrido ha tenuto conto anche l’Inps, e non da quest’anno: dal 2017 l’istituto ha previsto la possibilità di richiedere la cassa integrazione per alcune categorie di lavoratori nel caso il caldo superi i 35 gradi. Come recita il sito, sono inclusi “i lavori di stesura del manto stradale, i lavori di rifacimento di facciate e tetti di costruzioni, le lavorazioni all’aperto che richiedono indumenti di protezione e, in generale, tutte le fasi lavorative che avvengono in luoghi non proteggibili dal sole o che comportino l’utilizzo di materiali o macchinari particolarmente sensibili al forte calore. Inoltre, possono essere prese in considerazione anche le lavorazioni al chiuso allorché non possano beneficiare di sistemi di ventilazione o raffreddamento per circostanze imprevedibili e non imputabili al datore di lavoro”.

article imageCome si richiede la cassa integrazione per il caldo

Il caldo può comportare seri rischi per alcune categorie di lavoratori. Se la temperatura supera i 35 gradi, per l’Inps è possibile sospendere l’attività lavorativa e richiedere l’integrazione salariale ordinaria

Il Cnr ha dato alcuni consigli aggiuntivi per l’organizzazione del lavoro in questi giorni di caldo estremo, al netto delle solite buone pratiche, come mantenersi idratati e indossare abiti leggeri. Il primo è di spezzare l’attività con pause frequenti. Per chi organizza i turni, può essere una buona idea quella di prevedere pause di un quarto d’ora ogni trenta minuti per i lavoratori. Questi momenti di sosta, che devono essere trascorsi all’ombra, oltre a quello ovvio del riposo, hanno un altro vantaggio: consentono di monitorare le condizioni di salute ed eventuali sintomi da affaticamento e disidratazione, correndo ai ripari prima che la situazione si aggravi.

Poi, per chi lavora all’aperto, il consiglio è di condizionare il proprio fisico a lavorare all’esterno e programmare le attività più pesanti per il mattino o la sera, per poi riposarsi al chiuso. Utile anche qualche semplice trucco, come portarsi un asciugamano fresco da mettere sul collo per mantenere la temperatura corporea sotto controllo. Infine, sempre a livello di pianificazione, è bene mantenere un ritmo costante e controllare il meteo del giorno dopo. Inutile strafare: meglio mantenere lo stesso ritmo per tutta la giornata evitando corse per finire prima. È importante capire che, sotto il solleone, la produttività non può essere la stessa delle giornate fresche: con una accurata pianificazione si può però limitare il ritardo accumulato. Non solo: chi organizza le attività dei colleghi dovrebbe sempre ricordarsi di guardare il meteo del giorno dopo e tenerne conto per prendere le precauzioni del caso.

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Tecnologia

La Russia vuole richiamare in patria gli specialisti informatici emigrati

Author: Wired

Con una nuova legge la Russia vuole vietare lo smart working. Si tratta di un tentativo di richiamare in patria alcuni tra i circa 100mila lavoratori e lavoratrici del settore informatico scappati all’estero da febbraio 2022, in seguito all’invasione dell’Ucraina, e dopo la mobilitazione forzata dei riservisti, avviata a settembre.

Mentre il settore è ormai in crisi da mesi, Mosca ha deciso di provare a risollevarlo imponendo a programmatori, sviluppatori, web designer e altri specialisti informatici di tornare in patria. Addirittura, si legge su Reuters, alcuni dei legislatori più estremisti vorrebbero vietare del tutto a questi lavoratori e lavoratrici di lasciare la Russia, per evitare che possano essere impiegati da aziende dei paesi Nato e condividere informazioni sensibili.

Ma con circa 100mila specialisti già all’estero, il Cremlino dovrebbe cominciare dei programmi di rimpatrio forzato per riportare tutti indietro. Un piano infattibile, per questo le autorità potrebbero minacciare licenziamenti o aumentare le tasse sul reddito di chi lavora per aziende russe dall’estero. La proposta è stata avanzata da Vyacheslav Volodin, collega di partito del presidente Vladimir Putin e influente presidente della Duma, il parlamento russo.

Tuttavia, in base alle testimonianze raccolte da Reuters, molti degli specialisti informatici russi emigrati in Argentina preferirebbero licenziarsi piuttosto che tornare in patria o pagare più tasse a Mosca. È il caso di una designer ventiseienne di nome Yulia, che ha definito gli ultimatum del Cremlino come una richiesta di negoziare con i terroristi: ‘Torna o renderemo il tuo lavoro impossibile, per la tua azienda e i tuoi dipendenti’”. Mentre un giovane freelance ha spiegato di aver smesso di pagare le tasse in Russia, perché quando si pagano le tasse si sostiene lo stato e la sua espansione militare. Non sto pagando e non ho intenzione di farlo”.