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Si aprono le iscrizioni per il liceo del made in Italy

Author: Wired

A partire dal 23 gennaio 2024 saranno aperte le iscrizioni del liceo del made in Italy, il nuovo indirizzo di studi di ispirazione nazionalista fortemente voluto dal governo Meloni. Nato tra le polemiche, a causa delle poche differenze con il già esistente liceo delle scienze umane, potrà essere attivato solo su richiesta, da presentare entro il 15 gennaio, delle istituzioni scolastiche e sostituirà l’indirizzo economico-sociale.

Insomma, più che un nuovo liceo sembra trattarsi di un depotenziamento dell’indirizzo economico-sociale, a cui toglie l’insegnamento della seconda lingua straniera, diritto ed economia politica. In cambio, gli studenti avranno corsi di “gestione delle imprese del made in Italy, modelli di business nelle industrie della moda, dell’arte e dell’alimentazione e made in Italy e mercati internazionali”.

La differenza maggiore sarà il collegamento con la fondazione Imprese e competenze per il made in Italy, attivata con lo stesso decreto con cui è nato il liceo, che dovrebbe servire a portare i neodiplomati nel mondo del lavoro. Tutti i licei delle scienze umane che vorranno aprire i nuovi corsi, dovranno rinunciare all’attivazione delle classi a indirizzo economico-sociale, per non comportare nuovi oneri a carico dello Stato.

Il progetto è stato fatto partire “senza nuovi o maggiori oneri” per la finanza pubblica, quindi senza una copertura economica ad hoc. La legge non chiarisce nemmeno quali debbano essere le competenze richieste ai docenti per insegnare le nuove materie, né se verranno attivati speciali percorsi formativi di aggiornamento, lasciando aperti molti interrogativi su quale sarà l’effettivo risultato del nuovo liceo.

Sarà facile valutare il successo o l’insuccesso della nuova offerta formativa del governo Meloni, perché saranno le scuole stesse a richiedere o meno l’attivazione del nuovo indirizzo, entro il 15 gennaio 2024. Da quel momento sarà già possibile cominciare a tirare le somme, mentre a settembre si potrà fare il conto effettivo degli studenti e delle studentesse, che potranno iscriversi online attraverso la piattaforma Unica per la scuola.

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Perché le montagne sono sempre più a rischio

Author: Wired

Che succederà alle montagne e ai ghiacciai? Pioggia e neve sono in generale diminuzione, e le Alpi sembrano destinate a perdere i ghiacciai più grandi entro il prossimo mezzo secolo. Tutto per colpa del riscaldamento globale che colpisce le montagne con temperature straordinarie anche rispetto alla straordinarietà delle temperature stagionali. Per dare un’idea, è stato stimato che in Italia la temperatura crescerà di altri 2,5 gradi tra il 2020 e il 2050, e non è poco. Ma nello stesso periodo, in alcune aree dell’arco alpino si potrebbero registrare picchi di crescita di 5 gradi.

Succede perché l’Italia è situata in un hotspot climatico e soffre in particolare il surriscaldamento delle temperature, che crescono in modo ancora più acuto quando si sale (e si vive) in montagna. Tra le vette non manca solo la neve per la stagione invernale ma si registrano più incidenti durante quella estiva, quando il turismo spesso è irresponsabile e crea incidenti. Turismo in continua crescita e così andare a far vacanza in montagna diventa sempre più una scelta costosa, così come viverci. Per questo le comunità autoctone sono in cerca di nuove forme di sviluppo per l’economia locale.

Il futuro della montagna, e in particolare delle nostre Alpi, sono un mosaico complesso. Un’immagine che ritrae il pezzo più grande del nostro patrimonio paesaggistico e tutta la vita che contiene e attrae. Sui tanti aspetti che compongono il futuro delle montagne italiane, Wired ha intervistato Antonio Montani, presidente del Cai (Club alpino italiano). Partiamo da un punto inequivocabile: “La fusione dei ghiacciai è un fenomeno purtroppo irreversibile. Non solo il paesaggio dell’Adamello, ma quello dell’intero arco alpino sta cambiando. Tra mezzo secolo le Vedrette non ci saranno più e anche i maggiori ghiacciai alpini si saranno avviati all’estinzione. Una consapevolezza, come dice Montani, che non deve deresponsabilizzarci ma anzi ”ci ricorda l’urgenza di scelte forti”.

