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Le ondate di calore sono un grosso problema anche per il sottosuolo

Author: Wired

A meno che non andiate in giro a piedi nudi, percepite le ondate di caldo attraverso la temperatura dell’aria, che poi è anche il modo con cui solitamente gli scienziati monitorano questi eventi. “Il calore estremo è sempre stato studiato sulla base della temperatura dell’aria, in parte perché abbiamo molte osservazioni”, per esempio grazie alle stazioni meteorologiche, spiega Almudena García-García, scienziata che studia il sistema Terra presso l’Helmholtz Centre for Environmental Research in Germania.

Decisamente meno studiate sono invece le modalità attraverso le quali le ondate di calore si propagano nel suolo. La diffusione di calore però potrebbe avere importanti implicazioni per gli intricati sistemi naturali dove viene coltivato il nostro cibo, si trasforma l’acqua e viene sequestrata l’anidride carbonica (CO2). Il riscaldamento del suolo potrebbe addirittura contribuire all’innalzamento delle temperature dell’aria, dando vita a una sorta di ciclo di retroazione climatico.

Alla fine del mese scorso, García-García ha pubblicato sulla rivista scientifica Nature Climate Change delle scoperte allarmanti sul calore estremo nel suolo dell’Europa centrale. Il team della scienziata ha raccolto dati dal 1996 al 2021 relativi alle temperature dell’aria fino a 2 metri dal suolo e sulle temperature nelle stesse regioni nei primi 10 centimetri di terreno. In due terzi delle circa 120 stazioni di misurazione da cui i ricercatori hanno attinto le informazioni, gli estremi di calore sono risultati più pronunciati nel suolo che nell’aria. Ogni decennio, questi estremi sono aumentati di 0,7 gradi Celsius nel suolo rispetto all’aria, e il numero di giorni in cui il suolo ha registrato temperature estreme è aumentato due volte più rapidamente.

Questo lavoro apre molte domande, perché ora vediamo che ci sono differenze tra l’evoluzione degli estremi di calore nel suolo e nell’aria – afferma García-García –. Forse la differenza tra l’evoluzione degli eventi di calore nel suolo, nella vegetazione e nell’aria può aiutarci a capire o a prevedere i problemi nell’agricoltura, i cambiamenti della biodiversità o qualsiasi altro impatto del cambiamento climatico sulle attività degli ecosistemi“.

Variabili e preoccupazioni

Quando si parla di suolo, il problema è che non esistono due zone uguali nel mondo. Un’area potrebbe presentare un contenuto più elevato di argilla o sabbia. Un’altra potrebbe avere più CO2 proveniente dalle piante. Un punto potrebbe essere più scuro di un altro e assorbire più energia solare. In alcuni luoghi, come la foresta pluviale amazzonica, gli alberi riescono a bloccare quasi del tutto la luce solare che colpisce la terra. In una prateria, invece, la vegetazione rada potrebbe far entrare più fotoni. All’estremo nord o sud, il sole ha un’angolazione diversa rispetto all’equatore. Anche la topologia può variare molto, passando dall’essere perfettamente pianeggiante a montuosa. Una falda acquifera può essere più alta in un luogo e più bassa in un altro. Terreni diversi hanno anche comunità microbiche diverse, oltre che differenti invertebrati come lombrichi e insetti. E’ un dato di fatto che tutte queste variabili si combinino determinando il tasso di riscaldamento del suolo.

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Il glifosato si potrà usare per altri 10 anni in Europa

Author: Wired

In Europa sarà consentito utilizzare il glifosato per altri dieci anni, fino al 15 dicembre 2033. La proposta di rinnovo all’autorizzazione a impiegare il pesticida protagonista di numerose sentenze delle Corti di giustizia statunitensi contro la produttrice Bayer Monsanto, nelle quali è stato indicato quale causa di tumori, è infatti contenuta, come riporta Il Sole 24 Ore, nel regolamento di esecuzione recapitato dalla Commissione europea agli Stati membri.

