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Meta è stata multata per la pubblicità al gioco d’azzardo, di nuovo

Author: Wired

Meta ha subìto una multa da 5 milioni e 850mila euro per aver violato il divieto di pubblicità del gioco d’azzardo su Facebook e Instagram. La sanzione è stata decisa dall’Autorità garante delle comunicazioni (Agcom), sulla base del cosiddetto decreto Dignità del 2018, varato durante il primo governo Conte dall’allora ministro del Lavoro, Luigi Di Maio. Meta aveva già ricevuto una multa da 750mila euro per lo stesso motivo a gennaio 2023.

A seguito di numerose segnalazioni, l’Agcom ha accertato la presenza di pubblicità e contenuti promozionali relativi al gioco d’azzardo e alle scommesse con vincite di denaro in 18 account, di cui 5 su Instagram e 13 su Facebook. In più, sono stati trovati 32 contenuti sponsorizzati, cioè diffusi dietro pagamento a un maggior numero di utenti, sempre diretti a promuovere e pubblicizzare, tramite video e immagine, giochi d’azzardo e scommesse online con vincite di denaro.

Pertanto Meta è stata ritenuta responsabile della diffusione di questi contenuti, in quanto titolare delle piattaforme di condivisione su cui sono circolati i 32 contenuti sponsorizzati. L’autorità ha anche sottolineato, come aggravante, la responsabilità di Meta nell’aver offerto “un vero e proprio servizio pubblicitario” per i contenuti illegali, non essendosi limitata a ospitarli sulle proprie piattaforme in maniera “passiva e automatica”, ma contribuendo attivamente alla loro diffusione. Una circostanza che ha portato l’azienda di Mark Zuckerberg a commettere un illecito in piena coscienza.

Per quanto riguarda i profili incriminati, Meta è stata ritenuta responsabile solo per 5 di questi. Gli altri sono stati infatti rimossi appena l’azienda ha ricevuto la notifica dell’atto di contestazione dell’illecito, “che segna il momento in cui la società ha avuto piena consapevolezza dei contenuti”. Per questo, oltre alla sanzione, l’Autorità ha ordinato a Meta di rimuovere tutti i contenuti sponsorizzati e i profili incriminati e di agire affinché contenuti simili o equivalenti a quelli appena sanzionati non vengano più ospitati dalle sue piattaforme.

Il commento

“Ottima notizia. Il divieto della pubblicità del gioco d’azzardo è chiarissimo nella normativa italiana, ma resta scritto sulla carta: viene sistematicamente violato dalle emittenti televisive e molto spesso anche attraverso forme indirette, contenuti sponsorizzati su vari profili social -ha detto Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori -. Bene intervenire anche sulle piattaforme, a maggior ragione se offrono un vero e proprio servizio pubblicitario. Adesso ci aspettiamo che i social network facciano ancora di più per potenziare le funzionalità che aiutano l’utente a comprendere se un post è sponsorizzato, rimuovere quelli ingannevoli o vietati dalla legge, come quelli sul gioco e sul fumo”.

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Tecnologia

Threads sta per arrivare in Europa

Author: Wired

Threads sta per arrivare in Europa. Lo rivela il Wall Street Journal, che ha pubblicato un rapporto secondo cui Meta lancerà a stretto giro il suo competitor di X nel vecchio continente, segnando così la più grande espansione di mercato della piattaforma dal suo debutto a oggi. Al momento del suo lancio ufficiale, infatti, la compagnia ha scelto di non rendere disponibile Threads in Europa per via delle sue rigide normative sulla privacy. Ma ora, a distanza di mesi, Meta sembra aver trovato il giusto compromesso per lanciare l’app anche nei paesi della UE, rendendola disponibile agli utenti “esclusivamente per il consumo senza un profilo che consenta loro di creare i propri post”.