Il poco ghiaccio rimasto sul Gran Paradiso, a oltre 4.000 metri di altezza, in una foto di giugno 2023

In Italia i ghiacciai si stanno sciogliendo sempre più velocemente

Sono quelli che stanno fondendo più rapidamente in tutto l’arco alpino, calando del 13% in appena 10 anni. E l’estate del 2023 segna l’ennesimo colpo

Resistere agli eventi estremi

Come si risponde nell’immediato agli effetti degli eventi estremi? La montagna è teatro e origine di fenomeni atmosferici spesso improvvisi e inediti. È inevitabile che sia il soccorso medico che quello generale alpino deve organizzarsi. “In caso di eventi estremi in montagna interviene il Corpo nazionale del soccorso alpino, un organismo di eccellenza. Una struttura che le istituzioni devono sostenere, dotandola di mezzi adeguati (gli uomini sono volontari preparatissimi), anche in previsione di un aumento delle situazioni di crisi connesse al cambiamento climatico: dalle bombe d’acqua alle grandinate eccezionali, dalle tempeste di vento, fino ai crolli e alle valanghe”.

Il presidente ricorda anche l’app gratuita Georesq, creata dal Cai proprio per supportare il soccorso alpino. Il cambiamento climatico, come detto, minaccia anche la vita dei residenti da un punto di vista economico. Cambia la natura, cambia il territorio e le economie locali devono trovare nuove soluzioni, magari proiettate proprio a rendere circolari le imprese del luogo. Anche perché bisogna salvare l’economia montana senza perderne lo spirito, come si è ampiamente dibattuto al 101esimo Congresso nazionale del Cai che si è tenuto a Roma a novembre scorso. Insomma, in vetta non servono nuove strutture o mega progetti per impianti di risalita per immaginare crescita economica.

“Gli investimenti che mirano a realizzare nuovi impianti non contribuiranno a salvare l’economia di una montagna in grande sofferenza”

Antonio Montani, presidente del Cai

Ecco perché il Cai ha bocciato per esempio la pista di bob delle prossime Olimpiadi di Milano-Cortina: “Dopo aver analizzato costi e benefici dell’opera, il Cai si è opposto alla realizzazione della nuova pista di bob di Cortina. L’arco alpino e per altri versi quello appenninico, sono ambienti sempre più fragili. Anche in futuro, ogni volta che il sodalizio registrerà interventi dannosi per il capitale naturale che si è impegnato a tutelare, non esiterà a intervenire. Cambiare rotta si può, ma servono coerenza e determinazione”. Le proposte del Cai, su cosa si può fare in termini gestionali ed economici per salvare la vita delle comunità montane sono chiare: “Chiediamo alle istituzioni di fermare ulteriori dannosi consumi di suolo e dirottare le risorse pubbliche verso il drenaggio dello spopolamento montano che si combatte solo investendo sui servizi di qualità (trasporti, sanità, scuola), sugli incentivi ai residenti, sulla promozione di economie circolari locali a filiera corta“, dice il numero uno.

Soluzioni contro un turismo irresponsabile

In questi ultimi anni sono sempre più frequenti gli incidenti in vetta, anche mortali. Complice lo scioglimento dei ghiacciai ma soprattutto forme di turismo spesso arrangiate e davvero irresponsabili se si decide di fare anche solo un trekking montano. I motivi sono in qualche modo legati anche alla pandemia passata: “In questi anni ‘post Covid’ gli spazi naturali, e in particolare quelli montani, sono presi d’assalto da milioni di turisti alla ricerca di esperienze di “wilderness”, cioè di immersione, più o meno autentica, nella natura selvaggia. Se da un lato questa tendenza ha avvicinato moltissime persone alla montagna, e ciò è senz’altro positivo, dall’altro ha generato flussi che stanno mettendo in grande difficoltà i suoi delicati ecosistemi e minano la sicurezza degli stessi frequentatori. L’abbiamo visto anche quest’estate, quando in piena crisi idrica le rive dei laghi alpini, come Braies o il Sorapis, sembravano spiagge della Riviera. Ciò accade a causa dell’errata convinzione che le regole della pianura valgano anche in montagna: idea sicuramente amplificata dall’azione dei social”.