L’obiettivo dell’esecutivo europeo è quello di approvare il documento entro ottobre, motivo per il quale ha messo in agenda le discussioni con i paesi comunitari già a partire dal 22 settembre.

Nel regolamento sono comunque previste alcune limitazioni all’utilizzo del glifosato. Non sarà per esempio possibile impiegarlo per disseccare il raccolto, una modalità propria soprattutto dei produttori in grandi quantità di cereali. È inoltre fissato un argine alla dispersione del pesticida: in particolare, dovranno essere realizzate fasce tampone di almeno cinque o dieci metri. Un’ulteriore precisazione della commissione riguarda poi l’uso della sostanza nei parchi e nei giardini pubblici, nei quali dovrà essere ridotto al minimo, se non essere assolutamente vietato.

La notizia era particolarmente attesa da aziende e lavoratori del comparto. Il glifosato è infatti l’erbicida più utilizzato in agricoltura e la sua licenza per il mercato dell’Unione europea era stata rinnovata l’ultima volta, nel 2017, solo per cinque anni invece dei classici quindici. Una scelta che era stata la conseguenza della scelta dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) di classificare il glifosato per la prima volta comeprobabilmente cancerogeno”. Lo scorso luglio erano arrivate invece rassicurazioni sul tema dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), per la quale non ci sarebbe alcunaarea critica di preoccupazione riguardo agli effetti della sostanza nell’uomo, negli animali e negli ambienti tale da imporne il divieto di utilizzo.

Contrari al rinnovo si mostrano gli ambientalisti. In particolare, secondo l’associazione Pesticide Action Network, “l’approvazione della proposta di rinnovo sarebbe in netto contrasto con la volontà degli europei”, considerando che “cinque anni fa un milione di cittadini chiese formalmente il divieto, e un recente sondaggio Ipsos condotto in sei paesi della Ue mostra che secondo due terzi (62%) dei cittadini l’uso del glifosato dovrebbe essere vietato in Europa”.

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Quanto costa il granchio blu

Author: Wired

Il granchio blu è ancora al centro del dibattito in tutta Italia e, da quando la soluzione migliore che la politica ha trovato per tenere a bada l’invasione sembra essere quella di mangiarlo, il prezzo al chilo di questo crostaceo è raddoppiato in meno di un mese, arrivando fino ai 15 euro al chilo. I prezzi variano a seconda della zona geografica dove viene pescato e dalla domanda della clientela, che sembra essere sempre più interessata a provare questo nuovo prodotto.

Il crollo dei prezzi

Ad agosto del 2022 il Corriere della Sera pubblicava un articolo relativo proprio al consumo e al costo del granchio blu, definendolo come pregiato e richiesto, ma anche molto costoso. In base ai prezzi riportati dal quotidiano, lo scorso anno il granchio blu sembrava arrivare a costare fino ai 30 e i 40 euro al chilo, per essere servito in alcuni ristoranti orientali anche a 150 euro al chilo. Oggi, un anno dopo, il costo si aggira dai 3,50 euro ai 15 euro al chilo.

Il drastico calo dei prezzi sembra derivare proprio dalla sua estrema diffusione in tutta Italia, che ha portato il governo a stanziare 2,9 milioni di euro per eradicarne la specie, catturandone tonnellate di esemplari. Solo nel piccolo comune di Porto Tolle, in Veneto, se ne pescano 180 quintali al giorno che vengono immediatamente immesse sul mercato, anche per far recuperare le perdite a quelle aziende ittiche colpite negativamente dalla passione del granchio blu per cozze e vongole dell’Adriatico.

Dove costa meno

Nel dettaglio, come riporta Repubblica, Napoli si conferma il mercato con il prezzo più basso per il granchio blu, appena 3,50 euro al chilo. In Emilia Romagna, Toscana e Veneto il prezzo sale tra i 5 e i 9 euro, mentre il costo schizza in Lombardia e nel Lazio, dove il prezzo medio varia dai 12 ai 15 euro al chilo. In alcune zone del Lazio, in provincia di Latina, sembra che possa anche arrivare attorno ai 30 o 40 euro al chilo, ma solo perché spacciato come granchio blu reale, quindi è importante stare attenti alle truffe.