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D’altronde, il lancio di Threads in Europa era nell’aria già da un po’. All’inizio di novembre, infatti, l’esperto Alessandro Paluzzi ha rivelato di aver trovato non pochi tag “Threads EU Lanch” all’interno del codice dell’app. E ora, a distanza di circa un mese, ecco che il WSJ conferma la sua intuizione. Dopo aver lavorato per adeguare la piattaforma alle normative del Digital Services Act europeo, Meta ora è pronta per conquistare un nuova fetta di mercato, cogliendo l’occasione della fuga – sempre più massiccia – degli utenti da X. Considerando che in Europa i social media “sotto un controllo molto più approfondito rispetto ad altre parti del mondo, […] entrare in quel mercato dimostra che l’azienda è disposta a stare al gioco”, ha commentato Daniel Newman di Futurum Group, una società di consulenza che si concentra sulla tecnologia digitale.

Ma la volontà di Meta non sembrerebbe essere soltanto quella di conquistare il mercato europeo, ma anche quella di ampliare il numero di utenti attivi su Threads. A ottobre, infatti, Mark Zuckerberg ha rivelato che l’app ha “poco meno di 100 milioni di utenti attivi mensilmente“, precisando che punta a raggiungere il miliardo di utenti nel giro di pochi anni. E l’ingresso nel vecchio continente sarebbe soltanto l’ennesimo step per raggiungere questo obiettivo, dato che permetterebbe alla piattaforma di acquisire circa 40 milioni di utenti mensili aggiuntivi. “Il lancio in Europa attirerebbe sicuramente più persone, creando più conversazioni e più utilizzo. Ma Meta deve ancora capire cos’è Threads”, ha dichiarato Debra Aho Williamson, un analista tech. Aspettiamo allora di vedere se sarà davvero così.

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Economia Tecnologia

Le big tech devono molte spiegazioni all’Europa

Author: Wired

Una dopo l’altra, tutte le grandi società tecnologiche stanno cadendo sotto la lente del Digital services act (Dsa), il regolamento dell’Unione europea che disciplina i servizi digitali in maniera molto più stringente del passato, per meglio tutelare utenti e consumatori. Dopo aver richiamato le cinesi Aliexpress e TikTok, così come Meta e YouTube, la Commissione europea ha messo nel mirino Amazon, chiedendo formalmente maggiori informazioni sulle misure a tutela dei consumatori.

Le nuove disposizioni del Digital services act entrate in vigore a fine agosto, tra le altre cose, impongono alle principali piattaforme online di eliminare contenuti o prodotti illegali e dannosi, se non vogliono incappare in pesanti multe pari fino al 6% del loro fatturato globale. Nel caso di Amazon, la Commissione ha richiesto di essere informata sulle misure adottate per ottemperare agli obblighi del Dsa relativamente alla diffusione di prodotti illegali e la tutela dei diritti fondamentali.

Il gigante dell’-commerce avrà tempo fino al 6 dicembre 2023 per fornire tutte le informazioni richieste alla Commissione. Sulla base di quanto ricevuto e a seconda della valutazione di conformità rispetto agli obblighi europei, l’esecutivo deciderà cosa fare nelle fasi successive. Nell’eventualità in cui l’azienda non abbia fornito informazioni adeguate, non abbia adottato le misure richieste dal Dsa o non risponda entro i termini stabiliti, potrà venire aperto contro Amazon un procedimento formale, ai sensi dell’articolo 66 del regolamento, che può portare la compagnia a essere sanzionata.

La stessa identica ingiunzione è stata formulata, lo scorso 6 novembre, anche contro Aliexpress, sempre in materia di protezione dei consumatori dalla diffusione di prodotti illegali o non sicuri venduti all’interno dell’Unione europea, comprese medicine e prodotti farmaceutici falsi. Un problema di portata sempre più vasta, secondo la Commissione.