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Meta è stata multata per la pubblicità al gioco d’azzardo, di nuovo

Author: Wired

Meta ha subìto una multa da 5 milioni e 850mila euro per aver violato il divieto di pubblicità del gioco d’azzardo su Facebook e Instagram. La sanzione è stata decisa dall’Autorità garante delle comunicazioni (Agcom), sulla base del cosiddetto decreto Dignità del 2018, varato durante il primo governo Conte dall’allora ministro del Lavoro, Luigi Di Maio. Meta aveva già ricevuto una multa da 750mila euro per lo stesso motivo a gennaio 2023.

A seguito di numerose segnalazioni, l’Agcom ha accertato la presenza di pubblicità e contenuti promozionali relativi al gioco d’azzardo e alle scommesse con vincite di denaro in 18 account, di cui 5 su Instagram e 13 su Facebook. In più, sono stati trovati 32 contenuti sponsorizzati, cioè diffusi dietro pagamento a un maggior numero di utenti, sempre diretti a promuovere e pubblicizzare, tramite video e immagine, giochi d’azzardo e scommesse online con vincite di denaro.

Pertanto Meta è stata ritenuta responsabile della diffusione di questi contenuti, in quanto titolare delle piattaforme di condivisione su cui sono circolati i 32 contenuti sponsorizzati. L’autorità ha anche sottolineato, come aggravante, la responsabilità di Meta nell’aver offerto “un vero e proprio servizio pubblicitario” per i contenuti illegali, non essendosi limitata a ospitarli sulle proprie piattaforme in maniera “passiva e automatica”, ma contribuendo attivamente alla loro diffusione. Una circostanza che ha portato l’azienda di Mark Zuckerberg a commettere un illecito in piena coscienza.

Per quanto riguarda i profili incriminati, Meta è stata ritenuta responsabile solo per 5 di questi. Gli altri sono stati infatti rimossi appena l’azienda ha ricevuto la notifica dell’atto di contestazione dell’illecito, “che segna il momento in cui la società ha avuto piena consapevolezza dei contenuti”. Per questo, oltre alla sanzione, l’Autorità ha ordinato a Meta di rimuovere tutti i contenuti sponsorizzati e i profili incriminati e di agire affinché contenuti simili o equivalenti a quelli appena sanzionati non vengano più ospitati dalle sue piattaforme.

Il commento

“Ottima notizia. Il divieto della pubblicità del gioco d’azzardo è chiarissimo nella normativa italiana, ma resta scritto sulla carta: viene sistematicamente violato dalle emittenti televisive e molto spesso anche attraverso forme indirette, contenuti sponsorizzati su vari profili social -ha detto Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori -. Bene intervenire anche sulle piattaforme, a maggior ragione se offrono un vero e proprio servizio pubblicitario. Adesso ci aspettiamo che i social network facciano ancora di più per potenziare le funzionalità che aiutano l’utente a comprendere se un post è sponsorizzato, rimuovere quelli ingannevoli o vietati dalla legge, come quelli sul gioco e sul fumo”.

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Come funziona Piracy Shield, la piattaforma nazionale per oscurare lo streaming illegale

Author: Wired

Sono indirizzi fittizi creati internamente e non hanno nessuna funzionalità pratica”, spiega Miele escludendo qualunque rischio per la sicurezza di Piracy Shield. “La piattaforma non è accessibile tramite internet e gli operatori saranno dotati di specifiche configurazioni per utilizzarla”, ha aggiunto. Il riferimento è, come detto, alla rete privata virtuale (vpn) alla quale dovranno fare ricorso i service provider per agganciarsi al servizio. Non esattamente “inaccessibile tramite internet” – come appreso da Wired l’infrastruttura è ospitata su cloud Azure di Microsoft – ma certamente irraggiungibile a chiunque non sia autorizzato ad accedere alla vpn.

Rimane tuttavia il problema del phishing. Il fatto che il dominio piracyshield.net non sia stato acquistato, togliendolo dalla disponibilità di chiunque, non pregiudica di per sé il funzionamento, ma si teme che il suo uso improprio possa prestare il fianco ad azioni di ingegneria sociale, ossia la serie di tecniche usate dai criminali informatici per carpire informazioni personali. Tanto che alcuni operatori stanno chiedendo che siano emesse nuove credenziali slegate dal dominio piracyshield.net. Peraltro, risulta a Wired che le credenziali siano arrivate in taluni casi in chiaro, all’interno di file zip allegati a messaggi di posta elettronica certificati. “Al momento – ha precisato Miele – non sono previste azioni per l’acquisto del dominio”.

