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Tecnologia

Elon Musk ha chiesto di mettere in pausa l’AI. Ma poi ha accelerato

Author: Wired

Sei mesi fa diversi importanti ricercatori, ingegneri e imprenditori nel settore dell’intelligenza artificiale hanno firmato una lettera aperta che chiedeva di mettere in pausa per sei mesi lo sviluppo di sistemi di AI più potenti di GPT-4, l’ultimo generatore di linguaggio di OpenAI. La lettera sosteneva che l’AI sta avanzando in modo troppo rapido e imprevedibile, rischiando di eliminare innumerevoli posti di lavoro, sommergerci di disinformazione e addirittura, come sottolineava un profluvio di titoli di giornale pieni di panico, distruggere l’umanità.

Come avrete notato, l’appello non ha portato a una sospensione nello sviluppo dell’AI, e nemmeno a un rallentamento della tecnologia. Le aziende, anzi, hanno accelerato i loro sforzi per costruire sistemi sempre più avanzati.

Elon Musk, uno dei firmatari della lettera più in vista, non ha aspettato molto prima di ignorare il suo stesso invito a tirare il freno. A luglio l’imprenditore ha annunciato xAI, una nuova società che, a suo dire, cercherà di andare oltre i sistemi di intelligenza artificiale esistenti e di competere con OpenAI, Google e Microsoft. Molti dipendenti di Google che hanno firmato la lettera aperta sono rimasti al loro posto mentre l’azienda si sta preparando a presentare un modello di AI chiamato Gemini, che vanta capacità più sofisticate rispetto a GPT-4.

Wired US ha contattato una decina abbondante di firmatari della lettera per chiedere quale effetto pensano abbia avuto l’appello e se i loro timori sulla tecnologia siano aumentati o diminuiti negli ultimi sei mesi. A quanto pare, nessuna delle persone che hanno risposto si aspettava una vera e propria battuta d’arresto della ricerca sull’AI.

Non ho mai pensato che le aziende si sarebbero fermate volontariamente“, afferma Max Tegmark, un astrofisico del Massachusetts Institute of Technology (Mit) che dirige il Future of Life Institute, l’organizzazione che ha progettato la lettera, un’ammissione che potrebbe fa apparire cinico il progetto. Tegmark afferma che il suo obiettivo principale non era quello di mettere in pausa l’AI, ma di dare legittimità al dibattito sui pericoli della tecnologia. Da questo punto di vista, il risultato ha “superato le aspettative“, dice l’astrofisico.

Le risposte alle domande di Wired evidenziano anche quanto eterogenee siano le preoccupazioni che gli esperti nutrono nei confronti dell’AI, e come molti firmatari non siano in realtà ossessionati dalla possibilità che la tecnologia rappresenti un rischio esistenziale.

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Economia Tecnologia

Tutti i paesi che corteggiano Tesla

Author: Wired

L’Arabia saudita e Tesla hanno avviato una trattativa per aprire una fabbrica di auto elettriche nel regno. A dare la notizia sono alcune fonti informate del Wall Street Journal, per le quali l’avvicinamento saudita all’azienda fondata da Elon Musk è parte dell’ambizioso piano di Riyadh di diversificare il suo modello economico, troppo “schiacciato” sulla produzione e sulla vendita del petrolio.

L’Arabia saudita, tuttavia, non è l’unico paese a voler ospitare gli impianti di produzione delle auto elettriche Tesla. Oggi le fabbriche di Tesla nel mondo sono sei. La settima è in fase di costruzione in Messico e, stando alle parole di Musk, l’azienda vorrebbe individuare entro la fine dell’anno il luogo adatto per realizzare un nuovo sito di produzione.

Arabia saudita, Turchia e India

Il Sole 24 Ore spiega che i colloqui appena iniziati potrebbero però concludersi anche con un nulla di fatto dato che, in Arabia Saudita, Tesla si ritroverebbe a competere direttamente con l’azienda rivale Lucid Group, con la quale il regno intrattiene una partnership commerciale.

Poche ore prima della diffusione di questa notizia da parte del Wall street journal, inoltre, il fondatore di Tesla Elon Musk ha incontrato il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan. I due si sono visti alla Turkish House di New York, situata a poca distanza dal Palazzo di vetro delle Nazioni Unite, dove Erdogan è atteso per partecipare alla 78esima sessione dell’Assemblea generale Onu. Stando ai primi dettagli emersi, durante l’incontro Erdogan avrebbe chiesto a Musk di aprire una fabbrica di Tesla in Turchia.