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Come Siena è diventata la prima città d’arte sostenibile in Italia

Author: Wired

Nel Palazzo pubblico di Siena si trova un ciclo di affreschi di Ambrogio Lorenzetti intitolato Allegoria ed effetti del buono e del cattivo governo. L’opera descrive le conseguenze di una buona amministrazione cittadina e risale a quasi 700 anni fa. “Se guardiamo con attenzione questo quadro scopriamo quella che è stata definita come l’agenda 1338, cioè tra i tanti dettagli del dipinto di Lorenzetti del 1338 si trovano anche i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030”, spiega Federico Maria Pulselli, professore di chimica dell’ambiente e dei beni culturali all’Università di Siena.

Affreschi del Buono e del Cattivo Governo Ambrogio Lorenzetti

Affreschi del Buono e del Cattivo Governo – Ambrogio Lorenzetti (1338-1339)

Perché aldilà della tradizione del Palio e della ricchezza culturale senese, il capoluogo toscano si è distinto rispetto a tutte le altre città d’arte italiane per una qualità oggi sulla bocca di tutti: la sostenibilità. Quest’anno il Comune di Siena è stato la prima località artistica italiana ad essere riconosciuta come sostenibile secondo gli standard del Global sustainable tourism council (Gstc), che ha fissato dei criteri basandosi sui 17 Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite. “Il Gstc è nato da un’iniziativa dell’Onu e della United Nation World Tourism Organization, che chiede alle destinazioni di assolvere a 181 indicatori di sostenibilità che toccano tutti gli aspetti e non solo quelli ambientali come quello gestionale, culturale ed economico – spiega Susanna Gatti, direzione turismo, comunicazione e commercio del Comune di Siena, che ha fatto parte del gruppo operativo che ha intrapreso il percorso di certificazione nel 2021 – è stato un lavoro portato avanti da tutti: enti pubblici, associazioni e confederazioni aziendali”. Insomma, il riconoscimento del valore dell’impegno lungo un cammino di sviluppo sostenibile da parte della comunità cittadina. Ecco quali sono i motivi principali di questo riconoscimento:

  1. Città carbon neutral
  2. Spazi verdi ampi e funzionali
  3. Una città solidale e accessibile
  4. La tradizione culturale ed eno-gastronomica

Città carbon neutral

La storia di Siena come avanguardia italiana della sostenibilità inizia oltre vent’anni fa, nel 2001, con un progetto per comprendere i valori delle emissioni inquinanti nella provincia. “Attraverso il primo bilancio di CO2 abbiamo scoperto che la quantità di assorbimenti delle foreste locali era di circa il 72% rispetto alle emissioni. A quel punto il presidente della Provincia ha detto di voler diventare carbon neutral entro il 2015. – spiega Simone Bastianoni, presidente dell’Alleanza Territoriale Carbon Neutrality e professore all’Università di Siena E così sono state messe in campo le politiche vere, in pochi anni: il piano rifiuti che ha ridotto 40 discariche ad una e la realizzazione di un termovalorizzatore che serve 250mila persone. È stato fatto un Piano energetico provinciale e in 5 anni la Provincia da importatore è diventata esportatrice di energia, grazie allo sviluppo della geotermia, del fotovoltaico, dell’energia da rifiuti”.

Il risultato di questo sforzo massiccio è stato eccezionale, oltre le ambizioni iniziali: Siena è diventata carbon neutral, cioè ha compensato il 100% delle proprie emissioni a livello provinciale, già nel 2011. E da quel momento questo parametro ha continuato a migliorare.