Oltre all’ecommerce, il Digital services act opera anche a tutela del settore dell’informazione e negli ultimi mesi la Commissione ha richiamato anche Meta (a cui fanno capo Facebook, Instagram e Whatsapp), TikTok, YouTube e Snap chiedendo di spiegare che misure hanno messo in campo per salvaguardare i minori online e contrastare la disinformazione, la diffusione di contenuti violenti, legati al terrorismo o incitamenti all’odio

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Tecnologia

Douglas Rushkoff al Wired Next Fest: “I social ci hanno rubato i dati che la AI userà per conquistarci”

Author: Wired

Un pianeta avviato verso il disastro, non solo climatico, da cui i miliardari stanno cercando di scappare. Chi su Marte, chi nel paradiso artificiale del metaverso. Dicono di voler salvare l’umanità, ma perché, davvero, i giganti del tech si danno tanta pena per le sorti del mondo? Cosa si nasconde dietro la filantropia di personaggi ricchissimi ma che vivono in una “bolla” molto distante da quella del nostro quotidiano? Douglas Rushkoff, professore di media studies alla City University di New York e autore del libro Solo i più ricchi, e Cory Doctorow, scrittore di fantascienza e attivista, hanno provato a rispondere dal palco milanese del Wired Next Fest 2023. Due delle menti più interessanti – e critiche – dei nostri tempi a confronto sotto il sole dell’ottobre meneghino.

La maggior parte dei miliardari del tech vive in una cornice che potremmo definire ‘techno-solutionist’ che li porta a credere che, con l’impiego di sufficiente tecnologia, potranno risolvere i problemi che loro stessi hanno creato proprio con la tecnologia “afferma Rushkoff. ”Dal mio punto di vista, non si chiedono: come salveremo il mondo ma, piuttosto: come salveremo il capitalismo. Quindi il loro non è un movimento rivoluzionario, ma reazionario. Non guardano a come potremmo cambiare, ma a come poter rimanere gli stessi, anche se alla fine dovremmo tramutarci in robot modificati per sopravvivere al cambiamento climatico. Ci sono certi assiomi che sono inviolabili, e di solito sono i loro monopoli e i loro obiettivi di crescita”.

La AI come i conquistadores spagnoli

Dividerei la AI come tecnologia da quelle che ne sono le applicazioni – prosegue lo studioso – Sono cose diverse, come la tecnologia dei social media e la sorveglianza (il riferimento è al libro Il capitalismo della sorveglianza di Shoshana Zuboff, che descrive il modello di business dei grandi attori del settore ndr). Esistono social non basati su questo schema. Possiamo pensare ai social media come ai missionari che hanno raggiunto il nuovo mondo: hanno raccolto informazioni sugli indigeni, li hanno convertiti alla cristianità mostrano un atteggiamento amichevole da parte degli occidentali, e poi sono tornati indietro dalla Corona riferendo tutto. Il passo successivo è che sono arrivati i conquistadores e ne hanno preso il posto: e questo è quello che è successo alla Rete, con i social che ci hanno ammorbidito e raccolto molte informazioni su di noi. Poi, l’ondata successiva, quella della AI, è stata quella dei conquistadores”. La maggior paura dei miliardari del tech? Secondo Rushkoff, è “che la AI faccia loro quello che loro hanno fatto a noi. Il loro modello di realtà è che i dati, o l’analisi dei dati, sia sinonimo di evoluzione, e che il più intelligente (ma smart significa anche furbo, ndr) vince. Quindi loro sono più furbi, e hanno vinto su di noi; ma l’intelligenza artificiale potrebbe superare loro, e da qui la paura. Si tratta di una paura proiettiva: stanno proiettano la loro mentalità coloniale sulle tecnologie che stanno inventando. E certo, se sono loro a programmarle, si può capire”.

Il tecno-feudaledsimo delle piattaforme

Secondo Doctorow, stiamo precipitando (e in parte già ci troviamo) in un tecno-fedualesimo in cui pochi soggetti recitano la parte dei feudatari: “Meglio di produrre qualcosa c’è produrre la piattaforma dove le persone scambiano valore; ma ancora meglio di creare la piattaforma c’è creare la moneta che le persone che usano lì, e ancora meglio creare gli sdk (software development kit ) con cui le piattaforme vengono costruite, e ancora di più avere opzioni sui wallet, le monete e le piattaforme che le persone che creano valore usano. Questo per me è feudalesimo” dice lo scrittore. E se la prende con le norme sulla proprietà intellettuale, che hanno creato la cornice in cui questo può avvenire. Del resto, molte sue opere sono disponibili gratuitamente. “Questa pletora di leggi che chiamiamo IP ha creato i colli di bottiglia da cui le rendite possono essere estratte. Non ha niente a che fare con la tutela del lavoro degli artisti e dei creativi, in particolare nel digitale”.

