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Che cos’è Retro, il social che vuol far dimenticare Instagram

Author: Wired

E visto che stiamo tutti ripensando Twitter, perché non ripensare anche Instagram? Dopo aver passato qualche settimana con Retro, i suoi vincoli creativi e la sua particolare attenzione alla condivisione di foto con amici reali sono come fare meditazione per il mio cervello abituato a fare tap e swipe. Le strisce fotografiche divise per settimana sono un modo intelligente per separare i momenti importanti dagli screenshot fatti per sbaglio e dalle ricevute di spesa, e rendono anche molto più divertente scorrere all’indietro le foto.

Quando abbiamo investito per la prima volta in Retro, era per la profonda convinzione dei fondatori che fosse possibile costruire un angolo di internet intimo, leggero e persino gioioso”, racconta Ashley Mayer, cofondatrice e socio accomandatario di Coalition Operators.

Ma offrire una versione migliorata e gratuita di un rullino fotografico gratuito e uno spazio senza pubblicità non costituiscono un modello di business. Sharp e Olson ne sono consapevoli, e hanno in programma di lanciare una versione premium dell’app che includa funzioni fotografiche più avanzate, anche se non hanno fornito dettagli.

Screenshot of the 'Retro' app on a smartphone

Courtesy of Retro

Le sorti di BeReal possono rappresentare una sorta di avvertimento per Retro e altri imprenditori nel campo dei social: l’app è decollata per la prima volta nel 2020 nei campus universitari ed era conosciuta soprattutto perché chiedeva agli utenti di postare una sola volta al giorno, non appena ricevevano la notifica. Questa primavera però gli utenti giornalieri dell’app erano scesi del 61 per cento rispetto al suo picco, scendendo sotto i 6 milioni di utenti giornalieri.

Sharp e Olson amano paragonare i social media a una pista da ballo: Instagram è diventato un’esibizione professionale, ma la maggior parte di noi vuole solo divertirsi con gli amici a un matrimonio. Si tratta di social in entrambi i casi, ma il pubblico è diverso. Un’analogia più calzante forse potrebbe essere quella di un ricevimento in cui parte degli invitati è seduta al proprio tavolo, impegnata a scorrere una delle sei nuove applicazioni di social media che hanno appena installato sui loro telefoni.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.

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Tecnologia

L’algoritmo di Instagram ha promosso contenuti pedopornografici

Author: Wired

Meta torna a essere accusata di favorire la circolazione di contenuti pedopornografici. L’algoritmo di Instagram, secondo un’indagine del Wall Street Journal in collaborazione con i ricercatori della Stanford University e dell’università del Massachusetts – sta promuovendo la pedofilia, creando connessioni tra gli utenti che vendono foto e video di minori, attraverso un sistema di raccomandazione già noto per riuscire a collegare tra loro persone che hanno interessi di nicchia. Chiaramente la vendita di contenuti pedopornografici viola non solo la policy della piattaforma, ma anche la legge federale: questo ha portato Meta a istituire una task force interna che possa risolvere la questione.

Dopo le rivelazioni della testata, infatti, la società ha riferito di di aver bloccato migliaia di hashtag che sessualizzano i bambini – alcuni con milioni di post – e di aver impedito ai suoi sistemi di consigliare agli utenti di cercare termini noti per essere associati ad abusi sessuali. Un intervento a cui Meta ne aggiungerà molti altri nel prossimo futuro. Il fatto che un gruppo di ricercatori e giornalisti sia riuscito a trovare con grande facilità comunità che promuovono la pedofilia sulla piattaforma dimostra che Instagram deve affrontare un problema molto grosso. È bastato che l’account creato per le indagini visualizzasse un solo account collegato alla pedopornografia per essere subito “invaso” da suggerimenti che avevano a che fare con la vendita illegale di foto e video di minori.