Spazi verdi ampi e funzionali

Ogni senese ha mediamente 28 metri quadri di spazio verde a disposizione. In Italia la media pro-capite di spazio verde per ogni cittadino si aggira intorno ai 31, ma questa considera anche città dove la superficie di verde urbano a disposizione dei cittadini non raggiunge nemmeno i 9 metri quadrati, ovvero il limite minimo stabilito dalla legge. Si tratta in particolare di città d’arte, che per loro conformazione sono più carenti di spazi green. Siena, invece, fa eccezione grazie anche alle cosiddette valli verdi. Su un totale complessivo di circa 160 ettari di superficie racchiusa dalle mura, le valli verdi ammontano a circa 30 ettari, pari al 18 % del totale della superficie all’interno della cinta muraria. Zona in parte dedicata alle coltivazioni che sono approvvigionamento a chilometro zero per la città fin dal Medioevo.

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Chi è più colpito dal mancato accordo sul grano tra Russia e Ucraina

Author: Wired

La Russia si è rifiutata di estendere l’accordo del grano con l’Ucraina. L’iniziativa, avviata il 21 luglio 2022, ha assicurato che le navi cariche di cereali ucraini potessero lasciare senza pericoli i porti del paese affacciati sul mar Nero, così da raggiungere diversi paesi a basso reddito la cui sicurezza alimentare dipende proprio da queste esportazioni. Ma tra i primi importatori si trovano anche altri stati, tra cui l’Italia, dove la mancanza di queste scorte rischia di comportare un nuovo aumento dei prezzi.

  1. A cosa serviva l’accordo del grano
  2. Perché la Russia si è rifiutata di estenderlo
  3. Cosa succede ora

A cosa serviva l’accordo del grano

L’iniziativa cesserà dal 18 luglio. Ciò comporta il ritiro delle garanzie di sicurezza per la navigazione dei cargo mercantili, la fine del corridoio umanitario marittimo e la cessazione delle attività del Centro di coordinamento congiunto a Istanbul, istituito per monitorare l’attuazione dell’accordo. Il mar Nero nord occidentale torna a essere un’area pericolosa per la navigazione.

Come riportano le Nazioni Unite, che hanno mediato per siglare il primo accordo, circa l’80% del grano distribuito nel mondo dal World food programme nel 2023 proveniva proprio dall’Ucraina, in crescita dal 50% del 2021 e 2022, equivalente a circa 725 mila tonnellate distribuite tra Afghanistan, Sudan, Djibouti, Etiopia, Kenya, Somalia e Yemen. Inoltre, altri cereali ucraini sono stati distribuiti in altri 45 paesi in tre continenti.

Perché la Russia si è rifiutata di estenderlo

In cambio della sicurezza delle navi cargo cariche di cereali, le Nazioni Unite hanno concesso alla Russia, responsabile dell’aggressione contro l’Ucraina e della conseguente crisi alimentare, di poter continuare a esportare cibo e fertilizzanti, convincendo gli stati occidentali a non imporre sanzioni contro questi prodotti.

Tutto ciò, evidentemente, a Mosca non è bastato. Così, il Cremlino ha prima accusato l’occidente, senza fondamento, di non aver rispettato questa parte di accordo e di non aver distribuito i cereali ucraini nei paesi a basso reddito, per poi pretendere anche la riapertura delle esportazioni di ammoniaca e la riconnessione della sua banca agricola, la Rosselkhozbanck, al circuito di pagamenti internazionali Swift. Collegamento sospeso dall’inizio dell’invasione per impedire l’evasione delle sanzioni occidentali e che i commerci internazionali russi potessero finanziare l’invasione dell’Ucraina.

Cosa succede ora

In questo modo, Mosca sta usando la crisi alimentare di mezzo mondo e le vite delle persone in pericolo di fame e carestie per ricattare l’occidente e proseguire nell’invasione dell’Ucraina, usando la destabilizzazione dei paesi più poveri a sua vantaggio. Ora, circa 33 milioni di tonnellate di prodotti agricoli, di cui 8,9 milioni di grano tenero, dovranno essere lentamente spostati via terra, presumibilmente innescando un aumento del 20% dei prezzi dei cereali, come riporta Reuters, ed aggravando l’insicurezza alimentare di diversi paesi.