Rushkoff rincara la dose: “La borsa, che è un’astrazione del mercato, è consumata da quella sua stessa astrazione che sono i derivati. E la gente del tech, proprio per il fatto di essere portata per il digitale, cioè meta-qualcosa, è la più predisposta a giocarsi questa partita. Così, vogliono sempre salire di livello: come Zuck col metaverso e Musk, che vuole andare su Marte”. Siamo così “meta” che Elon Musk stesso è il miglior contenuto di Twitter, e non solo il proprietario della piattaforma. Il capo dei troll di Twitter. La storia di qualche settimana fa del combattimento con Zuck è stata possibile perché le piattaforme in sé sono così noiose che i proprietari stessi hanno dovuto metterci persino i contenuti. E’la loro versione delle storie Marvel”.

Razzi che esplodono

Big Tech cambia le regole in corsa, le disfa a piacimento e a volte si rimangia anche le promesse. Afferma Doctorow: “Lo ha fatto Facebook: diceva che non avrebbe spiato gli utenti, poi cominciò, e di fronte alle arrabbiature disse ok, allora lo faremo, ma solo un po’. E guardate Musk e Space X. Dice che sarà la Uber dei razzi, quindi razzi on demand. Ma razzi senza regole; quindi quando uno dei missili esploderà, ed esploderà su casa tua, lui potrà andarsene fischiettando con le mani in tasca”. I due sono un fiume in piena, ma il tempo stringe. La conclusione è di Rushkoff. “Mio padre ci faceva vedere il quartiere difficile in cui era vissuto, e da cui si era tirato fuori studiando e lavorando duro. Ma quando ci penso, mi chiedo: cosa facciamo se è tutto il mondo a essere diventato un brutto quartiere? Non ho niente contro la gente che guadagna soldi per andarsene da lì; ma il tema è come fare a migliorarlo e renderlo vivibile”.

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Economia Tecnologia

Meta pensa di connettere Whatsapp alle chat altrui

Author: Wired

Con il Digital Markets Act la Commissione europea ha selezionato a inizio settembre le grandi piattaforme che reputa gatekeeper, ovvero potenti a tal punto da essere in grado di influenzare il mercato interno, modellare i rapporti tra utenti e aziende online e ritagliarsi una posizione difficilmente contendibile.

Pochi giorni dopo, l’11 settembre, è arrivata la prima di quella che si preannuncia una lunga serie di azioni che i colossi indicati, ovvero Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Bytedance e Microsoft metteranno in campo per assoggettarsi al Digital markets act (Dma). Come riporta TechCrunch, rilanciando WABetaInfo, Meta ha infatti lanciato una nuova versione beta di Whatsapp per Android che presenta una nuova schermata dedicata alle “chat di terze parti”.

Alla stregua di Messenger, anche l’app del colosso di Menlo Park è finita sotto la lente d’ingrandimento dell’esecutivo europeo per quanto riguarda la messaggistica. Nel dettaglio, sin dal 2022 l’Unione europea ha sottolineato quanto l’interoperabilità tra le piattaforme di tale tipo fosse fondamentale per tutelare gli operatori più deboli, spingendo di fatto Whatsapp e Messenger a mettere in condizione i propri clienti di scambiare messaggi con gli utenti, per esempio, di Signal, Telegram o Snapchat.

Nonostante abbia a disposizione sei mesi di tempo per uniformarsi al Dma, con scadenza quindi prevista a marzo 2024, sembra che Meta abbia scelto di muoversi subito per apportare le dovute modifiche a Whatsapp, almeno per quanto riguarda i messaggi di testo. Resta infatti da stabilire come la società di Mark Zuckerberg agirà per rendere interoperabile la propria app per quanto concerne l’invio di documenti e messaggi audio e le videochiamate, e come si muoverà invece per adeguare ai nuovi precetti Messenger.

A salvarsi è invece stato, per ora, Apple iMessage: il colosso di Cupertino ha infatti dichiarato che il proprio servizio di messaggistica non raggiunge ancora la soglia di 45 milioni di utenti.