La piattaforma più importante per queste reti di acquirenti e venditori sembra essere Instagram”, hanno dichiarato i ricercatori. A quanto pare, gli sforzi compiuti dalla società non bastano per arginare la diffusione di questi contenuti sulla piattaforma. Solo a gennaio, per esempio, Instagram ha rimosso 490mila account per aver violato la sua policy sulla sicurezza dei bambini, eppure già nei mesi successivi l’impatto di questa azione risultava ridotto. E se vi state chiedendo il perché, ecco la risposta. Prima che il Wall Street Journal sollevasse la questione, in realtà, Instagram consentiva agli utenti di cercare termini che i suoi stessi sistemi sapevano essere associati a materiale pedopornografico, seppur restituendo un messaggio che recitava “Questi risultati possono contenere immagini di abusi sessuali su minori”. Ora, a quanto pare, l’opzione è stata disabilitata, ma non è chiaro perché prima non lo fosse.

Inoltre, sembrerebbe che i tentativi degli utenti di segnalare contenuti pedopornografici venissero spesso ignorati dall’algoritmo di Instagram, che continuava a promuovere imperterrito gli account su cui venivano vendute le immagini di bambini sessualizzati. Insomma, Meta sta cercando di combattere qualcosa che il suo algoritmo si rifiuta di eliminare.

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Tecnologia

Instagram è in down

Author: Wired

Instagram down in Italia e nel mondo. Impossibile aggiornare il feed del popolare social network. Nella tarda serata di domenica 21 maggio molti utenti hanno iniziato a lamentare problemi con Instagram, che non consente di aggiornare il proprio feed né di accedere a vari contenuti. Al tentativo di visualizzare immagini, scorrere post o riprodurre video e reel, il sistema va in crash e restituisce un messaggio di errore.

C’è un crescendo di segnalazioni di disservizi con Instagram sia su Downdetector, popolare pagina che raccoglie i reclami di utenti che sperimentano problemi con servizi internet, sia su altre piattaforme come Twitter. Proprio come si può notare dall’hashtag Instagram down, il problema non è solo circoscritto all’Italia ma vari utenti nel mondo lamentano gli stessi disservizi con la piattaforma della galassia di Meta.

Al momento non vi sono comunicazioni dell’azienda in merito alle cause del problema e ai tempi di ripristino. Il down di Instagram avvenuto nella serata del 21 maggio segue di poche ore altri disservizi già denunciato dagli utenti nei giorni scorsi è sempre relativi a problematiche connesse alla visualizzazione dei post sulla propria bacheca.

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Internet è diventata la nuova televisione

Author: Wired

Nel 2015, ormai un decennio fa, il saggio online The Web We Have to Save di Hossein Derakhshan fece piuttosto parlare di sé. A scriverlo era un autore iraniano che aveva trascorso i precedenti sei anni in carcere a causa delle sue attività politiche e pubblicistiche. Il saggio raccontava dell’esperienza dell’autore con internet prima e dopo il carcere: da una rete che ricordava una biblioteca, da cui era possibile passare da un contenuto all’altro seguendo liberamente i link, a una rete molto più simile alla televisione, dove i contenuti venivano offerti a flusso continuo, spinti da algoritmi il cui scopo è tenere gli spettatori quanto più all’interno delle piattaforme dove quei contenuti vengono fatti circolare. Il web, insomma, era cambiato in modo radicale nel corso degli anni che Derakhshan aveva trascorso in prigione. Dall’uscita di quel saggio – che nel frattempo è stato citato a dismisura, diventando un piccolo classico della pubblicistica digitale – sono passati altri dieci anni. Dieci anni in cui, però, internet è rimasta ferma allo stesso punto.

Lo si è detto in tantissime formule, il modo in cui si discute di internet nel dibattito pubblico è cambiato radicalmente negli ultimi anni, con oscillazioni importanti tra toni utopici e distopici, sempre per lo più enfatizzati e poco sostanziosi. È almeno dall’esplosione del caso Cambridge Analytica che impera il techlash, un, potremmo dire, spirito dei tempi particolarmente avverso e critico nei confronti della rete e dei suoi principali attori tecnologici ed economici: a farne parte sono un misto di rancore nei confronti di speranze deluse, scandali, panici morali, managerportati a testimoniare nei Parlamenti e crollo dei finanziamenti e dei guadagni. Eppure, nonostante questo clima, non “succede” mai niente online: le grandi piattaforme possono perdere fette importanti di utenti, qualche miliardo di capitalizzazione, bruciare prodotti e progetti ritenuti strategici, ma non sembra nemmeno possibile immaginare un cambio di paradigma rispetto a quello che queste aziende hanno imposto.