Il progetto

Ogni intervento va fatto in fretta. Perché il decreto Caivano, un pacchetto di norme di sicurezza varato dal governo a metà novembre, ha accelerato i tempi di Piracy shield che sarebbe dovuto entrare in azione agli inizi di dicembre. Il tavolo istituzionale in cui è stato distribuito il materiale tecnico per guidare gli operatori nelle fasi di imbarco si è tenuto però il 14 dicembre e ora la scadenza è fissata al 31 gennaio.

Del progetto si parla da tempo. A dicembre 2022, mentre si avvicina il rinnovo dei diritti del calcio da parte della Lega Serie A per il 2024-27, viene a galla l’idea di realizzare un sistema dinamico che blocchi sul nascere i canali che trasmettono via internet partite, eventi sportivi, film e serie tv di cui non hanno i diritti. Ed è proprio l’organo che rappresenta i 20 club della più importante competizione calcistica a regalare ad agosto la piattaforma tecnologica per oscurare i segnali illeciti all’Agcom, designata dal decreto anti-pirateria votato all’unanimità da Camera e Senato a intervenire sulle violazioni.

A sviluppare Piracy Shield è Sp Tech. Ossia il braccio tecnologico dello studio legale Previti, associazione di professionisti che prosegue l’attività avviata dall’ex avvocato Cesare Previti. Sp Tech è stata costituita a Roma nel 2020, è una startup innovativa e si occupa di tutela del copyright, protezione dei mercati e reputazione online. È posseduta dai due titolari dello studio, Stefano e Carla Previti, con il collega Vincenzo Colarocco e Alessandro Miele. La società nel 2022 ha sviluppato un giro d’affari di 417mila euro e ha chiuso il bilancio con una perdita d’esercizio di 12mila euro. Mentre Agcom ha previsto di spendere nel 2023 250mila euro per “oneri connessi alla piattaforma” per l’oscuramento in diretta e per l’adeguamento dei propri sistemi informativi (servizi cloud, sicurezza e manutenzioni evolutive dei sistemi informatici. È la voce più importante, insieme agli stipendi del personale dedicato (aumentato di 10 unità), del capitolo di spesa per la lotta alla “diffusione illecita di contenuti tutelati dal diritto d’autore”, pari a 650mila euro stimati per il 2023.

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C’è una proposta di legge per rendere il presepe obbligatorio nelle scuole

Author: Wired

Fratelli d’Italia ha presentato un discusso disegno di legge per rendere il presepe obbligatorio nelle scuole e istituire un obbligo per la Repubblica italiana di valorizzare, preservare e tutelare le festività e le tradizioni religiose cristiane, come “espressione più autentica e profonda dell’identità del popolo italiano”. Una svolta del partito di governo, che suona in contrasto con l’articolo 8 della Costituzione, in cui si stabilisce il principio di eguaglianza delle confessioni religiose, e contro il principio supremo di laicità dello Stato.

La proposta firmata dalla senatrice Lavinia Mennuni ha come titolo Rispetto e tutela delle tradizioni religiose italiane, ma parla solo di cristianesimo. All’articolo 1 obbligherebbe la Repubblica a trattare le tradizioni e le festività cristiane come “espressione più autentica e profonda dell’identità del popolo italiano”, mentre l’articolo 2 costringerebbe gli istituti scolastici ad accettare qualunque iniziativa, proposta “da genitori, studenti o componenti di organi scolastici”, volta a “perpetuare le tradizionali celebrazioni legate al Natale e alla Pasqua cristiana”.

Chi non vorrà sottostare a questi obblighi, specifica l’articolo 4, “sarà passabile di procedimenti disciplinari” e, in base all’articolo 3, il ministero dell’Istruzione potrà intervenire con provvedimenti per garantire “l’attuazione di quanto previsto” dall’articolo 2. Un’imposizione che il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, ha definito sul Corriere della Sera come fuori luogo.

Inoltre, la norma va contro la sentenza numero 203 della Corte costituzionale, pubblicata in Gazzetta ufficiale il 19 aprile 1989, in cui viene stabilito che in Italia “il principio di laicità è considerato supremo”. In questo modo la laicità del nostro paese è diventata inviolabile, al pari di altri principi come quello della dignità della persona. Ciò significa che la Repubblica italiana non può in alcun modo violare il principio di laicità nelle sue funzioni e istituzioni, tra cui l’insegnamento pubblico.