Se da una parte l’Arabia saudita ha offerto a Tesla l’accesso al rame e al cobalto della Repubblica democratica del Congo (con cui il regno ha avviato alcune trattative per assicurarsi queste materie prime); dall’altra Ankara ha provato a corteggiare Musk mostrandosi interessata anche a una cooperazione nel campo dell’intelligenza artificiale e alla cessione delle licenze per far funzionare il sistema satellitare Starlink in Turchia.

Per ora, sembra che a spuntarla sia proprio Ankara. Al termine dell’incontro con Erdogan, Elon Musk ha infatti affermato che la Turchia “è tra i maggiori candidati per la costruzione del nuovo sito di produzione di Tesla. Ad agosto, tuttavia, Reuters riportava il fatto che Tesla volesse costruire una fabbrica di auto elettriche low cost in India. Musk ha in agenda anche un incontro in California con il presidente israeliano Benjamin Netanyahu. I due dovrebbero discutere prevalentemente di intelligenza artificiale.

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Tecnologia

L’Ucraina ha un problema con Elon Musk

Author: Wired

Dopo la pubblicazione in esclusiva, da parte della Cnn, dell’episodio contenuto nella nuova biografia di Elon Musk nel quale l’imprenditore spiega di aver impedito l’utilizzo di Starlink durante un attacco di droni ucraini contro la flotta russa, si accendono le polemiche sul ruolo del fondatore di Tesla. L’episodio, che compare nel libro scritto da Walter Isaacson in uscita il prossimo 12 settembre, risale probabilmente alle prime fasi della guerra lanciata su larga scala dalla Russia nei confronti dell’Ucraina.

La reazione ucraina

A un giorno di distanza dalla diffusione del racconto dell’episodio, la dura reazione di Kyiv è stata affidata al consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak, che ha utilizzato proprio la piattaforma X per rivelare il suo sdegno.

A poche ore dalla pubblicazione dell’esclusiva Cnn il funzionario ucraino – che ha definito anche il Papa un “filorusso con il quale è impossibile trattare – ha scritto: “Non consentendo ai droni ucraini di distruggere parte della flotta militare russa tramite Starlink, Elon Musk ha permesso a questa stessa flotta di lanciare missili Kalbir contro le città ucraine, che hanno provocato la morte di bambini e civili. Una pesante attribuzione di responsabilità e un forte attacco, che prosegue con l’accusa di “ignoranza e sconfinato ego” nei confronti dell’imprenditore sudafricano naturalizzato statunitense.

Eppure, Elon Musk aveva giustificato il blocco di Starlink poiché, a sua detta, il sistema di satelliti, che il miliardario forniva già gratuitamente a Kyiv, doveva servire per mantenere le comunicazioni e non per condurre attacchi diretti. “Starlink è nato per cose pacifiche”, avrebbe spiegato al suo biografo Musk, “non a condurre attacchi con i droni”.

Musk filorusso?

Nonostante Starlink sia stato sin da subito di grande importanza per le operazioni militari ucraine, tanto che il governo guidato dal presidente Volodymyr Zelensky ha spesso elogiato pubblicato la tecnologia di connettività satellitare inviata in Ucraina per compensare il tracollo di altri sistemi di comunicazione e mantenere online le reti internet, sembra che in alcuni momenti Elon Musk abbia adottato una postura ambigua nei confronti dell’invasione da parte della Russia.

A inizio settembre il Wall Street Journal riportava che, quest’anno, la Commissione europea aveva diffuso un rapporto secondo il quale le politiche della piattaforma X/Twitter agevolassero la diffusione di propaganda russa. Propaganda, forse, che ha investito lo stesso Musk dato che, ricorda Al Jazeera, l’imprenditore è stato già accusato di allineamento con le narrazioni gradite a Mosca, tanto da portarlo a suggerire che i territori conquistati con l’invasione venissero consegnati alla Russia. Territori in cui, oggi, sono iniziate le elezioni locali. Il Consiglio d’Europa ha definito la tornata elettorale “una flagrante violazione del diritto internazionale” e ha affermato che le quattro regioni in questione “sono e rimarranno parte integrante dell’Ucraina”.

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Tecnologia

Quando Elon Musk tolse Starlink agli ucraini

Author: Wired

C’è stato un momento durante la guerra in Ucraina in cui Elon Musk ha ordinato ai suoi ingegneri di spegnere la rete di comunicazioni satellitari Starlink, in quel momento utilizzata dalle forze di Kyiv, nei pressi costa della Crimea. Lo ha scritto Walter Isaacson nel suo libro “Elon Musk”, la biografia dell’imprenditore in uscita mondiale il 12 settembre.