Una nuova tv

L’idea di Derakhshan, quella per la quale internet sarebbe diventata la nuova televisione, sembra essere più vera che mai: navigare su internet – se ancora questa immagine ha ancora senso quando gli smartphone e le app sono gli strumenti più usati in tutto il mondo – oggi è in tutto e per tutto una esperienza televisiva. A dominare sono i video e i Reel, specialmente sulle piattaforme controllate da Meta, e pompati dagli algoritmi al centro della nostra esperienza online. TikTok, con la sa crescita esponenziale, sta guidando i trend e le dinamiche del capitalismo digitale, influenzando anche le scelte strategiche della concorrenza, gli stili e i formati della comunicazione digitale, la moda, la produzione audio e video e sostanzialmente ogni altra cosa. Viviamo, in sostanza, in un mondo il cui immaginario mainstream assomiglia sempre di più a quello dei video della piattaforma cinese e con una crescente aspettativa che tutto assomigli a come le cose funzionano su TikTok stessa. Balletti compresi, distopia compresa.

Blake Chandlee, presidente soluzioni globali di business di TikTok, in una intervista pubblicata dal New Yorker nel 2022, ha rimarcato in modo netto le differenze tra la piattaforma per cui lavora e Facebook: loro sono una piattaforma social, noi siamo una piattaforma di intrattenimento. Sembra una dichiarazione banale, ma riassume candidamente, in realtà, il cambio di paradigma avvenuto negli ultimi anni per quanto riguarda la nostra vita online. Come ha scritto l’accademico Christian Fuchs, la retorica del web 2.0 imperante nei primi anni 2000, voleva che le piattaforme di rete – o almeno il loro ritratto ideologico e svuotato di qualsiasi tratto economico-politico – fossero intrinsecamente partecipative e in grado di fornire occasioni di empowerment ai loro utenti. Non si può negare che in qualche misura sia andata proprio così, come dimostra, per esempio, il ruolo importante dei social media nel coordinamento dei movimenti di protesta. In buona parte, però, quell’idea – come parte della più vasta ideologia della rivoluzione digitale, come l’ha definita invece lo storico dei media Gabriele Balbi – ha cercato di descrivere qualcosa che non si è materializzato.

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Siae-Meta, 20 cantanti italiani che puoi usare su Instagram e Facebook

Author: Wired

Con il mancato accordo tra Meta e la Società italiana autori ed editori (Siae) per il rinnovo della licenza, su Facebook e Instagram verranno bloccati tutti i contenuti che presentano tracce di brani italiani che fanno parte del repertorio dell’associazione. Gli utenti dei social network in questione dovranno dire addio alle canzoni italiane che si trovano su Siae come accompagnamento dei contenuti condivisi sul social. Ma non a tutte. Sono diversi, infatti, gli artisti che negli anni hanno deciso di rivolgersi a Soundreef, la società fondata Davide d’Atri, per la gestione dei diritti d’autore per l’utilizzo online, in radio e in televisione di alcune delle loro opere e che quindi potrebbero essere ancora disponibili sulle piattaforme di Meta. Ad affidarsi alla società sono in tutto 43mila autori, compositori, editori in tutto il mondo, di cui 26mila solo Italia. Nel nostro paese, Soundreef opera attraverso Lea, l’associazione che si occupa di rilasciare le licenze per agli autori per conto dell’azienda.

Tra i nomi celebri di cantanti italiani che si sono rivolti a Soundreef per i diritti di alcune opere – che quindi potrebbero essere ancora presenti sui social -, ricordiamo, per esempio, i nuovi arrivati, come Fabrizio Moro, Paola Turci, i Pooh e Mario Venuti, che da quest’anno si sono aggiunti a Laura Pausini, Ultimo, Tedua, Enrico Ruggieri, J-Ax, Gigi D’Alessio, Fabio Rovazzi, Sfera Ebbasta, Marracash, Rkomi. Ma vediamoli nel dettaglio.