Lo stop a Starlink

Lo stop al funzionamento di Starlink sarebbe stato deciso per impedire agli ucraini di attaccare con alcuni droni la flotta russa vicino alla penisola di Crimea, la cui annessione da parte di Mosca è stata duramente contestata dalla comunità internazionale. Secondo Walter Isaacson – autore anche delle biografie di Albert Einstein e Steve Jobs – Elon Musk avrebbe agito in questo modo perché convinto che se gli ucraini avessero messo a segno il loro attacco la risposta della Russia avrebbe coinvolto l’utilizzo di ordigni nucleari tattici, data l’estrema sensibilità dell’obiettivo scelto da Kyiv. Musk temeva di divenire responsabile di una “piccola Pearl Harbour”, riporta oggi la CNN. Il network informativo statunitense, che oggi rende noto in esclusiva questo episodio, spiega come la paura di Musk derivasse da alcune conversazioni che l’imprenditore aveva avuto con alti funzionari russi.

L’utilizzo strettamente difensivo

Sebbene Kyiv avesse preso contatti con Starlink prima dell’inizio della guerra, con l’inizio del conflitto i satelliti hanno aiutato in maniera determinante le truppe ucraine a mantenere attive le comunicazioni. Starlink, però, doveva servire solo per mantenere attive le comunicazioni, scrive la CNN, ecco perché venne spenta in vista di un attacco condotto dai droni ucraini. La mossa di Elon Musk portò gli ufficiali di Kyiv a supplicarlo di riattivare i satelliti, scrive Isaacson, ma la risposta fu negativa. “Perché mi trovo coinvolto in questa guerra?” si sarebbe chiesto Elon Musk nel momento più difficile, “Starlink non è nato per fare la guerra. Starlink serve per permettere alle persone di guardare Netflix, usare internet per studiare e fare cose pacifiche. Non è nato per condurre attacchi con i droni”.

Chi paga per Starlink?

Lo scoop riportato come anticipazione dell’uscita del libro suggerisce l’importanza assunta dall’imprenditore privato all’interno di una questione di ampissima scala come l’invasione russa dell’Ucraina. Dopo l’inizio della guerra, infatti, sia Kyiv che la Casa Bianca hanno iniziato a chiedersi chi dovesse pagare Musk per il servizio che, fino a quel momento, aveva offerto gratuitamente. Una trattativa forse andata troppo per le lunghe dato che, nell’autunno 2022, Musk ha deciso di smettere di fornire gratuitamente Starlink all’Ucraina a causa degli alti costi che l’operazione comportava. Parole a cui, ben presto, seguì un dietrofront: il 22 ottobre 2022 Elon Musk annunciava sul vecchio Twitter: “al diavolo, torneremo a fornire Starlink gratis all’Ucraina”.

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Economia Tecnologia

Le grandi aziende che fanno marcia indietro sullo smart working

Author: Wired

Google ha richiesto tre giorni in ufficio ma ha però sottolineato come una presenza maggiore sarebbe stata valutata positivamente, riporta il Wall Street Journal. Stesso discorso anche per i dipendenti di Meta, casa madre di Facebook, Instagram e WhatsApp, e di Apple, dove i dipendenti hanno provato a respingere il rientro obbligato con una petizione in cui sostenevano di essere “più felici e produttivi” lontani dall’ufficio, si legge sul sito del sindacato Apple Together. Purtroppo non hanno avuto successo.

L’alt di Zoom

Ma a sconvolgere davvero il mondo del lavoro è stata la marcia indietro di Zoom, le cui call sono state fondamentali per il successo dello smart working. Il gruppo ha guadagnato miliardi offrendo ad aziende e istituzioni la sua piattaforma. Ad agosto, però, l’amministratore delegato Eric Yuan ha usato la scusa della creatività e della fiducia per richiamare i dipendenti in ufficio, racconta Business Insider.

L’ultima grande azienda del settore tecnologico a pretendere almeno tre giorni di presenza a settimana ai suoi dipendenti è stata Amazon, minacciando di licenziamento chi non dovesse adeguarsi, si legge sul Guardian. Una decisione che si scontra con le 30mila firme raccolte tra lavoratrici e lavoratori della compagnia, contrari al ritorno in ufficio obbligatorio, e che si accompagna alle recenti rilevazioni di come i dipendenti Amazon rimasti in smart working siano stati tracciati e penalizzati per non aver passato abbastanza tempo in sede.

C’è chi dice sì

Tra le aziende che hanno dato priorità assoluta al lavoro in ufficio, il cosiddetto office-first, si trovano Netflix e Goldman Sachs, che hanno tra le politiche più stringenti e restrittive per il lavoro da remoto. Mentre tra chi predilige un sistema ibrido, con smart working e tempo in presenza, si trovano Microsoft, Revolut, Spotify, Grammarly. Infine, tra chi ha dato priorità allo smart working, il cosiddetto remote-first, si trovano AirBnb, Slack, Dropbox o Deloitte.